GROSSETO – Il Sole 24 Ore prevede tre pericoli per il prossimo anno, che hanno a che vedere anche con quel che succederà in provincia di Grosseto. I licenziamenti che inevitabilmente arriveranno nel momento in cui a marzo scadranno i termini del blocco. Gli effetti del crollo demografico. E il rischio concreto che circa il 20% dei 150 miliardi di prestiti garantiti dallo Stato alle aziende con le misure di contrasto alla crisi economica causata dal Covid-19, non vengano rimborsati al sistema bancario. Con lo Stato che non avrà alternative a fare altro debito pubblico: diciamo più o meno 30 miliardi che si aggiungeranno a quello enorme già esistente.
Sembrano cose che stanno nella stratosfera, ma non è così. Perché se il sistema Italia vuole provare a reggere, in ogni territorio bisognerà cogliere ogni opportunità economica per contribuire allo sforzo collettivo di creare valore aggiunto e salvaguardare l’occupazione. Sperando che la crescita generi abbastanza Pil da recuperare risorse con la fiscalità generale.
In provincia di Grosseto, al di là delle chiacchiere fumose, questo significherà sciogliere alla svelta tre nodi significativi. Lo stoccaggio dei gessi rossi prodotti dalla Venator che al Casone di Scarlino produce biossido di Titanio. Decidere che fine farà l’impianto di cogenerazione di Scarlino Energia, ora sotto il controllo di Iren Ambiente Spa, per il quale la società ha chiesto l’autorizzazione a ristrutturazione e ampliamento. Dare il via libera al regime d’incentivazione per la geotermia come fonte energetica rinnovabile, presupposto per riattivare gl’investimenti di Enel Green Power sull’Amiata e a Monterotondo Marittimo. La società, nel frattempo, non aspetta gli eventi e sta incrementando la propria presenza nel comparto geotermico in giro per il mondo.
Queste tre questioni – oltre allo sblocco del corridoio tirrenico – costituiscono il «conquibus» intorno al quale si decideranno le sorti economiche della provincia di Grosseto. Tutte scelte che potrebbero rianimare in relativa fretta l’esanime economia provinciale, oppure darle il colpo di grazia. Stavolta definitivo.
Un esempio di quel che potrebbe succedere. Se ad esempio si traccheggiasse oltre nel decidere dove stoccare i cosiddetti «gessi rossi» di Venator, la multinazionale potrebbe anche decidere di cambiare aria. D’altra parte, dopo che per anni i gessi sono stati stoccati come prevede la legge nell’ex cava dismessa di Montioni, ora in via di saturazione, è stato detto di no alle ex cave della Vallina e della Bartolina. Mentre oggi si sta cercando di impedire anche l’utilizzo di un terzo sito ipotizzato: la ex cava di Pietratonda, nel Comune di Campagnatico. È evidente che il problema non dovrebbe essere il sito scelto, ma la sua adeguatezza o meno. Cosa che non dipende da argomentazioni parascientifiche, ma da valutazioni tecniche, geologiche ed economiche.
Ergo, bisogna che un sito sia individuato, smettendola con rinvii e tentennamenti. Naturalmente nel rispetto della legge. Altrimenti l’azienda sarebbe legittimata a togliere le tende. Che il mondo è grande.
Peraltro, se Venator, che ha una legittima aspettativa, si dovesse stancare di tira e molla e scaricabarile, non porterebbe proprio bene alla Maremma. Secondo il “Bilancio di sostenibilità dell’industria chimica toscana”, presentato pochi giorni fa alla Camera di Commercio, infatti, solo Venator e Solmine (che fornisce acido solforico per il ciclo industriale di produzione del biossido 3di titanio) garantiscono in provincia di Grosseto 350 posti di lavoro diretti, e altrettanti nell’indotto. Con 48 milioni di euro che arrivano ai vari stakeholders delle loro filiere, 23,5 dei quali per stipendi dei dipendenti e 3 per le tasse. Naturalmente si possono anche ignorare certi numeri, per assecondare chi punta sulla “politica economica dei laghetti da pesca”. Basta avere chiare le conseguenze.
Oppure si può legittimare chi inveisce contro il ricatto occupazionale – contro Venator, Solmine, Enel Green Power, Scarlino Energia e chissà chi altro – senza entrare nel merito delle cose. O evitare di prendere posizione, dando l’impressione che le ragioni di chi si oppone siano inoppugnabili.
Di fatto, sarebbe molto più saggio che la politica e chi amministra facessero valutazioni oggettive e si prendessero responsabilità trasparenti. Perché in questi anni aver lasciato senza batter ciglio «caricare a legna verde» l’opinione pubblica con pregiudizi e luoghi comuni, in modo trasversale agli schieramenti, ha solo portato esiti nefasti. E ora non è più possibile far finta di niente.