SANDOR MARAI
“L’EREDITA’ DI ESZTER”
ADELPHI, MILANO, (1939) 1999, pp. 137
Il romanzo è uscito per la prima volta a Budapest in lingua ungherese nel 1939, quindi tre anni prima de “Le braci”, il capolavoro di Marai, di cui è considerato “la versione al femminile”, e prima dell’esilio volontario definitivo di Marai dall’Ungheria (1948). Marai si considerò uno “scrittore borghese”, trascorse quasi tutta la vita in esilio, fuggendo prima la dittatura fascista della sua patria e poi quella stalinista. Prima visse a Napoli, che considerava l’ultimo rifugio dell’umanità e poi negli Stati Uniti, dove morì suicida a seguito della morte precoce del figlio.
Racconta il capitolo finale della vita di Ezster, una donna di 45 anni, invecchiata precocemente, che racconta la sua storia in prima persona. Nel farlo ella sembra voler adempiere al proprio dovere. “Prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l’ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni”. Così esordisce il romanzo, sembra l’adempimento di un destino, che è il tema nettissimo del romanzo. La locuzione “mi spogliò”, per quanto in uso, esprime una metafora sessuale soprattutto riferita a una donna. “Mi pare che una voce, contro la quale mi sento impotente, mi esorti a descrivere gli eventi di quella giornata e a riferire tutto ciò che so di Lajos, perché è mio dovere e il tempo a mia disposizione è contato”. Così prosegue l’incipit. Ester porta un nome antico, di origine ebraica, che rimanda ad uno ancora più antico di origine babilonese, che indicava Venere, la stella del mattino. Il destino di Ester è di rappresentare l’amore.
Mentre Lajos richiama la tragedia di Sofocle: Laio è il padre sconosciuto di Edipo, che lo uccide per poi sposarne la moglie e commettere incesto. Lajos è l’unico uomo, che Eszter abbia mai amato in vita sua e che in nome dell’antico amore infelice le sottrarrà l’ultimo bene di un patrimonio già dilapidato, la casa dove si è ritirata a vivere e il madorleto, dei cui frutti campa insieme ad una lontana parente fedelissima, Nunu, una sorta di governante protettrice. Pietro Citati in quarta di copertina definisce Lajos uno “fra i massimi cialtroni e mistificatori della letteratura”. Egli è l’amico adolescente del fratello di Eszter, che non ha concluso niente nella vita, vivendo di debiti ed imprese strampalate a spese degli altri. E’ il principale responsabile della rovina della famiglia di Eszter, di cui ha turlupinato il padre grazie a false cambiali. “Mentiva, è vero, ma mentiva come urla il vento, con una specie di forma primordiale, con allegria indomabile”. Anche in questa forza primordiale sembra incarnare il destino e l’emergere potente dell’inconscio come forza travolgente. Alla fine della giornata che passa con Eszter la convincerà a firmare un atto notarile, che gli consegna la casa con il mandorleto in cambio della promessa di ospitarla in un casa per anziani vicino a lui. Il lettore assiste con una smania impotente al compiersi di questo destino: si meraviglia di come la donna, pur rendendosene conto, vada dietro fino in fondo alle manovre, anche abbastanza scoperte, di Lajos. Ella apprende che la sorella maggiore, Vilma, le ha sottratto l’uomo amato, perché la “odiava”.
“Tra noi due divampavano le fiamme di una specie di odio primordiale, di una strana, oscura passione senza nome il cui significato si era cancellato nel corso degli anni”. Come non vedere in questo una rimozione inconscia? L’odio di Vilma è stato tale da aver occultato alla sorella le tre lettere, che ora emergono a distanza di venti anni, in cui Lajos la invitava a fuggire con lui per sottrarsi al matrimonio con Vilma.Tutti i nodi vengono al pettine e il destino dei personaggi si compie sotto gli occhi stupefatti del lettore, che si aspetta da un momento all’altro che Eszter si renda conto del cul de sac, in cui sembra destinata a cacciarsi.
Il destino è il vero protagonista del romanzo, che costituisce il nodo fondamentale di ogni romanzo sia quelli ottocenteschi che quelli novecenteschi, anche se in termini diversi (G. Debenedetti, “Personaggi e destino”, 1947). Se il romanzo moderno è la storia di un uomo qualunque gettato nel mondo (A. Belardinelli, “Discorso sul romanzo moderno”, 2016), il destino di quest’uomo è inevitabilmente connesso con la sua storia. Nel caso in esame è la storia di una donna, costretta a seguire il proprio destino segnato dall’errore tipicamente ed eroicamente femminile di amare a qualsiasi costo. Altrimenti non si può capire perché Eszter va incontro alla propria rovina consapevolmente. Il destino è ripetutamente chiamato in causa da Marai nel libro, ma vi è anche una sua esatta definizione: “Si vive, e nel frattempo si ripara, si aggiusta, si edifica e più tardi qualche volta si distrugge la propria esistenza; ma con il passare del tempo ci si accorge che l’insieme, così come si è formato a causa degli errori e grazie all’intervento del caso, non è modificabile”. Eszter spiega così che “Lajos non poteva più farci niente”, ma parla anche di se stessa.
La cosa più bella dell’intero romanzo, pur nella sua tragicità, è la misura con cui Marai costruisce la storia e i personaggi, un ingranaggio magnifico, descritto con un invidiabile nitore dello stile.
Da ultimo c’è da chiedersi come mai il destino di Eszter sia così fatale, quale forza lo muove inesorabilmente. Abbiamo visto alcune spie semantiche che ci rimandano ad un conflitto rimosso di tipo incestuoso. Indicherò un passaggio significativo con cui Lajos entra inesorabilmente nella vita di Eszter. La voce narrante descrive la somiglianza psicologica e fisica di Lajos e di suo fratello Laci (anche i nomi di somigliano): “sul volto di entrambi aleggiava un non so che di ottocentesco e di romantico che avevo sempre amato in mio fratello e che ritrovavo con piacere in Lajos”. L’amore di Eszter per Lajos è inevitabile proprio per questo e, quando “Lajos cominciò a mostrare interesse nei miei confronti”, dice Eszter, Laci diventò “geloso di Lajos in modo addirittura ridicolo”. Solo il matrimonio con la sorella Vilma sembra interrompere questa gelosia. Non vi sono tracce testuali che alle spalle di questo amore incestuoso ci sia quello classicamente edipico per il padre, anche se l’eredità di Eszter, la casa e il giardino, rimandano a lui. Come si può vedere l’intero romanzo è un potente ritorno del rimosso secondo una lettura psicoanalitica (F.Orlando, “Per una teoria freudiana della letteratura”, 1973)