A metà del secolo scorso in provincia di Grosseto le merci viaggiavano su rotaia che era una bellezza. Negli anni Venti del 2000, invece – nonostante l’Unione europea si sia data l’obiettivo di spostare su rotaie entro il 2030 un terzo delle merci trasportate su gomma (oggi il 76% del totale) – ci ritroviamo «indietro come li calcagni de’ frati». Direbbero sul Monte Argentario. E siamo peraltro un territorio che sta nel contesto dell’arretratezza tipica dell’Italia, che ha una quota di trasporto delle merci su gomma dell’85%.
Com’è che invece di incrementare questo tipo di movimentazione delle merci, più efficiente sulle distanze medio/lunghe – oltre i 300 km per l’Ue – e a minor impatto ambientale, ci siamo ritrovati con un aumento dell’inquinante trasporto su gomma? I motivi sono diversi. Il primo è stato la rinuncia da parte delle ferrovie al trasporto di “collettame”, colli di più clienti, con vagoni dedicati, optando per i più lucrativi «convogli mono-cliente». Che implicano la commessa da parte di grosse aziende in grado di movimentare grandi quantità di prodotti. Anche se, la motivazione della sostenibilità economica del trasporto merci su rotaia, è più un alibi che una certezza. Come dimostra l’esperienza della Svizzera – o anche dell’Austria – Un Paese piccolo, con montagne impervie e pochissime grandi aziende. Ma dove il trasporto merci su rotaia è all’incirca il 50% di quello totale. Là, infatti, sono bastate scelte politiche lungimiranti: «misure di regolamentazione (come una tassa per i veicoli commerciali pesanti), sussidi per il trasporto combinato, divieto di circolazione notturna e nel weekend, con restrizioni sul livello massimo consentito riguardo al peso e alle dimensioni degli autocarri). Insieme ad investimenti per il ripristino e la costruzione di nuove linee ferroviarie; in particolare, di tunnel transalpini» (Relazione della Corte dei conti europea – 2016).
Tornando a Grosseto. Il «servizio merci a carro», cioè il trasporto del collettame, ha funzionato fino alla fine degli anni 80. «Dalla sede di Roccastrada del Consorzio agrario – spiega Simone Luschi, capotreno e custode geloso della memoria ferroviaria maremmana, partivano settimanalmente le gabbie di pulcini per il mercato di Siena, e molti agricoltori spedivano per treno discrete quantità di formaggio. Il mondo della produzione agricola utilizzava spesso il trasporto ferroviario. E ci fu anche la richiesta dell’azienda vitivinicola Villa Banfi di realizzare un raccordo me
rci a Sant’Angelo Scalo, per spedire due treni merci di vino e olio a settimana ai porti di Genova e Civitavecchia. Ma Ferrovie Italiane non potevano garantire di raggiungere le destinazioni entro 24h, e tutto naufragò».
Questo per dire che soprattutto in Maremma il trasporto merci su rotaia era una realtà diffusa. Come dimostrano gli scali ferroviari nei quali i prodotti delle miniere e delle cave venivano trasbordati su treno. A Orbetello c’era un raccordo con la Montecatini per il sito estrattivo di manganese sul Monte Argentario, ad Alberese con i siti estrattivi, a Rispescia con la ferrovia Grosseto-Baccinello. Alla cava della Bartolina sotto Giuncarico, c’è ancora un terminale ferroviario che l’ultima volta è stato utilizzato per rifornire Ferrovie Italiane del ballast (pietrisco) basaltico per l’alta velocità. Follonica, poi, aveva una sua ferrovia per Massa, dalla quale passavano i treni carichi dei minerali delle Colline Metallifere, che venivano imbarcati per raggiungere diverse destinazioni.
Di questo vecchio sistema intermodale di movimentazione delle merci basato sui binari ferroviari, oggi a rimanere in esercizio è solo una parte del fascio merci che serve la zona industriale del Casone di Scarlino. Grazie al fatto che Solmine fa due spedizioni settimanale di vagoni di acido solforico al terminal merci di Rho, avvalendosi del vettore francese Sncf (Société nationale des chemin de fer), dopo essersi servita degli italiani di Cap-Train, e dei tedeschi di DB-Cargo. Infrastruttura logistica che potrebbe tornare molto utile, nel caso in cui il polo industriale avesse uno sviluppo.
Difficile, su due piedi, dire se oggi in provincia di Grosseto ci siano o meno le condizioni per una ripresa del traffico merci su rotaia. Anche se a occhio e croce la ferrovia potrebbe tornare utile per movimentare le produzioni base dell’agricoltura (commodities), oppure i prodotti trasformati come i “Teneroni di Casa Modena” prodotti da Gsi a Santa Fiora, i biscotti di Corsini, l’olio di Certified Origins Italia e Olma imbottigliato al Madonnino. Oppure le passate di Conserve Italia (Albinia), il vino di tante grandi aziende agricole e dei consorzi di produttori, i generatori di ossigeno di Noxerior o i sistemi di verniciatura di Eurosider. Certo è che perché questo avvenga, bisognerebbe renderlo conveniente rispetto al trasporto su gomma. Abbattendo con agevolazioni fiscali “green” in particolare gli ingenti costi fissi aggiuntivi relativi a “primo e ultimo miglio” – ad esempio, per il carico e/o lo scarico nei terminal – che sono ammortizzati in modo più uniforme sulle medie e lunghe distanze.
D’altra parte, i moderni treni merci, fino a un certo peso a carico, possono anche viaggiare sulle rotaie adatte ai treni passeggeri, e la linea tirrenica sarebbe in grado di farne transitare un discreto numero. Con un treno lungo 750 metri, che è una delle lunghezze massime ammesse, oltretutto, si tolgono dalla strada quaranta Tir. È la cosiddetta «autostrada viaggiante», lungo la quale il camion fa l’ultimo miglio, mentre fin dove si va col treno si utilizzano carri ribassati in grado di caricare un bilico. Con ricadute positive su risparmio energetico, minore inquinamento, miglioramento della sicurezza stradale e abbattimento dei costi di manutenzione della viabilità devastata dai mezzi pesanti. Perché essere ambientalisti davvero, significa avere una visione industriale dei processi, promuovere le infrastrutture e pensare alla sostenibilità economica.