PORTO SANTO STEFANO – L’8 dicembre 1943 Porto Santo Stefano fu bombardato dagli Alleati e moltissimi civili persero la vita, un episodio della seconda guerra mondiale che cambiò la vita di Vilma Berogna, allora 13enne, la cui famiglia fu distrutta per sempre.
Vilma, oggi 90enne, vive ancora in paese, circondata dall’affetto di figli e nipoti a cui ha tramandato la storia di una giornata che dice: «Mai e poi mai potrò dimenticare». La giornata era iniziata serena, il clima era di festa, Vilma era vestita bene per partecipare, insieme alla madre Vincenza e alla sorellina Liana, alla funzione dell’Immacolata nella chiesa principale di Porto Santo Stefano, mentre babbo Giovanni era uscito presto per fare la legna insieme ai due figli, Aldo e Rolando.
Al termine della funzione però iniziò a suonare l’allarme: «Eravamo appena uscite dalla chiesa – racconta Vilma – il frastuono degli apparecchi (gli aerei erano chiamati anche così ndr) mi risuonò prima dentro, poi li vedemmo arrivare dal mare, iniziarono a bombardare e a mitragliare. L’ospizio, via Salvatori, la salita del Valle, la Forconata furono le aree colpite. Scappammo tutti dalla paura».
Attimi di panico, il suono dell’allarme, il rombo del motore degli aerei, lo scoppio delle bombe, in un attimo una giornata di festa si era trasformata in un incubo: «Non sapevamo che fare – prosegue Vilma – così io, mia madre e mia sorella siamo andate a casa per ritrovare mio padre e i miei fratelli, ma la casa era vuota. Mia madre si agitò subito, era preoccupata e non sapeva che fare con l’orrore della guerra fuori e la responsabilità di una bambina di 4 anni e di una di 13».
Vincenza attese invano che il marito con i figli tornassero per pranzo e alla fine, non vedendo arrivare nessuno, si fece coraggio e insieme alle figlie uscì per andare a cercare Giovanni, Aldo e Rolando: «Eravamo disperate – dice ancora Vilma – ci dirigemmo verso il Valle, ripercorrendo la strada che solitamente faceva mio padre e, all’inizio del paese, trovammo l’orrore delle barelle che passavano piene di feriti e di ciò che rimaneva dei corpi colpiti dalle bombe, coperti con dei teli. Mia madre riconobbe mio padre dagli stivali e poco più in là riconobbe i corpicini straziati dei suoi due bambini».
La guerra con tutta la sua violenza era entrata prepotentemente nella vita di Vincenza, Vilma e della piccola Liana che aveva soltanto 4 anni: degli uomini di casa non si era salvato nessuno, la mattina Giovanni, neanche 40 anni, Rolando appena adolescente e il piccolo Aldo, poco più grande di Liana, avevano salutato per non fare mai più ritorno, colpiti in pieno da una bomba mentre rientravano a casa per il pranzo. Il bombardamento aveva spezzato a metà la famiglia Bani/Berogna.
«Mia madre svenne per lo shock – continua Vilma – fui io a doverla sorreggere. Il giorno stesso mio zio, il fratello di mia madre, ci portò con sé nella casetta in campagna in località Cacciarella, che si trovava vicino a un rifugio. Scappammo di casa senza nulla, mia madre non parlava più, riusciva a stento a camminare, così io mi feci carico della piccola Liana».
Per un lungo periodo Vilma dovette prendersi cura della sorella e della madre Vincenza, che ha vissuto una lunga vita ma senza mai risposarsi, dedicandosi alle figlie, ai nipoti e ai bisnipoti che ancora la ricordano con immenso affetto: «Nonna Vincenza ha vissuto fino a 96 anni – racconta Elena, una delle bisnipoti – me la ricordo con i suoi capelli bianchi sempre raccolti in una crocchia e l’aria dolce. Viveva con zia Liana, la sorella di mia nonna Vilma che, fin da quando eravamo piccoli, ci ha raccontato la storia di quel giorno in cui le bombe si portarono via suo padre e i suoi fratelli».
«Nonna Vilma non fu l’unica a perdere qualcuno quel giorno – conclude Elena – anche suo marito, mio nonno, perse suo padre, Michele Campidonico. Il mio bisnonno Michele il giorno del bombardamento era dentro il rifugio antiaereo quando all’ingresso vide una bambina piccola vestita di bianco e si precipitò a prenderla per portarla dentro con sé. I due non fecero in tempo a rientrare e una bomba cadde loro addosso. Non siamo mai riusciti a sapere il nome della bambina che il mio bisnonno cercò invano di salvare».
Oggi molte delle vittime dei bombardamenti sono ricordate sul monumento del lungomare, ma per chi è sopravvissuto le ferite di quel giorno restano ancora aperte e la memoria dei caduti nelle famiglie si tramanda di generazione in generazione affinché non vengano dimenticati.