GROSSETO – «Nonostante conosca il suo mestiere, la penna pungente e colorita di Tiromancino, l’articolo sulla pineta non rende giustizia ai fatti scientifici, politici e culturali che le stanno dietro, accanto e dentro». A dirlo il Wwf che commenta l’articolo di Massimiliano Frascino.
«Anzi, si schiera al seguito di noti luoghi comuni, ignorando quanto è già stato detto, ridetto e controbattuto da vari alti esponenti del mondo accademico. A scanso di equivoci, ne alleghiamo in fondo alcuni nomi. Detto ciò, è giusto che ognuno porti avanti le sue tesi e che si evidenzi un fatto: il mondo scientifico e forestale è diviso in merito all’attuale discussione sulla tutela e salute dei boschi italiani (vedi i diverbi sul TUFF, le numerose osservazioni alla Strategia Nazionale Forestale, ecc.): tra quelli che si spendono in nome della coltivazione dei boschi, compresi coloro che hanno fatto i conti di quanta legna si può prelevare (e non intendono rinunciare al ceduo, a costo di regalarci per decenni “boschi stecchini”) e coloro che mettono al primo posto la qualità e salute dei boschi composti (e invocano le foreste vetuste, la tutela della biodiversità, il prelievo minimo e una visione sistemica di bosco, come patrimonio pubblico di diritto). Ma è bene sottolineare che non è un caso se certi boschi in particolare sono stati posti sotto tutela a livello naturalistico o paesaggistico: sono un “capitale naturale di valore” e come tali vanno salvaguardati. Anche dalla fame di sviluppo economico ad ogni costo».
«Bene, proviamo ad essere concisi, su argomenti che chiederebbero invece allargamento di orizzonti e di argomenti – prosegue il Wwf -.
• Senza avventurarci in un’analisi storica dettagliata, che sarebbe per altro molto interessante, mentre gran parte delle Pinete litoranee sono opera di impianti di tempi recenti, comprese le opere di Leopoldo di Lorena alla fine del ‘700, la Pineta del Tombolo, nel tratto tra Marina di Grosseto e Castiglione della Pescaia-Rocchette, è storicamente presente almeno dal 1400 (come ben descritto nello Statuto della Dogana dei Paschi di Siena), anche se studiosi della levatura di Antonio Gabbrielli, raccolgono fonti scritte di pinete dai tempi romani. Questo dona un valore aggiunto alle pinete monumentali grossetane, e le strappa da quel “frutteto moderno, monospecifico a scopo produttivo” in cui alcuni vorrebbero relegarle.
• Quando si parla di pinottolai, si parla di un altro mondo, che non esiste più. Quasi poetico, sebbene non più a norma. Queste persone ormai anziane, che da piccoli alcuni di noi hanno visto all’opera con i ramponi e le lunghe pertiche, arrampicate su ogni grande pino, conoscevano gli alberi uno a uno e il loro mestiere, strettamente manuale, alla perfezione. Un’arte, a contatto diretto e fisico con gli alberi, alla stregua del protagonista calviniano, figlia di quella cultura semplice e profonda del rispetto e del buon senso, oggi assolutamente perduta. Niente a che fare con la raccolta meccanica delle macchine scuotitrici degli anni ’80, di stampo più industriale, che scortecciavano e ferivano i pini, il suolo, facevano tremare le case, raccogliendo tutti i frutti, non solo quelli dell’annata precedente; né con gli interventi demolitori delle attuali macchine che azzerano il sottobosco, prefigurando uno scenario di pineta surreale».
«L’abbandono colturale di cui parla Tiromancino è conseguito alla diffusione, da una ventina d’anni a questa parte, di un parassita infestante, la Cimice americana (Leptoglossus occidentalis), che arreca un danno prettamente economico, provocando l’aborto dei pinoli. Non uccide i pini.
• Altre infestazioni, come quella del Tomicus destruens, temuto insetto forestale, che può portare alla morte i pini, si diffondono su piante sofferenti (*). I forestali hanno sempre indicato necessaria la rimozione immediata delle piante attaccate, con distruzione del legno, per evitare che gli insetti sfarfallino attaccando le piante sane contigue. E’ anche possibile collocare esche. Il vero problema, in questo caso, è che non vengono praticate né la rimozione né le esche. Anzi, si è lasciato che si creasse un “buco”, come quelle davanti al campeggio Eden a Marina, non intervenendo mai da più di 10 anni».
«Non ci risulta che nessuno si sia mai opposto a queste due pratiche.
• La sofferenza è legata a vari stress, più volte citati in vari studi, ma di fronte ai quali non è facile intervenire: salinizzazione della falda (parrebbe legata anche all’eccessivo pompaggio di acqua nei terreni agricoli alle spalle della fascia litoranea di pineta), siccità, areosol marino, …
• La fascia di pino selvatico, Pinus pinaster, è quella sicuramente piantata dall’uomo, in tempi abbastanza recenti, anch’essa preda di una cocciniglia, il Matsucoccus feytaudi, responsabile di infestazioni epidemiche importanti. Inutile, forse, dilungarsi sul fatto che queste infestazioni importate, sempre più diffuse (vedi quelle dei castagni, per esempio) sono il risultato dell’impatto umano sulla natura, sugli ambienti ed ecosistemi, sul clima, etc. Di certo il Matsucoccus non si è diffuso per l’abbandono colturale delle pinete, o per la presenza del sottobosco! Di certo, l’appalto dei tagli fitosanitari a ditte pagate in conto legna, non ha né fermato l’infestazione, né ha evitato che in provincia di Grosseto venissero tagliate grandi piante perfettamente sane, lasciando in piedi pinetti secchi. Questo la direbbe lunga sull’impiego dei fondi pubblici e la politica di difesa e conservazione del nostro capitale arboreo».
Prosegue il Wwf: «La presenza del sottobosco (lentisco, fillirea, ginepri, alaterno, rosmarino, mirto, erica, ma anche leccio e varie querce) potremmo definirla una Bellezza Naturale. Chi non ha sperimentato che il profumo del rosmarino di pineta è ineguagliabile? Così come lo è la mortella in fiore, tant’è che nella Marina di altri tempi, è stata intitolata una via del Mirto fiorito, una alle Orchidee (spontanee), altra chicca tutta maremmana! Chi non ha raccolto o ammirato le distese di ciclamini… Il sottobosco non è una “risorsa da valorizzare nelle centrali a biomasse”, come ebbe a dire un assessore nel 2012. E’ una componente naturale della fascia mediterranea, che da noi si sposa meravigliosamente con i pini, creando un ambiente ricco di biodiversità e bellissimo. Sì, perché oltretutto non tutte le pinete godono della presenza di sottobosco, in alcune viene addirittura “piantato” (per esempio le famose pinete di Ravenna). Si continua a demonizzare il sottobosco, non capiamo come si possa, forse pensando, come capita ancora di sentir dire, che “tolga nutrimento ai pini”, “tolga aria alla pineta”. A detta degli accademici la presenza di sottobosco e caducifoglie:
– arricchisce il suolo, creando un substrato di humus, ricco di microrganismi demolitori, che altrimenti sarebbe sabbioso e povero (Mancini, 1956);
– fa delle pinete formazioni forestali “miste”, più resistenti ai patogeni, più belle e varie, ricettacolo di una biodiversità di eccellenza, che ne ha definito la tutela a livello europeo, come “Habitat prioritario” (DIRETTIVA 92/43/CEE DEL CONSIGLIO del 21 maggio 1992: Dune con Pinus pinea e Pinus pinaster);
– favorisce, ombreggia e protegge la riproduzione naturale dei pini (attestata da luminari come il prof. Pier Virgilio Arrigoni, Antonio Gabbrielli, Aldo Pavari, pilastro dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, Orazio Ciancio, Presidente della stessa Accademia, et al.) che in Maremma è presente e favorita (Ciancio, 1993);
– mantiene più umido il suolo;
– consolida le dune, tanto che Mercurio et al. (2009) raccomandano la rinaturalizzazione
della fascia arbustiva, resistente alla salsedine, per potenziare l’efficacia della barriera vegetale tra il mare e la pineta, assecondando una struttura pluristratificata che contrasti l’azione del vento e della sabbia;
– in ultimo, ma forse più importante, è la sede principale della ricca biodiversità che caratterizza la pineta grossetana, che vanta eccellenze come la Ghiandaia marina (Coracias garrulus, bellissimo uccello in lista rossa a livello europeo), il Cervone (Elaphe quatuorlineata, il più grande serpente europeo, innocuo), la Tartaruga (Testudo hermanni – in progressiva diminuzione ovunque), oltre a molte altre specie di cui dobbiamo andare più che fieri, ma la cui presenza e prolificità non è affatto scontata, come istrici, tassi, ricci, insetti rari, picchi e molte altre specie della Comunità Ornitica, profondamente influenzata dalla presenza o meno del sottobosco, che tra l’altro offre alimento nel periodo invernale, a molte specie svernanti. Ma al momento chi tra amministratori e assessori ne sa qualcosa o si occupa di farcene un vanto?».
«Infine, sugli incendi. Le pinete sono qui da diversi secoli, ma non è certo il cambiamento climatico a provocare gli incendi: il 98% è di origine DOLOSA, nota bene, non colposa, né tantomeno per autocombustione. Chi e perché vuole bruciare le nostre pinete? Questa è la domanda che viene costantemente omessa. Si parla di incendi come di calamità, quando sono pure azioni criminali. Di fronte a queste azioni non è plausibile sacrificare la bellezza, estirpando il sottobosco e riducendo la pineta ad un frutteto monospecifico, con niente sotto. Questo è da pazzi. E’ appena stata approvata la Strategia per la conservazione della Biodiversità, vengono sponsorizzate le Foreste Urbane, siamo in piena pandemia, ma non ci viene in mente di smettere di trattare l’ambiente naturale come fosse inerte? Come fosse piegabile ad ogni capriccio? Sì alla difesa attiva, ai sistemi di monitoraggio, di sorveglianza, di intervento tempestivo, il solo che può salvare ambienti forestali di conifere in ambiente sottoposto a forti venti estivi. No a interventi impattanti e che diminuiscono la stabilità ecologica e la complessità di sistemi biologici complessi: i boschi.
• Risorse turistiche. Non vi è dubbio che attualmente la prima vocazione maremmana sia il turismo. Il nostro patrimonio sono le spiagge, le pinete, i boschi, il mare, la campagna, i siti archeologici, i percorsi eno-gastronomici, ecc. Ma è evidente che solo un approccio strettamente sostenibile può preservare il nostro capitale naturale, la fruizione rispettosa, la messa a disposizione che però non deturpi, inquini, stravolga, impoverisca ecologicamente. Quindi, può andare bene ripulire i pini dal secco lungo le strade, lasciando alle zone più interne la loro struttura più naturale. Ripulire le spiagge degli stabilimenti, ma lasciare le dune e la zona da Fiumara alle Marze (Sito Protetto) più selvatiche, togliere la plastica ma non i materiali spiaggiati, per capirsi. Non trasformare le pinete e i boschi delle località turistiche in “parchi-avventura”, nella “Disneyland maremmana”, anche nel caso appaiano occasioni di “fondi e bandi europei” da spalmare sul territorio.
Caro Tiromancino, alla fine tutto questo è ecologia forestale, cultura del territorio, e non si può esaurire in battutine sugli ambientalisti, che vorrebbero mantenere tutto sotto una campana di vetro. Si ricorda che, nel caso del WWF, si tratta di volontari che sorvegliano i nostri ambienti, monitorano la biodiversità, annoverando tra loro botanici, ornitologi, forestali e ricercatori».