GROSSETO – “In questi tempi così dolorosi e difficili, segnati da una pandemia destinata a sconvolgere il nostro modo di relazionarci, non può passare sotto silenzio la Giornata mondiale della lotta all’Aids. Non è possibile perché ci sono troppe analogie: attenzione al rapporto con gli altri, paura del contagio, l’isolamento, la mancanza di un vaccino, presenza di altre malattie opportuniste, che peggiorano il quadro clinico”.
In occasione della Giornata mondiale per la lotta all’Aids, che si celebra domani, don Enzo Capitani ci ha invito questa riflessione che mette insieme vecchie e nuove pandemie, vecchie e nuove paure.
“Eppure, i rimedi sono semplici per entrambe – prosegue -: per l’Aids rapporti sessuali protetti, no scambio di oggetti per l’igiene personale (forbicine, pettine, tagliaunghie), no al contatto con il sangue; per il Covid mascherine sempre e distanziamento.
Due malattie nuove e conosciute entrambe parzialmente. Dell’Aids qualche anno fa si diceva con uno slogan “Se lo conosci, lo eviti”: era soprattutto un modo per combattere ed esorcizzare la paura. Oggi: “Andrà tutto bene”.
In questo momento il ringraziamento va a tutto il personale medico, paramedico, direzionale della nostra Asl Sud Est, alla Croce Rossa, alla Misericordia, alla Humanitas per il loro impegno; il nostro dolore per le vittime e i loro familiari, la nostra speranza per coloro che sono in quarantena, tutti colpiti da questa pandemia.
Ma non possiamo, nella giornata dell’1 dicembre, dimenticare coloro che in Grosseto sono morti per l’Aids. Non possiamo dimenticare i dottori Giomi, Toti e Nencioni, che hanno dato origine al reparto di malattie infettive tra i più apprezzati d’Italia; grazie a loro che hanno saputo creare dei team professionistici all’avanguardia, che hanno curato e continuano a curare i malati con la speranza che anche per l’Aids venga scoperto un vaccino.
Non possiamo dimenticare i volontari dell’associazione “La Strada” che, sotto la spinta del reparto di malattie infettive, si inventarono la prima assistenza domiciliare dove accompagnare alla morte chi non aveva famiglia o, semplicemente, era stato rifiutato.
Nel frattempo – conclude – a noi oggi spetta di tenere alta la gratitudine e la memoria su questo fronte e dare la solidarietà a chi è ne è colpito ancora oggi”.