AMIATA – Italia nostra Maremma toscana si scaglia contro la lettera inviata da 21 sigle del settore forestale italiano ai ministri Teresa Bellanova e Dario Franceschini, al governatore delle Toscana Eugenio Giani e agli assessori regionali competenti per ‘esprimere forte contrarietà rispetto ad un parere della Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo che, di fatto, blocca la gestione a ceduo dei castagneti del Monte Amiata‘.
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“La lettera – spiegano da Maremma nostra rifacendosi al documento che intende contestare – definisce ‘profondamente scorretto nel metodo adottato per esprimerlo, errato nel merito, in quanto non tiene in dovuta considerazione le caratteristiche culturali, ecologiche e socioeconomiche locali, e dannoso nelle conseguenze interpretative e applicative‘. A questo lasciamo che la Soprintendenza ribatta, anche nelle sedi opportune. A noi preme rinnovare stima e solidarietà a funzionari dello Stato che fanno il loro dovere e sono costretti a subire questo esplicito attacco.
Si argomenta poi che i provvedimenti ‘porterebbero in tempi brevi alla perdita del paesaggio rurale tradizionale dell’area in esame‘. Ribadiamo che il paesaggio tradizionale del monte Amiata, tutelato nel 1959, non contempla il ceduo, come si evince dall’Ortofotocarta del 1954 e dalla carta della statistica forestale del 1949.
Si afferma poi che si ‘rischia di mettere a repentaglio centinaia di posti di lavoro in aree già di per sé marginali e
svantaggiate‘. Questa affermazione è da ritenersi gratuita, tecnicamente infondata allarmistica e atta a generare solo allarme sociale.
Si continua sostenendo che, a proposito del parere della Soprintendenza, che agirebbe ‘in senso contrario a quanto stabilito venti anni orsono dalla Convenzione Europea del Paesaggio (CEP), secondo la quale il ‘paesaggio’ designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni: un paesaggio ‘culturale’. Il paesaggio infatti non è statico, bensì è molto dinamico ed è soggetto a cambiamenti nel breve e nel lungo periodo legati all’uso del suolo da parte dell’uomo ed alle sue esigenze economiche e sociali’. Ribadiamo che proprio le forti proteste delle popolazioni amiatine, riunite in comitati, e anche quelle delle altre popolazioni locali, come le sezioni delle associazioni con sede in provincia di Grosseto e, ormai, di una larga fetta della popolazione italiana testimoniano dome la “percezione” è ben diversa da quella degli operatori forestali vorrebbero soggettivamente sostenere. E proprio perché il paesaggio è dinamico, può e deve essere liberato dalla deturpazione e dalla degradazione del ceduo. A tal proposito, auspichiamo anche l’istituzione di un Parco Nazionale del Monte Amiata.
Si sostiene che ‘il paesaggio caratterizzato dal bosco ceduo rappresenta proprio una delle più diffuse e tradizionali interazioni dell’uomo con il sistema naturale ed è stato utilizzato fin dal periodo etrusco-romano‘. L’affermazione è generica, non supportata da necessari approfondimenti. Sebbene di antica origine la pratica del ceduo, in passato, era ben diversa sia nelle modalità che nella diffusione. Il ceduo è dilagato in provincia di Grosseto a partire dalla fine dell’Ottocento e, nei castagneti dell’Amiata, solo dopo negli ultimi 60 – 70 anni, a seguito delle conversioni per il cancro corticale. Attualmente la maggioranza dei boschi regionali e nazionali sono gestiti a ceduo. Le esigenze
paesaggistiche generali ne richiedono dunque non una scomparsa, ma un radicale ridimensionamento. Nel sostenere quanto esposto, non si capisce come si pretenda poi di proporsi come interlocutori ‘di comprovata esperienza, competenza e conoscenza scientifica‘.
L’affermazione che ‘i pali di castagno fungono da tutore delle piante di vite e sono elementi caratterizzanti del paesaggio toscano e non solo che la normativa nazionale vigente tutela e vuole conservare’, la reputiamo fuori luogo e non attinente al tema: elementi del paesaggio toscano tutelati sono i vigneti, non i pali.
Dissentiamo assolutamente quando si sostiene che il ceduo ‘non solo è compatibile, ma necessita della continuazione delle attività agricole e forestali tradizionali in quanto è l’abbandono colturale a comportare la rapida perdita del paesaggio tradizionale‘. La conversione a ceduo composto non rappresenta assolutamente un abbandono colturale, bensì un miglioramento. È il ceduo che rappresenta invece un abbandono colturale, poiché il soprassuolo non è oggetto di cure colturali, ma solo di raccolta. È tecnicamente quindi un taglio di rapina.
Quando si argomenta che queste disposizioni stanno ‘agendo in contraddizione con le raccomandazioni relative all’applicazione della Convenzione del paesaggio, le quali indicano esplicitamente che non si devono ripristinare caratteristiche naturali o antropiche che non sono più presenti‘, ci devono spiegare perché allora il Testo Unico Forestale e la legge forestale Toscana prevedono che il disboscamento per il ripristino di paesaggi agrari o edifici che non sono più presenti, non debba acquisire autorizzazione paesaggistica. Che anche queste leggi siano in contrasto con la Convenzione del Paesaggio?
Quando sostengono che il Piano Paesaggistico favorirebbe il ceduo prescrivendo ‘un equilibrato e sostenibile utilizzo dei sistemi forestali, con particolare riferimento ai castagneti per paleria dei versanti meridionali e orientali del Monte Amiata e alle utilizzazioni dei querceti collinari‘, noi leggiamo l’esatto contrario, cioè che il Piano Paesaggistico, col particolare riferimento ai castagneti per paleria e ai querceti, anch’essi gestiti a ceduo, voglia chiaramente rappresentare la criticità del ceduo per l’equilibrato e sostenibile utilizzo dei sistemi forestali. Questo spiega proprio perché il particolare riferimento all’utilizzo equilibrato e sostenibile non comprenda invece anche le ben note fustaie di faggio, o di conifere.
Relativamente all’affermazione per cui ‘le conseguenze di questo parere sono già drammaticamente evidenti. Molte imprese boschive professionali si trovano infatti nella tragica condizione di dove chiudere le proprie attività‘, non possiamo che rattristarci per l’ennesimo tentativo di mettere in contrasto lavoro e paesaggio. Sono affermazioni volutamente esagerate, logicamente non corrispondenti al vero. Ma chi può credere che il parere della Soprintendenza abbia già determinato l’evidenza drammatica della chiusura delle attività forestali? Ma per favore.
Se poi per loro il parere della Soprintendenza è stato rilasciato ‘in un modo non solo irrituale, ma anche profondamente scorretto, riprenda letteralmente il contenuto di una nota prodotta da una locale associazione di volontariato (Italia Nostra, sezione Maremma Toscana) e, al contrario, non sia stato discusso con soggetti di comprovata esperienza, competenza e conoscenza scientifica‘, nel rinnovare solidarietà alla Soprintendenza, a noi pare altrettanto irrituale che anche enti pubblici sottoscrivano una lettera che richiama il comunicato di Cna Grosseto, diretto dall’ex assessore regionale all’ambiente, e riprende per filo e per segno i contenuti del comunicato Asea, presieduto dall’ex sindaco di Santa Fiora, che attacca chiaramente un’istituzione dello Stato che, nel ritenere condivisibili le nostre proposte, avrebbe agito ‘sposando il più becero integralismo ambientalista‘. Non abbiamo parole.
Quando poi si rivolgono ai ministri dei Beni Culturali e dell’Agricoltura con un esplicito ‘vi chiediamo pertanto che vengano messe in atto tutte le misure necessarie per bloccare questo parere‘, ed un domani vedremo la Soprintendenza costretta a obbedire a dei diktat politici, potremo sospettare di chi sarà stato il merito. In Italia – concludono dall’associazione – funziona ancora così, purtroppo”.