CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – «Quando vedo le cannucce sulla spiaggia mi viene la tristezza» inizia così il racconto, che è un fiume di ricordi, di Maurilio Bartolini. Un racconto di una notte di 54 anni fa, quando la Maremma fu invasa da un fiume di fango e d’acqua. «Passando davanti al Miramare non posso fare a meno di ripensare a Renzo e a Sergio. Il Ghesti e il Nelli».
«Abitavamo di fronte al Miramare, nella casa del Soldati, davanti alla Barbuscia, vicino a Bisio, Caterina, Carla, Sonia, agli Armellini. Vicino alla famiglia Paolino e alla maestra Nannini a Teresina e Carmelina Fico. Dalla terrazza in cima alle scale si intravedeva il mare ma sopratutto se ne sentiva il rumore, il profumo e il salmastro. Giorno e Notte. Se mi leccavo un braccio lo sentivo salato, sempre».
«Se il mare avesse smesso di fare rumore mi sarei sentito sordo, se avesse smesso di profumare mi sarei sentito senza olfatto. “Spero di non incontrare Renzo e il Nelli perché mi fanno sempre paura… scherzano, lo so che sono dei burloni, ma mi dicono che se mi acchiappano mi fanno la puntura. Non sono né medici né infermieri ma a me fanno paura lo stesso. Sono terrorizzato dalle punture; già c’è Marianna che me le fa davvero…».
«Davanti all’ingresso del Miramare nel lato che da sulla strada nonna Adina seduta su una sedia da regista mi saluta con la solita frase “dove vai bischero”. Bischero è un termine affettuoso. Me lo auguro. “Arrivo sul mare” rispondo. Sulla batticina gusci di conchiglie di tutte le dimensioni oltre a quelle palline di paglia che compaiono solo in certi periodi. La sabbia è piena di cannucce. Alzo gli occhi e vedo il Poggio e il Castello. Penso poi al ritratto di Nonna Adina (non era mia nonna ma per me era nonna comunque) fatto da Ghiglia che mi ha sempre affascinato. Questi sono i ricordi che affiorano» continua Maurilio Bartolini.
«Vedo le cannucce e i tronchi sulla spiaggia e la mente mi porta alla notte del 5 novembre del 66. E’ come fare un salto all’indietro, come un gambero. Avevo 13 anni, fatti a febbraio. E che notte quella del 5 novembre. Allora abitavamo in via Mazzini al terzo piano, tetto a terrazza. Pioggia battente da qualche giorno. Nel pomeriggio sempre più forte. Non smetteva più. Non si poteva uscire si stava in casa all’asciutto. “A forza di piovere alle Paduline rischiano grosso” “Poretti speriamo smetta” sono le frasi che si scambiavano i grandi con aria preoccupata. Noi ragazzetti eravamo solo incavolati perché non si poteva uscire a giocare. A tredici anni giocavamo per strada».
«Il rumore del mare continuava ad aumentare di intensità. Sembrava il rombo di un aereo come quelli che di tanto in tanto passavano decollati dall’aeroporto di Grosseto.
Verso le sei cominciarono i tuoni e i fulmini. Botte da orbi… i lampi illuminavano tutto. Le tapparelle erano abbassate ma dalle fessure si vedevano i bagliori. Le candele erano già pronte in ogni stanza perché “la Maremmana” non garantiva mai la corrente con il tempaccio. Alle otto, cosa più unica che rara, il mio babbo rientra a casa. Strano la tabaccheria stava sempre aperta fino alle 11 di sera, l’ora dell’uscita dal cinema, anche con la pioggia. Allora succede qualcosa di più preoccupante? In casa c’è un’aria strana, di forte tensione. Possibile sia il tempo?».
«Il rumore del mare aumentava di intensità e sul tetto la pioggia faceva il rumore di un tamburo suonato a quattro mani. Poi il buio in casa. Anche stavolta la Maremmana ci aveva traditi. Candele accese dentro e lampi fuori. Una baraonda. Ricordo il pianto di Cristina che era in casa nostra. Solo l’indomani avrei capito il perché era da noi e che cosa determinasse tutta quella tensione. Alla fine, nonostante il rumore dei tuoni, mi addormentai. Mi svegliai di colpo solo quando un rumore come di scatoloni che ruzzolano per strada spinti dal vento mi fece sobbalzare dal letto. Anche su questo episodio ne avrei saputo di più il giorno seguente».
«Si dice la quiete dopo la tempesta… e questa fu la mia sensazione al risveglio. Intanto Franco e Simonetta erano venuti a prendere Cristina, e solo allora seppi della loro avventura. Mi spiego meglio. I genitori di Simonetta (i nonni di Cristina) erano partiti con la Simca da Siena nel pomeriggio del cinque ma la sera non erano ancora arrivati a Castiglione. Franco e Simonetta, preoccupati, avevano deciso di percorrere la strada in senso inverso per rintracciarli ma all’altezza dei Ponti di Badia la loro Jm3 era stata invasa dall’acqua che fuoriusciva dagli argini del Bruna e si era fermata. Loro si erano salvati perché in quel momento rientrava da Grosseto il Cecchi con una Mercedes a gasolio che nonostante l’acqua ormai alta fino al motore continuava a viaggiare» prosegue il racconto.
«Dicevo, la mattina la quiete dopo la tempesta. Si perché il paese era isolato, sia per le strade allagate tutto intorno, sia per le difficoltà di collegamento telefonico. Eravamo in un mondo ovattato. Ad una certa ora però arrivò la telefonata che tranquillizzò sulla salute di Sergio e Ludia i nonni di Cristina. Presi dalla pioggia si erano fermati in una pensione e non erano riusciti ad avvisare».
«Non appena riuscii ad uscire mi avviai verso il Palazzo comunale e cominciai a rendermi conto di quale inferno si fosse abbattuto nella notte sul paese. La strada era fangosa. I tombini aperti. Foglie dovunque. Primo incontro, una bella biscia sul marciapiede. Secondo incontro, un tronco vicino alla croce rossa. Mi spinsi fino alla spiaggia e, lo confesso, mi misi a piangere. Le lacrime mi scendevano fino in bocca e si mischiavano al sapore dello scirocco che tirava fortissimo impedendo alla fiumara di scaricare in mare. Con la camicia appiccicata alla pelle alzavo e abbassavo gli occhi per paura di guardare. Gli stabilimenti balneari erano devastati. Il mare era di un colore che variava dal marrone al grigio. Non c’era nessun segnale del mare che conoscevo. Il mare blu, il mare verde, il mare profumato di sale bagnato. Quello da cui avevo visto sorgere e tramontare il sole solo qualche giorno prima. Alcune case del lungomare mostravano i tetti segnati dalla bufera. Realizzai che il rumore che mi aveva svegliato la notte precedente non poteva che essere stato un pezzo del tetto della casa di Cianciotta o del Carducci. La spiaggia era piena di tronchi e qua e là si vedevano serpenti di ogni tipo arrivati sulle masse di cannucce galleggianti. Qualche animale morto era adagiato sulla battigia. Erano pecore, maiali gonfi d’acqua. L’ odore era sgradevole e con il sole si trasformava in puzza. Io continuavo a piangere e mi sentivo bischero proprio come diceva nonna Adina. Ma non “bischero affettuoso”, bischero e basta. Le notizie che appresi nei giorni seguenti sui danni mi fecero capire che avevo ragione a piangere. Ecco perché quando vedo tronchi e cannucce ammassati sulla spiaggia mi viene la tristezza».