GROSSETO – La verità è che per il turismo non è stata come minacciava in primavera, un’estate distopica (da incubo). Almeno in provincia di Grosseto.
A fine marzo, fedeli all’inossidabile prassi italiana del “chiagni & fotti” in molti avevano dichiarato fallimento preventivo. A inizio settembre, quando di solito parte la bambola dei pre-consuntivi sulla stagione, c’è un silenzio irreale: nessuno che si lamenta, o che all’opposto manifesta soddisfazione. Il segnale-non segnale di un’anomalia.
L’anomalia è che è andata tutto sommato piuttosto bene, nonostante le premesse fossero pessime. Purtroppo non per tutti, ma per buona parte sì. È andata malissimo agli hotel nelle città d’arte: con ricavi a -70%, arrivi a -60% e pernottamenti a -70%. Sostiene un’indagine flash di Confindustria Alberghi. È andata un po’ meglio a chi gestisce un albergo lungo la costa: -40% rispetto l’estate 2019 sia in termini di arrivi che di presenze. Perdendo più o meno metà fatturato. Sempre secondo Confindustria Alberghi.
Benissimo è andata – si vedeva a occhio nudo – a chi ha affittato le seconde case. A gran parte di chi ha gestito attività di ristorazione ed esercizi commerciali lungo la costa. E anche ai gestori degli stabilimenti balneari. Bene in montagna e in campagna. Bene campeggi, residence e villaggi turistici. Naturalmente sempre tenendo conto che questa è stata l’estate del Covid-19. Senza trionfalismi, ma anche senza vittimismi.
Luglio e agosto, in altre parole, hanno fatto un pienone inatteso. Nonostante il mancato apporto dei turisti stranieri, in ritirata strategica dall’intera Toscana. Che peraltro in provincia di Grosseto, a preponderante trazione turistica balneare, l’anno scorso pesavano per poco meno del 25% sugli arrivi totali. Già a metà luglio il trend era chiaro, e per i più sorprendente. «Il mio stabilimento balneare è quasi pieno». «È una stagione destabilizzante. L’anno scorso potevamo tenere chiuso il ristorante fino al giovedì, quest’anno abbiamo tanta gente tutte le sere». Alcune delle risposte degli operatori, a domanda diretta. Con uno stupefacente tutto esaurito in ogni week-end di luglio, manco fosse quello di ferragosto.
A dire che le cose stavano andando per il verso giusto sono stati per primi i sindaci. Quello di Monte Argentario, Francesco Borghini, che a fine luglio diceva di «non aver visto un pienone simile in quarant’anni», con i 200 gommoni per le escursioni marine «prenotati per tutti i 60 giorni di luglio e agosto, e un fatturato di 3 milioni di euro per gli operatori». E quello di Castiglione della Pescaia, Giancarlo Farnetani, che spiegava come il sistema di telecamere che controlla gli accessi al paese, avesse già rilevato a luglio «un incremento superiore al 20% nei week-end rispetto al 2019».
Il mini boom dei due mesi clou dell’estate, con i turisti evidentemente in preda alla smania di dimenticare il lockdown, ha secondo alcuni compensato più o meno i mancati introiti del periodo aprile-giugno, quando quasi tutte le attività erano serrate. Quelle che ci hanno sicuramente rimesso molto, sono state le attività alberghiere tradizionali, che hanno dovuto ridurre il numero dei posti letto per rispettare la normativa di contrasto al Covid-19. Oppure sono rimasti proprio chiusi, come è successo agli hotel Bastiani e Nuova Grosseto, nel comune capoluogo. A rimetterci più di chiunque altro, le agenzie di viaggio che lavorano sull’outgoing dei maremmani e sull’incoming degli stranieri. Gli oltre 30.000 lavoratori stagionali di turismo e commercio, che bene gli sia andata quest’anno potranno contare su due mesi soli di lavoro, con la parallela riduzione dell’indennità di disoccupazione (Naspi). Meno male sono intervenute misure straordinarie di sostegno al reddito, per quanto in alcuni casi con ritardo eccessivo.
Il #tiromancino, tra marzo e aprile, aveva provato a mettere in fila quali sarebbero stati i punti di forza e di debolezza del nostro sistema di accoglienza rispetto alle mutate condizioni di contesto, in seguito alla pandemia di Sars-Cov-2. Individuando come elementi di competitività turistica la presenza di circa 60.000 seconde case – che in condizioni di mercato normali sono un handicap – corrispondenti al 34,1% del patrimonio edilizio provinciale (fonte: Centro studi della Camera di commercio). Gli spazi ampi, la bassa antropizzazione e la reputazione di territorio ambientalmente integro. La forte offerta di ospitalità rurale. L’accessibilità relativamente semplice dalle arre metropolitane di Firenze, Roma e Pisa-Livorno. Alla prova dei fatti, proprio quel che ha determinato il “successo” di una stagione estiva azzoppata dal Covid-19.
Passata la nottata, tuttavia, sarebbe un errore limitarsi alla soddisfazione per aver scampato il disastro. E per questo sarebbe importante, sin da subito, convocare una sorta di “stati generali” del turismo maremmano – per quanto inflazionato sia il termine – per condividere una lettura di come è andata l’estate, e impostare subito le scelte per l’anno prossimo.
L’eccezionalità di questa stagione, infatti, ha solo momentaneamente oscurato i deficit storici dell’offerta turistica maremmana, che sono rimasti un problema non aggredito. A partire dalla frammentazione dell’offerta ricettiva. Dal poco esaltante rapporto qualità/prezzo di tutti i servizi turistici. E dalle strategie di promozione troppo spezzettate.
Se come pare il vaccino sarà disponibile dall’autunno in poi, l’anno prossimo il desiderio di tornare a viaggiare tornerà in modo prepotente. E questo cambierà ancora le carte in tavola, per cui sarà bene farsi trovare pronti. Avendo presente, fra le altre, che la nostra offerta turistica balneare intercetta troppo pochi stranieri rispetto a quel che avviene ad esempio sulla costa livornese. Oltre al fatto che tornerà competitivo il mare di Spagna, Grecia, Croazia, Slovenia, Albania e di tutto il sud Italia.
Insomma è già tempo di provare a «mangiare il fumo alle schiacce» per l’anno che verrà, facendo tesoro del naufragio evitato quest’estate.