GROSSETO – “Presentiamo la nostra città ai piedi di Lorenzo mentre è in santa conversazione con Dio, affinché siamo una comunità che sappia vivere la comunione con Dio, la faccia crescere e la traduca in quella carità che ci fa diventare vicinanza, sostegno e ci fa diventare quella festa, che noi stessi ci impegniamo a costruire realmente”. E’ stato l’augurio del vescovo Rodolfo, domenica 9 agosto, a conclusione del momento di preghiera in cattedrale che ha aperto le feste laurenziane, trasmesso in diretta da Tv9.
Il Vescovo è tornato sulla scelta di non effettuare quest’anno la processione “l’espressione più tradizionale, appariscente e che appartiene al cuore delle nostre feste. Ma l’abbiamo fatto perché come Chiesa e come cittadini viviamo questo momento nella prudenza e nella carità, che impegna tutti a rispettare le regole”. Tuttavia, proprio questa assenza, è diventata occasione per riflettere di più sul dono di san Lorenzo e la sua testimonianza di vita “come persona che ama la sua città, che ci si dedica; come persona viva nella sua famiglia, che è la Chiesa. Come cristiano che ama quel che è più caro nella Chiesa: il Papa, colui che dà sicurezza, nella continuità con gli apostoli, e i poveri che sono la ricchezza perché segno della presenza di Cristo”.
Il vescovo ha poi voluto ringraziare i grossetani che sabato hanno generosamente risposto alla Raccolta di san Lorenzo. Al termine, dal sagrato, ha impartito la benedizione solenne sulla città e la diocesi con la reliquia del patrono.
Questa mattina, poi, in cattedrale il Pontificale solenne. Il Vescovo è stato accolto sul sagrato del Duomo dalle autorità civili e militari e dal Capitolo della Cattedrale. Poi, a conclusione della processione di ingresso della Messa ha ascoltato il messaggio di auguri rivolto a tutta la città da parte del sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna, che, all’offertorio, ha poi acceso il cero votivo a san Lorenzo, ornato quest’anno col particolare di un affresco del Beato Angelico.
Molti i sacerdoti concelebranti, mentre il servizio è stato svolto, oltre che dai seminaristi, da frà Giovanni Greco, della parrocchia di San Francesco, da pochi giorni ordinato diacono. La liturgia è stata animata da una rappresentanza delle corali Gaudete e Puccini dirette da Luca Bernazzani, responsabile musica sacra della Diocesi. All’organo Alessandro Mersi, accompagnato anche da alcuni archi.
Nutrita la presenza dei giovani, sia al momento di preghiera di domenica sera, che questa mattina.
Nella sua omelia il vescovo Rodolfo – che oggi ricorda anche i 7 anni dal suo ingresso in Diocesi – ha prima di tutto chiesto di allargare lo sguardo rivolgendo un pensiero “a tante altre popolazioni provate dal covid o da altre difficoltà; ai Paesi segnati dalla guerra, dalle divisioni e al Libano, provato da tempo, ma in questi giorni in maniera ancor più dolorosa”.
Poi si è soffermato sulla figura di Lorenzo “un uomo santo – ha detto – un giovane dal cuore grande; un testimone della vitalità e del coraggio che la fede in Cristo Gesù e l’appartenenza alla comunità cristiana genera, sostiene, rende feconda in una persona che è come noi, nell’ambiente in cui fu chiamato a vivere come noi oggi siamo chiamati a vivere questo tempo”.
“Lorenzo – ha aggiunto – ci è di incoraggiamento al nostro esser tutti diaconi. Sì, perché in tutti c’è questo carattere di diaconia, di servizio, di voler essere utili, di poter giovare, di servire. Dal piccolo servizio alla scelta professione, al ruolo, al ministero che ognuno ha come persona, come cittadino o come ministro nella Chiesa o nella società, come genitore, come sacerdote, come insegnante, come responsabile di qualsiasi incarico… In fondo nell’essenziale di ogni persona che è viva, che esiste c’è il servire. E se non si serve… a che cosa si serve?”
Ma in Lorenzo la ragione, l’origine di questo senso di servizio “sta nella sua umanità battezzata”, ha precisato – cioè nel suo immergersi nell’esperienza del Vangelo e nella vita viva, vera di Cristo. Gesù aveva detto: “Chi vuol essere il primo, si faccia tra voi servo di tutti”. Essere il primo, mettere a frutto la propria vita, i propri doni, le proprie capacità è un bene, è un dovere, è un ideale da inseguire e costruire perché Dio ha investito bene e ha investito molto in ognuno di noi!”. Ma la via vera, quella che è feconda per sé e per gli altri, è – come dice Gesù – farsi piccolo, mettersi a servizio, fare da sostegno, portare avanti, metterci il cuore, perché cresca il Bene: non solo il mio bene, ma quello di tutti; non perché io domini, ma perché doni me stesso, anche con sacrificio, anche pagando di persona e sembrando, talvolta, anche sconfitto, superato, non riconosciuto”.
E ha concluso: “I suoi sono tempi lontani da adesso, le sue situazioni erano diverse dalle nostre, ma le dinamiche mi paiono sempre più o meno le stesse. E lui le visse stando dentro le situazioni, vivendole con dedizione, amando le persone, scoprendo in ognuno il valore per cui perfino si può mettere a rischio la propria vita”.