CASTEL DEL PIANO – “La cultura ha bisogno di respirare. Di trovare a sua volta nuove opportunità e spazi diversi che consentano di superare la depressione post Covid19. Tutti siamo consapevoli di quanto il nostro Pil sia legato alla cultura in senso lato, ma anche che nulla più sarà uguale a prima, per un bel pezzo. Ecco, fra le cose che secondo me non potranno più avere funzione trainante c’è l’idea della classica fruizione museale. Anzi, per la verità, i migliori musei italiani e stranieri già da tempo hanno trasformato la ‘visita’ al museo in un’esperienza culturale a tutto tondo che superi del tutto l’idea statica del museo come mera conservazione”.
A scriverlo, in una nota, Daniela Brancati, giornalista e scrittrice, membro del Consiglio direttivo dell’associazione “Ildebrando Imberciadori” di Castel del Piano.
“Se questo vale per musei che racchiudono tesori ineguagliabili – prosegue -, a maggior ragione deve valere per noi. Perciò da tempo l’associazione Ildebrando Imberciadori, a cui è affidata una parte del patrimonio di Palazzo Nerucci, ragiona su come farlo diventare il palazzo delle culture della zona Amiata grossetana.
Proviamo a capire cosa possa significare. La scuola ha bisogno di spazi. Forse (ma c’è chi più di noi ne ha competenza) non tanto per lezioni curriculari, quanto per opportunità di altri incontri, di altre esperienze che resteranno per sempre parte del bagaglio personale di chi le vive.
Un esempio? Un conto per uno studente è incontrare la Grande Guerra sui libri di scuola, altro è incontrare quel pezzo di storia patria attraverso i ricordi, i cimeli, i documenti raccolti nel nostro archivio. E non semplicemente ‘guardarli’, ma averli fra le mani e averne cura in qualche modo, contribuendo a commentarli, a renderli visibili.
In molti musei ho visto bambini fare esperienza da archeologi spostando della sabbia messa apposta in un locale perché trovino dei finti reperti, dei ‘cocci’ che diano l’idea e il piacere della scoperta. Dopo questo con maggiore interesse e curiosità guarderanno i reperti veri, le opere che i nostri padri ci hanno lasciato centinaia o migliaia di anni fa.
E così via, tante esperienze sono possibili quando hai a disposizione degli spazi di pregio, la volontà degli insegnanti e la curiosità dei piccoli e/o giovani.
Ma diventare casa delle culture significa anche legare la storia del Palazzo alla storia del territorio, al suo sistema di interessi culturali in senso lato (anche le manifatture pregiate e le tradizioni alimentari e artigianali lo sono). Significa creare contenuti per uno splendido contenitore come Palazzo Nerucci, che siano in linea con la storia e l’identità dei luoghi. Un’identità che oggi è plurale, diversificata e perciò tanto più ricca, ma bisognosa di cure.
Abbiamo la creatività e la capacità per inventare nuove formule – conclude -. E sono certa che se mettiamo la nostra intelligenza collettiva al lavoro, ci butteremo presto alle spalle gli ultimi tre mesi. Per la cultura nulla sarà più come prima del Covid, ma magari diventerà molto meglio”.