GROSSETO – «La recessione economica portata dalla pandemia di Covid-19 sta ulteriormente allargando la forbice fra i redditi bassi e quelli alti. E in un territorio dove già prima della crisi erano evidenti fenomeni di polarizzazione della ricchezza, se non si capisce che serve unità d’intenti, il rischio è che si arrivi allo scontro».
Così i segretari dei tre sindacati più rappresentativi, Claudio Renzetti (Cgil), Fabrizio Milani (Cisl) e Federico Capponi (Uil).
«In questo contesto – spiegano – come sindacato stiamo verificando comportamenti che ci fanno presumere qualcuno stia pensando di reagire al collasso economico puntando su precarizzazione, lavoro grigio e indebolimento dei lavoratori stagionali. Commettendo un errore madornale, perché si troverebbe di fronte a una reazione durissima. Pensiamo infatti sarebbe miope scegliere la strategia dei due tempi: reagire all’emergenza comprimendo i diritti del lavoro, e poi vedere cosa fare nella fase della ripresa.
La provincia di Grosseto – aggiungono Cgil, Cisl e Uil – è arrivata a questo trimestre sciagurato coi noti deficit accumulati negli anni (infrastrutture, perdita di migliaia di posti di lavoro in manifatturiero, commercio ed edilizia) ai quali si sono aggiunte le difficoltà odierne soprattutto nel settore turistico e nel suo indotto. Se già dal 2008 in poi è stata evidente la polarizzazione della ricchezza, col ceto medio in asfissia e una nicchia di privilegio che ha capitalizzato le proprie rendite, oggi assistiamo a un ulteriore impoverimento di lavoro dipendente, pensionati e ampie fasce di lavoro autonomo. Non è un caso che a Grosseto la quota del lavoro de-contrattualizzato e precario sia molto superiore alla media regionale e nazionale.
Come ha sostenuto papa Bergoglio dalla crisi del coronavirus usciremo solo tutti insieme o non ne usciremo. E il sindacato è convinto che l’unico argine a rabbia e risentimento sia uscire da questa brutta situazione tutti un po’ più uguali. Accorciando le distanze tra la minoranza dei privilegiati e la grande platea degli impoveriti. Perché se qualcuno pensa di farlo sacrificando salari e sicurezza dei lavoratori, è evidente che ci sarà battaglia.
Purtroppo i segnali ci sono. Ad esempio nel lavoro stagionale. Per cui dilaga il lavoro grigio: solo una parte di retribuzione ufficiale e l’altra al nero. Una pratica indegna, perché è inaccettabile che chi lavora non abbia piena copertura contributiva e assicurativa. E perché se il lavoro c’è si devono utilizzare i regolari contratti stagionali di settore, non ricorrendo impropriamente al lavoro a chiamata per aggirare le regole.
Lo stiamo riscontrando nel commercio e nella ristorazione, dove il contratto a chiamata è utilizzato per coprire il nero. Ce ne siamo accorti perché molti lavoratori ci hanno detto che gli è stato consigliato di fare domanda per il bonus di ultima istanza e non per la cassa integrazione, così avrebbero ottenuto di più. Ad una verifica, è venuto fuori il motivo: con solo una parte delle ore effettivamente lavorate caricate sul portale Inps, è chiaro che avrebbero avuto un’indennità di cassa integrazione irrisoria rispetto al bonus. Fenomeni di elusione/evasione contributiva e assicurativa che abbattono il costo del lavoro, ma anche le tutele per chi lavora. Fenomeni ai quali si aggiungono le pressioni dei datori di lavoro nei confronti dei dipendenti per passare a partita Iva. O il ricorso esorbitante al lavoro in affitto attraverso le agenzie di somministrazione, coi datori di lavoro che pensano così di liberarsi la coscienza.
D’altra parte, quando il governo Gentiloni rese obbligatoria la comunicazione preventiva via Sms per fruire dei voucher (Prest.O). Questi furono sostituiti dal boom del lavoro a chiamata, perché consente di posticipare la comunicazione e di eludere così i controlli degli organi ispettivi.
A parere del sindacato – sottolineano Renzetti, Milani e Capponi – è sin troppo evidente che in questo paese di flessibilità del lavoro ce n’è in eccesso. E che non è quella la strada da battere per uscire dalla crisi. La scelta fatta ieri dal Governo di regolarizzare i clandestini sfruttati al nero in agricoltura è invece un passo avanti. Ed è incoraggiante che si sia rotto finalmente un tabù che in Italia per troppi anni è stato una vergogna. Ma nelle nostre campagne il vero problema è il lavoro grigio. Il 90% degli operai agricoli assunti regolarmente sono italiani. Ma se crei meccanismi che alimentano lo sfruttamento, come i voucher, incentivi il ricorso al lavoro nero e grigio. Quindi all’elusione fiscale e contributiva. Dove c’è carenza di manodopera, quindi, non c’è bisogno di voucher. E il reddito di cittadinanza è già di per sé uno strumento di inserimento al lavoro.
Per il sindacato – concludono i tre segretari – il lavoro rimane fattore di libertà e emancipazione. Se qualcuno pensa, come teorizzavano a metà ottocento, che sia una merce a basso costo per uscire dalla crisi e innescare la ripresa economica. Allora è bene sappia che noi non cederemo. Dare diritti a chi non ne ha non equivale a sottrarli ad altri, ma significa togliere terreno all’economia illegale che prospera dove non ci sono diritti e vige la legge della giungla. L’obiettivo pertanto dev’essere incentivare il lavoro agricolo di qualità e coltivare una cultura permanente della legalità per tutti, italiani e non, contro ogni forma di sfruttamento e di concorrenza sleale. Chi non ha capito, si prepari a una mobilitazione vasta con proteste durissime. Al cui confronto quelle viste in queste due ultime settimane da parte di alcune categorie, sembreranno delle scampagnate».