GROSSETO – Ci sono libri, film, canzoni, frasi, che per l’universalità intrinseca del messaggio che veicolano si prestano alle citazioni. A diventare antonomasia, metafora, metonimia. Fra questi c’è il bellissimo libro di Primo Levi – il cui titolo non è abusato a caso – “Se non ora quando”. Che racconta il rocambolesco viaggio di alcuni partigiani ebrei russi e polacchi, che in fuga dalle persecuzioni naziste, e da quelle comuniste che riprendevano la tradizione russa dei «pogrom», attraversano l’Europa dell’Est per arrivare in Italia. A Milano.
Il titolo di quel libero del 1982, è diventato una metafora buona per rappresentare l’urgenza di compiere una scelta vitale.
Oggi in provincia di Grosseto è vitale cogliere la necessità di reimpostare un modello di sviluppo che da troppo tempo zoppica, perché è stato comodo dimostrarsi accondiscendenti col senso comune. Cosa diversa dal buon senso.
L’occasione ce la fornisce la crisi innescata dalla pandemia di Covid-19. Quest’anno la nostra economia provinciale sarà azzoppata soprattutto dalla brutta performance del turismo. Non si sa ancora in quali termini. Ma dando per buona la valutazione di uno studio dell’Osservatorio turistico dell’Emilia Romagna, che quantifica il peso del valore aggiunto diretto e indiretto del turismo in provincia di Grosseto sopra al 30% del totale, è chiaro che a fine 2020 mancheranno all’appello qualche centinaio di milioni.
Il comparto turistico ha portato e porta ricchezza al nostro territorio. Ma pesa troppo sul totale del valore aggiunto, oltre ad avere una produttività generalmente più bassa di industria e servizi. È assodato, al di là dei deficit specifici dell’offerta turistica maremmana. Oggi lo mettono più che mai in evidenza le conseguenze della pandemia in corso.
Nella nostra realtà a pesare ancora decisamente troppo poco, è invece senza dubbio il settore industriale. Appena l’8% del Pil provinciale a fronte del 18-20% della media nella regione. Con un terziario che salvo alcune punte di diamante, ha troppo pochi servizi avanzati e innovazione. Il problema è noto da tempo, ma nessuno ci ha mai messo davvero le mani. E chi ce le mette farebbe meglio ad occuparsi d’altro, come nel caso della scelta suicida e ideologica fatta dal Comune capoluogo di non accettare la sperimentazione di reti 5G sul proprio territorio fino al 2021. Legittimando una visione tanto idilliaca quanto irrealistica di questo territorio come di una contemporanea “Arcadia”. Quando oramai anche i sassi hanno capito che sviluppo industriale e dei servizi avanzati ad alto valore aggiunto, passerà proprio per le reti ultraveloci. Tanto più necessarie nei territori marginali.
Quest’anno, ad esempio, a sostenere economia e consumi della zona nord saranno le aree industriali del Casone e della Botte di Scarlino. Dove le aziende non si sono mai completamente fermate, e quando lo hanno fatto, sono riuscite ad anticipare la cassa integrazione a chi è rimasto a casa. Molto meglio del bonus da 600 euro o della cassa integrazione straordinaria. È un esempio concreto che aiuta a capire.
A Grosseto città qualcosa si muove, con aziende manifatturiere significative come Noxerior, Roberto Ricci Design e Toscano Alta Sartoria che presto si trasferiranno in nuove sedi perché stanno ampliando la propria capacità produttiva.
Se qualcuno sarà in grado di progettare e gestire un percorso di uscita dalla crisi e di sviluppo economico, è bene capisca che gran parte delle risorse da mobilitare andranno concentrate su pochi comparti strategici, riconducibili all’industria e ai servizi avanzati. Capisca cioè che bisogna emancipare questo territorio dall’eccessiva dipendenza dal turismo. Tornando a Primo Levi: se non ora, quando?