La riscoperta dello Stato coincide con l’inutilità della sovranità nazionale. Potrebbe sembrare contraddittorio, ma proprio non lo è. Già prima della pandemia era chiaro come il sole che gli eventi climatici estremi richiedevano un governo sovranazionale dell’economia. Per quanto coorti di scienziati da bar si esercitassero con grande sprezzo del ridicolo a perculare l’incolpevole Greta Tümberg. Ma oggi più che mai risulta indilazionabile costruire istituzioni mondiali più solide, e soprattutto più operative. A partire dal rafforzamento delle politiche fiscali ed economiche dell’Unione europea. Considerato che i confini fra Stati non fermano né i virus, né le catastrofi ambientali. E che le varie economie sono indissolubilmente interconnesse sia in termini di catena della produzione del valore, che in quelli di sbocchi commerciali per beni e servizi.
Lo Stato, invece, gode di un revival dai connotati divertenti assai. Paradossalmente, infatti, a riscoprire le qualità taumaturgiche dell’odiato Moloch che fino a ieri stritolava la libera iniziativa. Menomando la “mano libera del mercato” vessata da tasse, lacci e laccioli. A riscoprire lo Stato, guarda un po’, sono i campioni del turbo capitalismo. Gli alfieri del darwinismo sociale, che vedeva di buon occhio la soccombenza della forza lavoro inetta e poco propensa alla competizione. I cultori dell’economista Friedman e dei Chicago boys, odiatori seriali delle tasse e dei servizi pubblici. I profeti della flat-tax come unguento salvifico del capitalismo d’assalto. Gli iperliberisti teorici degli animal-spirits della concorrenza vissuta come religione. Esegeti della sanità e dell’istruzione privatizzate, che premiano i migliori. Ché è l’economia a plasmare la società, punto e basta….
Poi un bel giorno s’affaccia al mondo la pandemia da Coronavirus. Cambiano le prospettive delle magnifiche e progressive sorti del capitalismo arrembante e globalizzato. E allora tutti a invocare lo Stato, quasi in ginocchio. Con giravolte e tripli salti carpiati mirabolanti. Fino a sostenere teorie estreme come la “helicopter money” o la stampa di moneta a go-go. Ignorando le basi della macroeconomia e dell’economia monetaria, che paventano rischi (di buon senso) come la “trappola della liquidità” o la “stagflazione”. Naturalmente tutto giustificato con la salvezza del sistema (capitalistico) e dei consumatori, mucchine da mungere anche nel momento più buio della crisi. Per poi ricominciare da capo come dopo la botta del 2008-2009. Senza trarre alcuna lezione dalla storia.
Da secoli intellettuali e artisti, trovano ispirazione nei comportamenti grotteschi della commedia umana. Peraltro a questo giro, potrebbe essere l’ultima volta in cui c’è da divertirsi. Perché i morti rimasti sul campo, potrebbero essere in sovrannumero imbarazzante rispetto agli spettatori accomodati in platea. Perché ci vorrà molto di più di uno Stato “utile idiota” dei padroni del vapore. «Fusse che fusse la vorta bbona?».
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