GROSSETO – Si scrive Pis. Si legge “piano integrato di salute”. Non è una perversione nutraceutica o dietologica, ma un documento di programmazione socio sanitaria a scala territoriale. Se ne sta discutendo in questo febbraio a Grosseto. Capoluogo dell’immanente nuova grande Società della salute (Coeso-Sds), che tiene sotto lo stesso cappello l’area grossetana, l’Amiata e le Colline metallifere.
Una roba per niente erogena. Né in termini giornalistici, né in quelli motivazionali alla lettura. Non c’è dubbio. Almeno in prima battuta.
Tuttavia, un buon pretesto per parlare di noi. Perché il “profilo di salute” elaborato dalla società Simurg Ricerche per conto di Coeso-Sds (scaricabile dal sito internet: www.coesoareagr.it) è una miniera di dati statistici socio-economici ed epidemiologici che descrivono la nostra realtà. Offrendo alcune chiavi di lettura. O comunque spunti di riflessione.
Questo #tiromancino si occuperà quindi dei giovani, per ragionare di demografia, futuro e identità. Argomenti meno ampollosi di quel che sembrano a prim’acchito.
Nella zona sociosanitaria Amiata-Metallifere-Grossetana (esclusa quella delle Colline dell’Albegna), dunque, sono residenti 24.000 minorenni. Corrispondenti al 14% della popolazione totale. L’1% in meno della media regionale toscana. Comunque troppo pochi, in termini assoluti e percentuali, a dimostrazione del fatto che i giovani sono oramai un bene scarso in tutte le società occidentali. Non a caso incapaci a raggiungere il tasso naturale di sostituzione: pareggiando i morti coi nati.
Che le cose vadano male, d’altronde, ce lo dice anche un altro parametro. L’indice di vecchiaia, che «coglie la velocità di ricambio di una popolazione, confrontando gli anziani ultra 65enni con i giovani sotto i 15 anni». Nella solita area socio sanitaria di riferimento di Coeso-Sds, infatti, ci sono oggi 234 anziani ogni 100 giovani sotto i quindici anni. «Ossia – recita il profilo di salute elaborato da Simurg – circa 2,3 anziani per ogni giovane. Dato superiore a quello medio regionale (205 per 100)». Guardando la differente struttura per età delle articolazioni zonali, poi, viene fuori che sull’Amiata il valore è 286/100, nelle Metallifere 256/100, mentre nella Grossetana c’è il valore migliore, con 218/100. Un contesto demografico evidentemente ansiogeno.
Non solo questo però. Simurg ci mette sopra il carico da undici: «la tenuta della quota di minori – sottolinea nel rapporto – è stata garantita finora soprattutto dalla componente straniera, che è rallentata negli ultimi quattro anni. E che se continuerà nelle dinamiche attuali potrebbe mettere definitivamente a rischio il ricambio generazionale, peraltro già in crisi».
Certo, tutto questo parrebbe essere frutto di una lettura interessata di stampo komunista delle dinamiche demografiche – e d’altronde Simurg Ricerche è di Livorno – ma potrebbe non essere così semplice. Perché anche l’Istat, baluardo dello Stato borghese, proprio in questi giorni ha confermato come l’andazzo delle nascite nel belpaese sia tutto meno che esaltante. Con una riduzione lo scorso anno di 116mila residenti sul 2018. Ma soprattutto con l’aumento del divario tra nascite e decessi: appena 67 neonati ogni 100 persone morte (dieci anni fa erano 96). Mentre, per fortuna, rimangono positivi, ma in rallentamento, i flussi migratori netti con l’estero: il saldo è di +143mila, 32mila in meno rispetto al 2018.
Alla fine a fare la differenza è il fatto che nel 2019 il tasso nazionale di fertilità è stato di 1,29 figli per donna in età fertile. Con una media di 1,22 figli delle donne italiane, e di 1,89 di quelle straniere. Che lo scorso anno si sono distinte per aver partorito un quinto dei bambini (85mila) nati in Italia. Fermo restando il fatto che, con 435mila neonati, il 2019 è stato l’anno peggiore dal 1918.
Con questi lumi di luna sarebbe lecito aspettarsi un dibattito serio, e magari basato su evidenze demografiche scientifiche. Speranza chiaramente mal riposta. Anche se, bisogna dirselo, donne e uomini di buona volontà, non possono esimersi dal porsi il problema del preoccupante declino demografico di Maremma e Amiata. Peraltro inserito nel contesto di quello più generale toscano, italiano ed europeo. Per quanto la Toscana abbia registrato la performance meno peggiore di tutte le altre regioni del centro Italia, quanto a perdita di popolazione: solo -0,5 per mille di residenti.
Ad incidere sull’abbattimento drastico del tasso di natalità – cioè il numero di figli per donna in età fertile (15-49 anni) – infatti, sono diversi fattori. Non tutti riconducibili a cause che troppo spesso si danno per scontate.
Il primo motivo della riduzione delle nascite, infatti, sta nella contrazione delle “coorti” di donne in età fertile. A sua volta conseguenza della diminuzione delle nascite verificatasi a partire dagli anni 70. Poi c’è senza dubbio il tema della carenza delle “politiche per la natalità”. Dai servizi all’infanzia alle misure di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, fino alla precarizzazione dei contratti. E alla struttura delle deduzioni/detrazioni Irpef che penalizza le famiglie con figli, rispetto a quel che avviene in Stati come Spagna, Francia e Germania (dimostrata da una recente inchiesta di Sole24Ore Plus). Motivazioni confermate dall’Ispettorato del lavoro, che ha verificato sul campo come il 70% delle donne che lasciano il proprio impiego, lo fanno per l’impossibilità di conciliarlo con la maternità.
A metterci del suo, indubbiamente, la crisi economica che da dieci anni batte sulla testa degli Italiani. Ma anche la progressiva e più marcata integrazione degli stranieri, che si manifesta (è oramai assodato) anche con la convergenza dei loro tassi di natalità verso quelli dei Paesi in cui emigrano.
Infine – ma tutt’altro che ultima per impatto – l’epocale trasformazione culturale che il benessere economico ha indotto nei comportamenti sociali. E quindi nelle cosiddette «scelte riproduttive». Che piaccia o meno, infatti, la società dei consumi ha avuto un impatto evidente sulla pianificazione familiare. Come Michele Serra ha sintetizzato da par suo in una recente “Amaca” su «La Repubblica». Per cui, in definitiva, non basta avere a disposizione un asilo nido per scegliere di fare un figlio.
Sia come sia. Come dice Simurg nel “profilo di salute”: sul ricambio generazionale a Grosseto (e non solo) siamo vicini «al punto di non ritorno». E se in qualche modo ce la caveremo, lo dovremo quassi esclusivamente all’apporto positivo dell’immigrazione. Per cui non è provocatorio pensare che entro breve tempo, dall’Europa muoveranno le navi verso le coste del Nord Africa alla ricerca disperata d’immigrati che ci garantiscano la sopravvivenza del nostro modello sociale. Gratificandoci con le loro braccia e rinsanguando le etnie italiche col loro genoma. Forse alla volta dell’Egitto che ha appena superato i 100 milioni di abitanti.
Magari del tema s’occupasse con lungimiranza la politica! Anche per evitare che tutto si traduca in una futuribile reinterpretazione del colonialismo novecentesco. Invece che dilapidare energie in battaglie immaginarie su prescrizioni e processi politicizzati. Autorappresentando problemi di pochi come preoccupazioni della maggioranza.