GROSSETO – Ma Grosseto è o non è una città “sicura”? E in seconda battuta: che fine hanno fatto le ondate di indignazione che fino a poco tempo fa s’alzavano impetuose con cadenza regolare? Ad ogni scippo, rapina o fenomeno di microcriminalità.
Le risposte sono oggettivamente semplici. Quanto a sicurezza, Grosseto è sostanzialmente la stessa città da una decina d’anni a questa parte. Nel senso che la crisi economica e l’impoverimento generale che ne è conseguito a partire dal 2009-10, come sempre succede, sono coincisi con una lievitazione degli episodi di micro-criminalità e una recrudescenza dello spaccio. Quanto alle proteste. È ancora più facile: non siamo ancora a ridosso della campagna elettorale. Quindi l’indignazione a comando, eterodiretta a fini politici, non è ancora un business lucrativo. Tanto più che oggi chi per cultura politica esalta il tema della sicurezza come argomento elettorale – notoriamente il Centrodestra – si ritrova al governo del capoluogo. Quindi, nel frattempo, le parole d’ordine sono: ovattare, derubricare, ignorare.
Tutto abbastanza ovvio, a guardare le cose con occhio distaccato. Anche se poi la razionalità dell’analisi difficilmente incide sulla realtà dei comportamenti sociali. Come infatti hanno messo in chiaro gli studi di psicologia cognitiva – a partire da quelli sulle motivazioni delle scelte relative agli investimenti finanziari – la razionalità non è proprio la bussola che guida le masse. Per cui basta alimentare artificialmente la percezione dell’insicurezza per offrire al volgo le solite inefficaci ricette securitarie, che puntualmente vengono accolte come salvifiche e risolutorie. Salvo ricominciare da capo al successivo ciclo elettorale.
Il microcosmo di Grosseto è l’antonomasia di questo meccanismo perverso. L’omicidio di via della Pace, i colpi di pistola in piazza Esperanto, lo spaccio diffuso capillarmente, l’aggressione con rapina al parroco di Alberese, e, ultima della serie, il furto con “spaccata” al negozio Fotonova a due passi dalla stazione ferroviaria…. Fossero avvenuti a inizio 2021 sarebbero stati il pretesto perfetto per una bella campagna elettorale all’insegna del sempreverde “più sicurezza e più poliziotti in strada”. Ché in certi casi, ferma restando l’immancabile crociata contro l’immigrazione, la colpa è sempre dello Stato (e dei giudici) troppo lassista e poco repressivo.
Eppure dalla campagna elettorale della primavera 2016 ad oggi, ne è passata di acqua sotto i ponti. Con centinaia di telecamere installate a furor di popolo. Vigili urbani investiti del ruolo di sceriffi. Polemiche con la prefettura per avere più uomini sulle strade. Fioritura di gruppi autorganizzati per la sorveglianza nei quartieri. Incursioni (inutilissime) di unità cinofile antidroga nelle scuole. Insomma uno schieramento repressivo contro criminalità e micro-criminalità che stando alle rassicurazioni elettorali, avrebbero dovuto risolvere i problemi alla radice. Senza meno.
E invece niente. Il malaffare continua a regnare sovrano nel nostro miserrimo capoluogo, come a Gotham city. Ineffabile quanto palpabile. Dando evidenza di sé a intervalli sempre più ravvicinati. Con atti progressivamente più violenti.
Com’è, dunque? È che bisognerebbe abituarsi a convivere con un tasso accettabile di criminalità, senza drammatizzarne gli episodi oltre il lecito a fini di consenso politico. Se non altro perché delinquere è connaturato alla natura umana. E bisogna accettare che purtroppo è possibile tocchi a ciascuno di noi, naturalmente augurarsi di avere la fortuna di non incappare nelle brutture della vita.
Ma soprattutto bisognerebbe avere chiaro che l’origine di buona parte dei fenomeni di criminalità e micro-criminalità originano dalle crescenti diseguaglianze sociali. Così come il dilagare delle droghe più disparate è alimentato dall’approccio proibizionista al tema delle dipendenze. Per quanto l’argomento non sia popolare, le cose stanno inesorabilmente così.
Oxfam – la più grande organizzazione mondiale di contrasto alla povertà – ce lo ha ricordato alla fine dello scorso gennaio. L’82% d’incremento della ricchezza globale registrato nel 2018, è finito nelle casseforti dell’1% più ricco della popolazione, mentre la metà più povera del mondo (3,7 miliardi di persone) ha avuto lo 0%. In Italia a metà 2017, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta. Nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuito del 23,1%.
Reprimere quindi – per quanto inevitabile – non è la strada più efficace per contrastare la criminalità. Bisogna prenderne atto. E puntare su prevenzione e riduzione delle diseguaglianze. Cosa che si può fare a sul piano locale. Ognuno per il proprio pezzetto.
Anche se è certo più semplice scegliersi come nemico pubblico numero uno migranti e profughi. Anche se è molto più semplice promettere punizioni esemplari e immaginari schieramenti di forze dell’ordine a ogni angolo. Salvo poi trovarsi di fronte al classico furto con “spaccata” a due passi dalla stazione ferroviaria. In una delle zone più videosorvegliate e battute della piccola città.