GROSSETO – Dopo il crocifisso, d’essere arruolato nel Centrodestra grossetano è toccato anche al poro presepe. La coscrizione ha una sua ferrea logica, e non poteva finire altrimenti. Se la stabilisci, la leva obbligatoria, è chiaro che prima o poi tutti vengono reclutati. Senza guardare in faccia a nessuno. Che si tratti di un povero Cristo, di tapini pastori o di quei disgraziati del bue e dell’asinello. Oltretutto in forma solenne, con tanto di votazione nel Consiglio comunale.
La surreale e bislacca trovata di «rendere obbligatorio il presepe nelle scuole comunali» è andata in scena lunedì 16 dicembre, ed è subito assurta alle cronache nazionali come fulgido esempio di fancazzismo ideologico prenatalizio, condito in salsa sovranista. Fra l’altro – ahi loro! – i consiglieri comunali centrodestri, ausiliati dall’astuta astensione di alcuni centrosinistri, si sono cimentati nell’eroica argomentazione della mozione, proprio nel giorno in cui la classifica sulla “Qualità della vita nelle province italiane” del Sole 24 Ore relegava Grosseto ad un infingardo 79° posto. Apparecchiando alla pubblica opinione la plastica dimostrazione del distacco incolmabile tra politique politicienne e mondo reale.
A scanso d’equivoci. Al presepe in quanto simbolo universale non si può non voler bene per quel che rappresenta, anche non allestendolo né essendo credente. Per questo è opportuno precisare che intento del #tiromancino non è ragionare di religione, ché non c’è competenza alcuna da spendere, quanto piuttosto del suo utilizzo con finalità palesemente strumentale. E di cosa questo significhi in termini di cultura politica e istituzionale.
Improrogabile eccezione natalizia alla regola del questa rubrica di stare alla larga dalla cronaca politica. Tanto era ghiotta l’occasione.
Leggendo l’esilarante mozione approvata in Consiglio comunale – condita di maccheroniche nozioni giuridiche e storico-religiose – quel che emerge con cristallina evidenza, è la pretesa di piegare la simbologia cattolica insita nel presepe alla bisogna del proprio schieramento politico. Coll’obiettivo palese di giustificare la contrapposizione fittizia “noi cattolici contro il resto del mondo”. A sua volta funzionale alla profferta non richiesta di tutoraggio da parte del “cristianissimo” Centrodestra. Certezza che si rafforza – ché le parole pronunciate sono meno addomesticabili di quelle scritte – ascoltando il “folgorante” dibattito accesosi fra i consiglieri comunali. Non a caso, il giorno successivo al Consiglio comunale, sui profili facebook dei solerti assessori e consiglieri fratelli d’Italia è apparso un giubilante volantino di propaganda “presepizia”. Degno di quelli maturati nel clima politico coevo alla Repubblica di Weimar, negli anni ‘20 del secolo scorso.
In pratica un meme, il cui senso sarebbe grossomodo: «Dio c’è, e combatte insieme a noi». Parodia della politica che prefigura una specie di “Isis de noantri” in corso d’addestramento in Maremma…..Sostanziale eterogenesi dei fini rispetto alla pretesa e rivendicata superiorità dell’Occidente sull’Islam.
Al di là dell’ondata di sarcasmo (detto con benevolo eufemismo) che l’eroica impresa ha suscitato in tutt’Italia, ironia della sorte ha voluto che a prendere le distanze da questa inguardabile strumentalizzazione fosse proprio la Curia grossetana. Per bocca del Monsignore Franco Cencioni. Ultranovantenne grillo parlante che ha dimostrato una lucidità politica degna della migliore tradizione gesuitica. Proprio lui, che in mattinata aveva fatto trovare ai consiglieri un testo sul significato profondo del presepe, infatti, ha annusato per primo il trappolone che i solerti centrodestri, più realisti del re, avevano teso alla Chiesa. Nel tentativo di trascinarne la simbologia spirituale in una farsesca tenzone politica su chi avesse più quarti di nobiltà cattolica, da esibire sulla piazza virtuale di una politica in crisi d’astinenza d’idee.
Con la prontezza degna di un’azione di blitzkrieg (guerra lampo), don Franco ha esplicitato al Corriere Fiorentino un ragionamento che merita d’esser riportato: «la fede è un atto libero, viene dall’accoglienza di un dono frutto non dell’intelligenza, bensì del cuore e della necessità intima di avvertire le domande fondamentali dell’esistenza. E a queste domande le risposte non possono essere obbligate. Da nessuno. Se non dall’assecondare volontario della mente e del cuore. Alla ricerca di chi davvero può dare una risposta».
Il presepe imposto nelle scuole e nel palazzo comunali, quindi, è una scelta sbagliata. Impropria. Anche la Chiesa rispetto al recente passato, cioè, ha compreso benissimo che in una società ampiamente secolarizzata e laicizzata la cosa migliore per testimoniare la propria visione e fare proseliti, è convincere le persone con l’esempio, il cuore e le argomentazioni. Evitando atteggiamenti impositivi o dogmatici fino al paradosso.
Gli unici a non averlo ancora capito sono certi grotteschi alfieri del clericalismo pre-unitario, da Papa Re, che insistono in una lettura politica della società contemporanea basato su uno schematismo tribale, degno del Medioevo più buio. Visione premoderna del mondo suggellata, venerdì scorso, dall’orrida e tracotante esibizione del presepe come feticcio politico da parte Matteo Salvini, in occasione del congresso della Lega.
Mettiamo da parte in questo caso ogni argomento (per chi scrive scontato) sulla laicità dello Stato e della scuola pubblica, che rimane un’istituzione aconfessionale votata all’educazione e alla formazione. Per guardare alla sostanza politico istituzionale del goffo tentativo di fare del presepe, «di consone dimensioni», una bandiera politica da sventolare negli atrii delle scuole.
Possibile non si rendano conto, costoro, di essere contraltare e alibi perfetto per estremismi di ogni natura, basati su argomentazioni para-religiose uguali e contrarie? Di qualunque matrice siano, e in ogni caso forieri di conseguenze nefaste.
Possibile non capiscano che i contenuti didattici non possono essere decisi con una mozione di Consiglio comunale, perché questo non solo sovverte il principio delle competenze, ma soprattutto rappresenta una pillola (per fortuna insignificante) di Stato Etico?
Possibile, infine, coltivare consapevolmente l’incoscienza fino a superare qualunque limite, e qualunque vincolo etico o morale. Pur di affermare il proprio punto di vista travisando ogni contenuto col marketing politico?
Lo spauracchio che agitano questi agit-prop di un clericalismo retrò, burocrati delle tradizioni stabilite per editto, sono evidentemente i circa 2,7 milioni di musulmani che vivono in Italia (un milione e 200mila dei quali con cittadinanza italiana). Su questo non ci piove. Ma fare leva sul Bàbau del nemico interno per rosicchiare un po’ di consenso elettorale, è uno dei sintomi più inequivocabili della cultura reazionaria, aggressiva e antidemocratica. Per quanto mimetizzata da rispetto delle tradizioni, di cui ci si auto nomina tutori. Tutta roba già ampiamente vista nel passato recente e lontano.
La novità vera in tutta questa grottesca vicenda, sta nel fatto che aver attraversato il Rubicone della decenza è il segnale inequivocabile della perdita di contatto con la realtà. L’inizio della fine della fase ascendente di un approccio culturale, prima ancora che politico, che per quanto deviato finora ha pagato sul piano elettorale. Ma che sempre più persone percepiscono come pericoloso, oltreché irrealistico e improduttivo per gli equilibri della nostra società.
A ben guardare, fra le altre cose, le cosiddette «Sardine», con la loro denuncia del linguaggio del sovranismo, hanno colto questo dato. Intercettando un idem sentire sempre più diffuso fra le persone normali, stanche di una farsesca gara al rialzo.
Ecco, se queste impressioni troveranno conferma, allora l’onta subita il presepe sarà stato lo scotto accettabile per poter ricondurre questo Paese sui binari della normalità.