GROSSETO – Anche coi forni spenti da anni, l’inceneritore di Scarlino continua a bruciare polemiche e sentenze. E se la logica non è un’opinione, la vicenda è tutt’altro che conclusa. Prima o dopo questo territorio dovrà fare definitivamente i conti con la propria visione dello sviluppo. E l’impressione netta è che l’impianto di Scarlino Energia costituirà il pretesto per fare chiarezza.
Prima i fatti, poi la loro interpretazione. Negli ultimi giorni si sono susseguite due sentenze della magistratura che avevano per oggetto altrettante questioni inerenti l’inceneritore della piana. A fine novembre il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Grosseto ha archiviato l’indagine nei confronti degli amministratori della società per «bancarotta fraudolenta», perché il «fatto non sussiste». Pochi giorni fa, invece, il Tribunale di Grosseto ha depositato la motivazione della sentenza che ha accolto la «class action» promossa alcuni anni fa dai comitati che si oppongono all’impianto. Sentenza che gli ha dato ragione, imponendo un fermo precauzionale perché potrebbero esserci emissioni pericolose, ma che di fatto non produrrà né risarcimenti né effetti concreti. Dal momento che l’inceneritore è fermo da anni in conseguenza di sentenze amministrative sulla procedura autorizzatoria.
Nel frattempo il gruppo Unieco, di cui fa parte Scarlino Energia, è in stato di liquidazione ed entro la prima metà dell’anno prossimo si attende il subentro di un nuovo soggetto industriale. Che evidentemente rileverà anche l’impianto scarlinese. Fin qui i fatti, estremamente semplificati.
Passando all’analisi, e quindi a una previsione plausibile, bisogna iniziare dall’esegesi delle parole di Moreno Periccioli, presidente di Scarlino Energia, che ha sottolineato come la recente sentenza si riferisca alla «attuale configurazione impiantistica». E che le «criticità evidenziate dal Consiglio di Stato nell’ultima sentenza, sono oggetto di richieste di integrazioni e chiarimenti formulate dalla Regione Toscana nel corso dell’ultima Conferenza dei Servizi». Aggiungendo che «da mesi stiamo lavorando per superare le obiezioni tecniche e ripartire».
È evidente quindi che Scarlino Energia Spa va dritta per la propria strada, con l’intenzione legittima di ottenere dalla conferenza dei servizi in corso le autorizzazioni per il cosiddetto “revamping” di una parte dell’impianto, al fine di renderlo conforme alla legge e quindi pienamente operativo. Per poi valorizzarlo economicamente nella transazione da Unieco al nuovo soggetto che subentrerà nella proprietà. Una strategia del tutto logica in ottica industriale. Ma che confligge con la volontà politica di una buona parte dei partiti e dei comitati della zona nord della provincia.
Al di là dei discorsi da bar e dei proclami politici basati sugli auspici, tuttavia, una pubblica amministrazione – in questo caso la struttura tecnica della Regione – non può penalizzare un’azienda che vuole adeguare il proprio impianto industriale per produrre energia attraverso lo smaltimento di rifiuti. Tanto più che lo fa dopo essere stata obbligata a sospendere l’attività in seguito a sentenze amministrative su procedura di autorizzazione e dotazione impiantistica. D’altra parte, oramai, le tecnologie disponibili sull’incenerimento dei rifiuti sono molto avanzate e offrono ogni tipo di garanzia sotto il profilo ambientale e della salute umana. Volendo scommettere sull’esito di questa vicenda, quindi, è legittimo aspettarsi un nulla osta all’ammodernamento dell’impianto.
Il problema quindi sarà esclusivamente di natura politica. Perché stringi stringi risulterà chiaro anche ai cechi che alla base di questa paradossale vicenda ci sono due visioni inconciliabili dello sviluppo economico. Una basata sulla contrarietà ideologica agl’impianti industriali, costruita anche
su una retorica catastrofista che contrappone l‘ambiente all’industria. L‘altra, opposta e contraria, punta sull’industria come volano di sviluppo, sempre più orientata all’economia circolare e all’integrazione dei cicli produttivi. Senza negare l’esistenza di impatti ambientali, peraltro sostenibili dato che l’impatto zero è un’invenzione del marketing. Al risveglio dal lungo sonno della ragione che ha caratterizzato per anni la vicenda dell’inceneritore di Scarlino, la scelta vera da fare sarà questa.
Ma c’è dell’altro. Ogni operazione industriale che si rispetti ha senso se c’è un motivo economico, e una prospettiva di utile, che ne costituisce il presupposto. In questo caso, ciò che precede e giustifica la ristrutturazione dell’impianto scarlinese per l’incenerimento, è l’enorme quantità di rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali (pericolosi e non) che continuano ad essere prodotti. La scarsità di impianti di trattamento, soprattutto dopo la balsana decisione di non realizzare l’inceneritore fiorentino di Case Passerini. Il progressivo esaurimento degli spazi nelle principali discariche della Toscana, i cui ampliamenti sarebbero contra legem e guarda caso contrastati dai comitati. Peraltro, oramai anche i sassi sanno che nella migliore delle situazioni auspicabili rimarrebbe comunque da smaltire almeno un 20% di residui dai trattamenti (industriali) di recupero e riciclaggio dei rifiuti. Per l’appunto con il ciclo combinato di incenerimento e produzione di energia elettrica/termica.
Per capirsi, in Toscana nel 2018 suono stati prodotte 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, 1,3 dei quali provenienti da raccolta differenziata. Ma soprattutto – ultimo dato disponibile Ispra 2016 – la produzione regionale di rifiuti speciali si attesta a 10,5 milioni di tonnellate, il 7,8% del totale nazionale. Il 95,5% (oltre 10 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi e il restante 4,5% (473 mila tonnellate) da rifiuti pericolosi. Le principali tipologie degli speciali prodotti sono rappresentate da scarti di costruzione e demolizione (40,6% della produzione regionale totale) e dai fanghi derivanti dal trattamento dei rifiuti e delle acque reflue (33,9%). A seguire i rifiuti dell’industria farmaceutica, il pulper delle cartiere, quelli dell’industria alimentare e della pelletteria. Quindi tutti gli altri.
Oggi una buona parte di questa montagna di scarti delle lavorazioni industriali viene esportata e smaltita fuori regione o fuori d’Italia, alimentando l’industria del recupero/riciclo e dell’incenerimento. È evidente che una parte potrebbe arrivare a Scarlino – l’impianto è autorizzato per 140.000 tonnellate/anno – o sotto forma di “Css”, combustibile solido secondario (da rifiuti), o in altra forma. E detta per com’è sarebbe anche una buona pratica ambientale, perché consentirebbe di risparmiare sul trasporto e sull’inquinamento conseguente.
Naturalmente si può anche continuare a dire “not in my backyard”: non nel mio cortile. Magari senza passare per ambientalisti. Ché l’ambiente è una cosa seria.