«Vorrei ma non posso». Almeno a oggi. Creare lavoro di qualità, aumentare fatturati, trattenere i giovani cervelli e attrarne da fuori.
Per questo l’assemblea di Confindustria Toscana Sud svolta venerdì scorso all’Hotel Airone, ha spostato il traguardo al 2029 all’insegna dello slogan “Ritorno al futuro”. Un’aspirazione che nelle intenzioni del presidente degli industriali – il follonichese amministratore delegato di Venator Francesco Pacini – non è semplice petizione di principio, ma sforzo congiunto per raggiungere obiettivi concreti di crescita. Declinata nelle sue componenti: economica, imprenditoriale, occupazionale. La data simbolo del 2029, fra dieci anni, è stata scelta perché si spera che a quell’epoca siano stati finalmente completati corridoio tirrenico e almeno il tratto Grosseto-Siena della Due Mari. Odierni gap infrastrutturali che azzoppano la competitività e attrattività della Maremma.
Da qui a quel traguardo fatidico c’è solo da tenere duro e dare spazio a una nuova leva di giovani imprenditori, che abbiano idee e voglia di cimentarsi col bistrattato settore manifatturiero. Che in provincia di Grosseto è notoriamente negletto: appena l’8% del valore aggiunto, a fronte della media regionale del 18%.
Fin qui lo storytelling, la narrazione, di un’assemblea di Confindustria che è stata, com’è inevitabile che sia, un atto politico per affermare la propria visione. Tra l’altro molto simile alla piattaforma della Cgil.
Ma cosa c’è dietro la retorica? Questo occorre capire.
Il presupposto logico – e culturale – è che analizzando la composizione del tessuto produttivo della provincia di Grosseto, s’individui nella debolezza del manifatturiero uno dei principali punti critici rispetto alla crisi economica e sociale di questo territorio. Il che richiama a sua volta un altro tema scomodo, che è quello della sopravvalutazione sistematica dell’impatto economico del settore turistico sull’economia della Maremma. Due questioni a loro volta interconnesse con una preoccupante dinamica demografica, aggravata dalla fuga dei giovani qualificati e dall’incapacità ad attrarne da fuori provincia.
Ma in definitiva per quale motivo dovremmo favorire insediamenti industriali e sviluppo del manifatturiero, quando la Maremma ha un’evidente vocazione turistica e agricola? Intanto perché la trasformazione dei prodotti agricoli – agroindustria e agroalimentare – fa parte a pieno titolo del settore manifatturiero. Poi perché concomitanti studi di settore dicono che l’impatto reale del comparto turistico sull’economia è nella migliore delle ipotesi, comprendendo l’indotto, circa il 12-13% del prodotto interno lordo (Pil). Ma soprattutto perché quello manifatturiero/industriale è il settore produttivo a più alto valore aggiunto e con la migliore performance della produttività. Cioè della ricchezza prodotta da ogni singolo addetto.
Per essere concreti, secondo l’ultima analisi Istat disponibile (riferita al 2016) in Italia il valore aggiunto medio per addetto è di 56.500 Euro nell’industria, di 40.300 Euro nei servizi e 22.600 Euro nel comparto alloggio e ristorazione. Naturalmente queste sono le medie nazionali. Una ricerca di Unioncamere e Regione Emilia Romagna (2017) che per la prima volta ha provato a misurare l’impatto del valore aggiunto del turismo su base provinciale rispetto a quello totale, ha stimato che quella di Grosseto sia una delle province italiane in cui il valore aggiunto diretto e indiretto riconducibile al turismo superi il 30% del totale.
Dando per buono che in Toscana la media del valore aggiunto prodotto per addetto nel turismo sia di 38.000 Euro (più alta della media nazionale), rimane il fatto che l’industria produce comunque mediamente 17.500 Euro in più a persona. Nell’industria poi ci sono molti comparti, con diversa produttività. Ad esempio quello dei prodotti chimici (Venator e Solmine) ha un valore aggiunto procapite di 107.000 euro. Quello dei macchinari (Eurosider, Noxerior, Elettromar, Opus Automazione, Tosti, Vitelli, Cicci Research) di 74.200. La metallurgia (Mar.Zinc, Tecnoseal, Mar-Sid) di 72.200. La gomma (Sumiriko) di 67.600. Le industrie alimentari (Conserve Italia, Copaim, Ol.Ma, Latte Maremma, Corsini, Grandi salumifici italiani, Caseificio di Manciano, Sfera Agricola…) di 53.300.
È del tutto evidente, quindi, che più crescerà il settore manifatturiero, oltretutto maggiormente orientato all’export, più ricchezza sarà prodotta e più posti di lavoro qualificati con contratti a tempo indeterminato e retribuzioni elevate, ci saranno sul territorio.
La bassa produttività, d’altra parte, porta con sé effetti negativi. Minore è il valore aggiunto prodotto, più ridotti saranno i salari. Perché è intuitivo che più piccola è la torta, minori saranno le fette divise tra lavoratori (salari) e proprietà (profitti). Il turismo, e in particolare i servizi di alloggio e ristorazione, ha da questo punto di vista il minor costo del lavoro (rappresentato in gran parte dallo stipendio) tra i comparti che rientrano nel settore dei servizi. Anche perché a Grosseto le attività turistiche sono nella stragrande maggioranza stagionali e legate al segmento balneare. Con stagioni che negli ultimi anni si sono accorciate.
Guardando al futuro del nostro turismo, allora, la discussione dovrebbe vertere sulle modalità per “industrializzare” l’offerta e la rete delle strutture esistente, per qualificarne l’offerta e spremerne più valore aggiunto. Molto meno interessante (e utile), invece, la discussione sull’ampliamento dell’offerta e la sua diversificazione. Perché così ragionando, il rischio, una volta completati corridoio tirrenico e Due Mari, è che si risolva tutto in una pressione sui decisori politici per aumentare il numero di strutture ricettive e seconde case, approfittando della maggiore pressione turistica. Un rischio concreto che va prevenuto per tempo, con l’obiettivo di evitare il perpetrarsi di un modello di sviluppo che premia la rendita e punta sull’offerta mediamente di bassa qualità.
Insomma di carne al fuoco ce ne sarebbe da mettere tanta. Auguriamoci che la discussione decolli davvero, e che al protagonismo positivo di Cgil, Confindustria, Confesercenti e Camera di commercio registrai negli ultimi mesi, ne seguano altri. Possibilmente in una cornice condivisa.