GROSSETO – Il progetto “Arcipelago Pulito” diventa un modello per altri porti della Toscana, dove, come a Livorno, i pescatori potranno portare a riva i rifiuti (e soprattutto le plastiche) tirati su con le reti assieme al pescato. “Il Ministero – annuncia infatti l’assessore alla presidenza della Toscana, Vittorio Bugli – ha appena firmato il via libera a un nuovo protocollo che permette di estendere il progetto, dopo la sperimentazione di Livorno, anche all’Argentario, Castiglione della Pescaia, Viareggio, Piombino e Portoferraio all’Elba”. L’assessore lo comunica proprio a Castiglione, dove oggi ha partecipato al G20 delle spiagge. “La legge da sola però non basta – rilancia Bugli -. Occorre adesso anche costruire un sistema industriale per lo smaltimento dei rifiuti raccolti dai pescatori in mare”.
La Toscana ha fatto in Italia da apripista. E non solo in Italia. Il progetto toscano, il cui vero valore aggiunto e la caratteristica che lo rende unico rispetto ad esperienze simili realizzate in altri mari e parti del mondo è quello di aver saputo costruire una filiera completa dalla raccolta allo smaltimento, aveva ricevuto a luglio il plauso dai deputati della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera. Attualmente ci sono due proposte di legge in discussione in Parlamento. Ancora prima era già stato preso a modello dal Parlamento europeo e poi dal governo italiano con il disegno di legge “Salva mare”.
Tutto è nato da un vuoto normativo, da colmare. Per assurdo che possa sembrare, i pescatori che accidentalmente tirano su con le loro reti non solo pesci ma anche rifiuti e plastiche ne sono considerati oggi responsabili nel momento in cui li conducono in porto e sarebbero quindi teoricamente costretti a pagarne i costi di smaltimento: nella pratica quello che accadeva è che i rifiuti venivano rigettati in acqua. “Arcipelago Pulito ha permesso di portarli a terra, con la soddisfazione di tutti – ricorda Bugli – e senza che i pescatori rischiassero più una multa”. Nel porto di Livorno è stata messa in piedi una vera e propria filiera dei materiali di scarto abbandonati in mare, che partendo dai pescatori arriva all’impianto di recupero di Revet.
Ne ha beneficiato chiaramente l’ambiente. Ogni anno vengono prodotte 280 milioni di tonnellate di plastiche. Entro il 2050 la cifra, se non cambierà qualcosa, rischia di raddoppiare; e almeno 8 milioni finiscono nei mari di tutto il mondo, compreso il Tirreno, portati dai fiumi o trascinati alla largo dalla risacca sulla spiaggia. Ad almeno 250 miliardi ammonterebbero nel solo Mediterraneo i microframmenti, quelli più pericolosi perché finiscono nella catena alimentare.
La Regione aveva tenuto a battesimo il progetto un anno fa nello spicchio di Tirreno davanti a Livorno. La sperimentazione, esempio di economia collaborativa e circolare ma anche molto senso pratico e buon senso, era stata presentata l’anno scorso a fine giugno a Bruxelles al Parlamento europeo. Parallelamente era stato chiesto al Governo di approvare velocemente una legge. Dopo i primi sei mesi la sperimentazione era stata prorogata di altri quattro e che la soluzione e il modello virtuoso messo in moto fosse capace di portare risultati concreti lo si era visto subito. Solo da aprile 2018 fino allo scorso settembre sono stati raccolti con una mezza dozzina di piccoli pescherecci oltre 18 quintali di rifiuti, per un volume di oltre 24 mila litri. Su diciotto quintali, circa il 20 per cento è composto da plastiche riciclabili. Nelle reti a strascico sono finite bottiglie, fa scette, sacche e buste, ma anche lo sterzo di un motoscafo, una vecchia tanica e una torcia da sub.
Il progetto è stato reso possibile grazie al coinvolgimento e alla collaborazione di più soggetti: il Ministero, Legambiente, la Guarda Costiera, l’Autorità di sistema portuale del MarTirreno Settentrionale, Unicoop Firenze che ha contributo con un sostegno ai pescatori, la società Labromare che gestisce la raccolta dei rifiuti nel porto e Revet che li ricicla. Ora altri cinque porti sono pronti a replicare l’esperienza.