Può in un contesto contemporaneo assumere le sembianze di moderna ordàlia (giudizio di Dio) il taglio o meno di qualche decina di pini domestici? La domanda non è retorica e nemmeno oziosa, perché riguarda il modo con cui una parte della società immagina i meccanismi democratici della partecipazione.
A Grosseto city, ultimamente, sembra che il problema dei problemi sia il taglio e la sostituzione con altri alberi dei pini nelle vie Mascagni e Caravaggio. Non, tanto per allargare lo sguardo, il via libera ad un quartiere periferico di seconde case a vocazione balneare in zona Casalone, la sostanziale latitanza di un piano pluriennale di edilizia sociale o il deperimento inesorabile del centro storico. Relegato a quinta di una perenne “sagra della porchetta”.
Tornando ai pini, invece, è del tutto evidente come l’amministrazione comunale guidata da Vivarelli Colonna non solo abbia la legittimità a decidere il taglio dei pini e la loro sostituzione con altre essenze, in via Mascagni, Caravaggio o altro. Ma anche che farebbe bene a muoversi. Perché sarebbe pleonastico ricordare quanti danni facciano le radici dei pini, quanto siano pericolosi, e quanto sia stato un errore quaranta/cinquanta anni fa disseminare questi alberi nelle aiole spartitraffico o ai margini delle strade cittadine.
Non basta il pretesto della montante (per fortuna) sensibilità ambientalista. I pini sono pini, e per quanto siano piante molto belle a vedersi, e anche caratteristiche (al pari di altre), non possono tuttavia essere feticci un po’ morbosi. Se al loro posto ci saranno lecci, frassini o qualcos’altro va bene lo stesso. Se per qualche anno l’ombra sarà meno pervasiva, sopravviveremo.
Ma tutto questo è folclore botanico. Il problema vero, almeno secondo chi scrive, sta nell’idea che s’è affermata negli anni rispetto alla partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. E più specificamente nella convinzione che un comitato qualunque sia più autorevole e rappresentativo di chi è eletto nelle istituzioni. Certo, negli anni passati i partiti hanno perso talmente tanta autorevolezza, e spesso le stese istituzioni rappresentative, che il “comitatismo” e le “forze antisistema” sono sembrati un’alternativa cedibile. Ma questo è solo uno dei tanti effetti a cascata del populismo che è dilagato all’insegna della disintermediazione tout court. Un’illusione ottica che ha sostituito un arcipelago di gruppi di pressione settoriali ai tradizionali corpi intermedi di provenienza novecentesca. Comitati accomunati dall’autorappresentazione dei salvatori della patria – tipo i No-Vax, No-Tap, No-Tav – «in missione per conto di Dio» come i Blues Brothers. Che almeno lo erano davvero.
Insomma il populismo, come da copione, è uno strumento in mano ai demagoghi che manovrano con astuzia il popolo di giornata. Gli antichi Greci avevano già capito e scritto tutto in proposito. Da allora sono solo cambiati i mezzi.
Oggi, peraltro, assistiamo al paradosso di una classe politica trasversalmente portata dalla piena che ha occupato le istituzioni attraverso la trappola populista, e si trova a fronteggiare quotidianamente comitati che in base alla stessa logica ne contestano la legittimità a prendere decisioni erga omnes. Come direbbe Montesquieu, “un bel casino”.
Tornando ai pini, come uscire dal cul de sac della demagogia? Che oltretutto fa il gioco dei populisti istituzionalizzati, che oggi rivendicano subdolamente di essere stati eletti dal popolo?
Gli animatori dell’associazione “Grosseto al centro”, nello specifico, sono sì inciampati nell’equivoco populista, ma sono sostanzialmente brave persone che hanno davvero a cuore la propria città. E che oltretutto hanno portato a casa risultati importanti per tutti. Costringendo il Comune a realizzare attraversamenti pedonali protetti lungo le più pericolose arterie cittadine, oppure mettendolo in mora rispetto all’acquiescenza nei confronti dei gestori degli impianti a biomasse che saltuariamente appestano l’aria. Ma anche facendo pressione per realizzare la bretella di collegamento tra Aurelia nord e Castiglionese, in modo da liberare via Uranio dal traffico pesante. Oppure, ancora, baccagliando perché il 112 diventasse il numero unico per le emergenze e il pronto intervento.
Allora il consiglio non richiesto è di non cadere nel ridicolo parlando dei pini come fossero esseri umani, ed evitare magari fantasmagorici ricorsi al Tar. Ma di valorizzare il proprio ruolo di watchdogs (cani da guardia) della Democrazia. Monitorando la corretta esecuzione dei lavori di risistemazione di via Mascagni e le piantumazioni delle nuove essenze. Per evitare che si verifichino episodi di disseccamento, come troppe volte è già avvenuto in altre zone della città. Fra l’altro, un risultato l’associazione l’ha già ottenuto, spingendo il Comune a dotarsi di un piano di gestione del verde pubblico e ad effettuare il censimento del patrimonio arboreo cittadino.
Già l’Italia è evidentemente un Paese in preda agli spasmi dell’ingovernabilità conseguenti all’incompetenza manifesta di chi ha cavalcato il consenso con tecniche populiste. Facciamo tutti in modo di riprendere in mano il nostro destino all’insegno di un civismo equilibrato e credibile. Senza offrire argomenti ai demagoghi. Magari si comincia per farlo a livello locale e si finisce per rimettere un Paese sui binari della normalità. Chissà.
P.S. Tutto questo vale per Grosseto, come per Follonica, Scarlino, Capalbio, l’Amiata…….