L’approvazione del progetto di recupero dell’ex Garibaldi è un’ottima notizia per Grosseto. L’amministrazione Vivareli Colonna segna un punto a proprio favore, perché si tratta della prima scelta qualificante sulle politiche culturali maturata esclusivamente nell’attuale maggioranza. Mentre sul recupero della vecchia biblioteca Chelliana e sulla destinazione dell’ex convento delle Clarisse ha (saggiamente) agito in continuità con scelte già fatte da chi l’ha preceduta.
Come è successo per piazza della stazione – Guglielmo Marconi – il ponte ciclabile sull’Ombrone e l’illuminazione delle Mura medicee.
Avere di nuovo disponibile quell’edificio collocato a poche decine di metri dalla stazione ferroviaria – l’ex orfanotrofio Garibaldi fortemente voluto dal massone Nello Tognetti a cavallo degli anni Venti del secolo scorso – significa in prima battuta riqualificare un isolato fortemente compromesso. Collocato in un’area della città già fin tropo degradata. E positiva è anche la destinazione che gli è stata data di “casa della musica”, perché questo dovrebbe dare una soluzione definitiva al problema di una sede adeguata alla Scuola comunale di musica Palmiro Giannetti, all’orchestra Città di Grosseto, alla Corale Puccini e ad altre realtà cittadine. Come sempre avviene, il successo o meno dell’operazione, fermo restando il positivo recupero edilizio dell’edificio, dipenderà poi dalla capacità di gestione della nuova casa della musica, sia in chiave di produzione culturale – sarebbe un peccato rimanesse un semplice contenitore – che in termini di sostenibilità economica. Ad ogni modo c’è tempo per costruire un progetto serio e strutturato, perché, al netto dell’evitabile enfasi propagandistica che contagia chiunque governi, se tutto andrà bene i lavori di recupero edilizio inizieranno l’anno prossimo. E quindi, calcolando i tempi della burocrazia, di gestione si potrà parlare nella migliore delle ipotesi a partire dal 2022.
Il recupero dell’ex Garibaldi, peraltro, va collocato nel quadro della riqualificazione urbanistica di una vasta area degradata della città che si estende a ridosso della stazione ferroviaria. In assenza della quale c’è il rischio concreto che una rondine non faccia primavera.
Un quadrilatero grossomodo circoscritto dalle vie Mameli, Trieste, Buozzi e Trento. Nel contesto del quale ci sono elementi di degrado urbanistico e sociale. I nodi critici sono sostanzialmente quattro. Il primo riguarda la sistemazione dell’area abbandonata a sé stessa proprio sul lato destro della stazione, che oltretutto non rappresenta davvero l’ideale biglietto da visita per chi arriva a Grosseto scendendo dal treno.
Lì era prevista la nuova sede dell’Acquedotto del Fiora, ma né la società né il Comune hanno trovato un accordo. Senza fare voli pindarici forse sarebbe il caso di realizzare un piccolo urban center con servizi di accoglienza e d’informazione per i turisti e i grossetani: dalla sala d’aspetto climatizzata per chi attende gli autobus, all’ufficio informazioni turistiche, quello di Tiemme e chi più ne ha più ne metta. anche perché, considerati i tempi che corrono, sembra improbabile che arrivi un cavaliere bianco a rilevare la proprietà dell’area per farci una “belluria”.
L’altro bubbone edilizio/urbanistico su cui mettere le mani è l’edificio risalente agli anni 50 (?) dell’ex mobilificio Bianchi, tra via Roma e via Fucini. Oggi abbandonato a sé stesso e fatiscente. Col nuovo Piano operativo bisognerà inventarsi qualcosa rispetto alla destinazione urbanistica per rivitalizzare quell’area. Magari con una trovata meno devastante di quella improvvisata con il quartiere di seconde case balneari previsto al Casalone. A occhio e croce in quella zona ci vorrà uno sforzo congiunto tra parte pubblica – Erp? sede di servizi pubblici? mercato di quartiere? con strumenti tipo i Piuss… – e investitori privati. In assenza del quale la zona rimarrà preda del degrado ancora per molti anni.
Stesso problema per l’edificio di via Fucini più volte assurto agli onori della cronaca perché diventato rifugio di sbandati e spacciatori. Lì c’è di mezzo un fallimento, e quindi non ci sono alternative all’acquisizione del bene all’asta giudiziaria.
Infine il problema del parcheggio di fronte al distretto socio/sanitario di via Don Minzoni, che di notte diventa teatro ideale per spaccio, prostituzione e traffici di varia natura. In questo caso la soluzione potrebbe essere un po’ più semplice, a patto di preoccuparsi di dare qualche risposta al popolo dei marginali che frequenta la zona. Non limitandosi semplicemente a spingerli a trasferirsi qualche centinaio di metri più in là. Oltre la gittata delle telecamere.
Insomma il recupero dell’ex orfanotrofio Garibaldi, anche se di là da venire, può essere la scintilla che dà il là a un’operazione di riqualificazione urbanistica e sociale più articolata e ambiziosa. A patto che qualcuno ci metta testa.