GROSSETO – Sarà anche uno slogan trito. Ma con la cultura si mangia davvero. Un dato di fatto di cui cominciano a prendere atto in molti. Anche se con colpevole ritardo. Cosa tanto più stupefacente in un Paese come l’Italia. Che ha nella varietà dell’offerta culturale uno dei propri punti di forza.
Ultima indagine a fotografare la rilevanza di un fenomeno che oramai è alla luce del sole, quella presentata da Ascom Confcommercio a Perugia. In occasione del convegno “Più cultura, più crescita”, non a caso organizzato in collaborazione con Umbria Jazz. Ricerca effettuata per Ascom dalla società Rsm-Makno, analizzando l’impatto socio economico di 14 festival cinematografici di diverse dimensioni, svoltisi nel Belpaese lo scoro anno.
Il succo, in termini economici, è questo: ogni euro investito in questi festival dedicati alle diverse sfumature della settima arte, ne ha restituiti mediamente 2,65 alle comunità che li hanno ospitati. La stima è stata effettuata utilizzando una metodologia statistica che misura le relazioni esistenti tra i settori del sistema economico (tavola intersettoriale Italia 2015). Agli eventi presi in considerazione hanno assistito circa 205mila spettatori con una permanenza media nelle diverse località di poco superiore ai 4 giorni.
Nello specifico, spiega Rsm-Makno, «la spesa media giornaliera pro-capite è stata di circa 122 euro per l’acquisto di beni (bibite, ristorante, shopping in genere, prodotti artigianali, prodotti enogastronomici, ecc.) e di servizi (alloggio, parcheggio, trasporti, ecc.). Per un totale di quasi 93,7 milioni di euro». Agli eventi hanno partecipato anche 5.760 spettatori accreditati (stampa, critici, operatori del settore) «con una spesa media giornaliera di 600 euro per un totale di 3,4 milioni di euro». Sul fronte organizzativo, invece, le spese (in comunicazione, gestione, premi, ospitalità…) sono state quantificate in 4,8 milioni di euro.
La somma delle tre voci considerate, secondo i calcoli di Makno, ha avuto un impatto diretto nel sistema economico locale di quasi 102 milioni di euro, «spesi direttamente negli esercizi commerciali e ricettivi o nel pagamento di attività professionali (ad esempio, servizi di sorveglianza, servizi di consulenza, ecc.). Questa somma aumenta l’attività complessiva del sistema produttivo locale con un impatto economico totale stimato in oltre 270 milioni di euro e un impatto sociale quantificato in 2.484 occupati in più».
Fin qui il ritorno pecuniario della cultura. Ma ci sono dati qualitativi interessanti anche sul versante del mondo dell’impresa. Perché l’organizzazione di eventi culturali sta diventando sempre più attrattiva di risorse private, mentre finora si dava generalmente per scontato che la promozione della cultura fosse questione demandata alla parte pubblica.
Detta in estrema sintesi. Per oltre il 70% degl’imprenditori intervistati da Rsm-Makno il sostegno a progetti ed eventi culturali è strategico, e il contributo economico è la principale forma di supporto alla cultura scelto dalle imprese (per il 47%). Ma rilevante è anche la fornitura di servizi (21%). Sul fronte della motivazione all’investimento culturale, invece, ci sono il ritorno di immagine (19%), la consuetudine (17%), la strategia di marketing (13%). Infine i maggiori benefici percepiti dalle aziende che investono in cultura, riguardano la reputazione aziendale (33%), il brand (29%) e il ritorno commerciale (27%). Più di un terzo delle imprese, inoltre, equipara gli investimenti in cultura alla pubblicità.
A questo punto entra in gioco la provincia di Grosseto. O meglio, l’assenza di una strategia condivisa come destinazione turistica rispetto all’organizzazione di manifestazioni di qualità a valenza culturale. Non il panem et circensem spicciolo che viene legittimamente organizzato in modo più o meno spontaneo. Che risponde alla logica dell’intrattenimento concentrato nei due mesi di pienone nel clou della stagione estiva.
Anche chi non vuol vedere al di là del proprio immediato interesse, infatti, prima o poi dovrà prendere atto che la Maremma, in veste di polo turistico, non potrà fare a meno di compiere il salto di qualità rispetto a programmazione e qualificazione della propria offerta turistica. A maggior ragione se vorrà rimanere nel gotha delle destinazioni turistiche. E soprattutto in considerazione del fatto che il modello tradizionale di turismo balneare sul quale ha costruito le proprie fortune, appare oramai in declino inarrestabile. Assediato dalla concorrenza dei Paesi emergenti affacciati sulle sponde del Mediterraneo, e dalle mete low cost di Asia e Africa.
I festival e le manifestazioni culturali di qualità possono costituire una tessera significativa di questo disegno strategico. Già ci sono realtà consolidate in provincia: Santa Fiora in Musica, Gray Cat Music, Festambiente, Morellino Classica, Amiata Piano Festival, Clorofilla Film Festival, Premio Scriabin, Music and Wine, Teatro delle Rocce Fetival, I Luoghi del Tempo Festival, La Voce di Ogni Strumento e altri ancora. Ci sono poi giardini d’arte e rassegne d’arte contemporanea. Insomma un mondo in movimento che contribuisce all’attrattività turistica della Maremma, e genera un indotto economico.
Ecco, da qui bisognerebbe partire. Iniziando con un censimento delle manifestazioni di matrice culturale basato su rigidi standard qualitativi, e subito dopo procedere a uno studio del loro impatto socio economico sul territorio. Misurandone in modo affidabile quanti soldi movimentano, quanto contribuiscono alla reputazione turistica del territorio, a influenzare la scelta della destinazione Maremma da parte di chi viaggia, e come vengono percepiti dal tessuto locale d’impresa. Un approccio scientifico che non guasterebbe, e che potrebbe contribuire a orientare le scelte strategiche in modo razionale e non episodico.
Se qualcuno volesse raccogliere, non ci offenderemo.