FOLLONICA – Ci sarebbero gravissime irregolarità nel voto delle amministrative di Follonica. A dirlo sono le forze di centrodestra che hanno sposato l’idea del ricorso al Tar contro la proclamazione degli eletti che sarà discusso a Firenze nell’udienza del 17 settembre.
Tre i firmatari del ricorso, curato dagli avvocati Davide Lera e Alessandro Buoni, oltre a Massimo Di Giacinto (candidato sindaco del centrodestra) anche il responsabile della Lega di Follonica Roberto Azzi e Leonardo Bottoni, esponente di Forza Italia. Un’azione legale (che sarà pagata dalle forza politiche che l’hanno sostenuta e che dovrebbe costare circa 5 mila euro) voluta per fare chiarezza sul voto dello scorso 26 maggio, ma sopratutto sulle operazioni di scrutinio e conteggio delle schede. L’impugnazione dell’atto in questo caso riguarda sia il Comune nella persona del sindaco sia l’ufficio centrale elettorale, cioè la commissione che “convalidato” i risultati elettorali il giorno dopo lo scrutinio. Per il centrodestra infatti i conti (dei voti) non tornerebbero. Ad essere indiziate di gravi errori sarebbero due sezioni in particolare: la 1 e la 17 (in totale lezioni di Follonica sono 22) soprattutto per quanto riguarda la compilazione dei verbali.
Parlando delle motivazioni Di Giacinto ha spiegato quelle principali alla stampa questa mattina. «Dall’esame del verbale di una sezione – si spiega – emergono incongruenze in merito all’esatta indicazione dei voti riportati dai singoli candidati a sindaco, delle schede votate e dei votanti. In base alla somma corretta dei voti validi, il numero dei votanti dovrebbe essere pari a 442 e non a 441 come riportato, evidenziando un irregolare utilizzo delle schede a disposizione della sezione. Nella stessa sezione sono stati formalmente contestati da un rappresentante di lista due voti che avrebbero dovuto essere assegnati al candidato Di Giacinto, in quanto espressione di voto disgiunto chiaramente individuabile come valido». Ma c’è una contestazione ancora più grave riguardo le operazioni nella medesima sezione, nella quale è stato rilevato l’uso ripetuto del bianchetto, sia sul verbale che sull’allegato. «In ogni caso l’uso del bianchetto comporta, oltre che una gravissima irregolarità, anche la difficoltà di ricostruire la corretta assegnazione dei voti».
Pesanti contestazioni anche al verbale di un’altra sezione elettorale: «Non risulta alcuna verbalizzazione in merito alle schede bianche, a quelle nulle e al risultato dello scrutinio: dalle pagine successive si ricavano solo i voti delle singole liste, ma non quelli riferiti solo ai candidati sindaci, che vanno a costituire il totale dei voti validi. E il riepilogo è rimasto in bianco, così che non risulta possibile recuperare alcuna indicazione di voto degli elettori. Si rilevano errori anche nell’attribuzione dei voti alle liste. Infatti alla lista Casapound sono stati assegnati 7 voti validi anziché 9».
«Errori, omissioni e incongruenze che non consentono di ricostruire le operazioni compiute nei seggi e in particolare di accertare il corretto utilizzo di tutte le schede». Irregolarità idonee a incidere sul risultato elettorale.
Il ricorso è fondato anche su un altro motivo di diritto: «Il calcolo della maggioranza assoluta è errato. Se l’intero è 11.727 la metà dei voti risulta essere 5.863,5. E nell’indicazione del 50%+1 che individua la maggioranza assoluta necessaria alla vittoria al primo turno, quel “+1” deve rappresentare un intero voto valido, non una sua frazione, altrimenti si viola il principio costituzionale per cui tutti i voti devono avere uguale peso e dignità. A quel numero, dunque, occorre sommare un altro voto: di conseguenza la maggioranza assoluta è di 5.864,5 e non sono sufficienti i 5.864 voti assegnati a Benini. Dunque non è stata raggiunta la maggioranza necessaria a proclamare una vittoria al primo turno. È chiaro che nessuna rappresentazione di voto può essere individuata nello ”0,5” perché ogni voto rappresenta la volontà di un cittadino elettore, che esercita al pari di tutti gli altri elettori un diritto pieno, garantito dalla Costituzione della Repubblica (articolo 48 comma 2) e non frazionabile».