GAVORRANO – «Si chiamava Aspremo, era il maggiore di tre fratelli che abitavano al podere “Follona” il più vicino a quello dove abitavo io» inizia così il racconto di Nello Bracalari, partigiano e strorico presidente Anpi. «Era cinque anni più grande di me e quattro di suo fratello di nome Schimens, mio amico e compagno di scuola alle elementari».
«Spesso, specie nelle veglie che nel periodo invernale venivano organizzate a rotazione nei poderi di campagna, ci dedicava un po’ del suo tempo nei giochi di noi ragazzi. A vent’anni partì per il servizio militare e l’8 settembre 1943, dopo l’armistizio, fu catturato dai tedeschi e internato nei campi di concentramento in Germania. Quando venne costituita la Repubblica di Salò e gli fu offerto di andare a servire il ricostituito esercito fascista rifiutò e rimase internato nei campi sopportando indicibili condizioni di vita».
«Alla fine del conflitto non fece immediato ritorno – ricorda Bracalari -. Passarono mesi senza che se ne sapesse nulla e si cominciava a dubitare della sua sorte. Verso la fine dell’estate, camminavo sull’Aurelia verso la stazione di Gavorrano, una passeggiata pericolosa su una stretta banchina perché sulla strada sfrecciavano ancora i mezzi militari delle truppe alleate. A un tratto vidi, dall’altra parte della carreggiata, un giovane che veniva in senso opposto e mi faceva segni di saluto. Non riuscivo a capire chi potesse essere. Appena possibile attraversai e gli andai incontro ma stentavo a riconoscerlo. Giunti a pochi metri di distanza con un largo sorriso mi gridò “Nello sono Aspremo” e io corsi ad abbracciarlo».
«Le sue condizioni lo rendevano irriconoscibile. Dalla camicetta aperta si intravedevano evidenti le costole come fosse uno scheletro ed a me pareva che persino in altezza fosse rimpicciolito (giunto a casa si pesò: era 38 chili). Mi raccontò brevemente che si era ammalato nel campo di concentramento e alla fine della guerra per molto tempo non era stato in condizioni di camminare e rientrare in Italia»
«Dopo questa dura prova Aspremo si riprese in parte fisicamente, si sposò ed io partecipai alle sue nozze. Pochi anni dopo però, in occasione di una riunione sindacale nel paese di Caldana, fui informato che, proprio quel giorno, Aspremo era morto, e potei andare a rendere omaggio alla sua salma. Credo che non avesse ancora quarant’anni. Aspremo non fu il solo che, in conseguenza delle sofferenze patite nei campi di concentramento tedeschi, scontarono ripercussioni drammatiche nella loro vita successiva (lo fecero in 650 mila su 800 mila nelle sue stesse condizioni) e credo che in generale non vi sia stato nei loro confronti il dovuto riconoscimento. In questi giorni mi piace ricordarli come combattenti della Resistenza antifascista».