GROSSETO – Si terranno sabato 30 marzo dalle 9,30 e per tutto il giorno gli Stati generali dell’antifascismo maremmano. L’iniziativa è promossa e organizzata dall’Anpi. Sarà ospitata nell’aula magna del polo universitario grossetano e ha già ottenuto l’adesione dei tre sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil, dell’Isgrec, dell’Arci, della sezione soci Coop di Grosseto dell’Unipol e della Regione Toscana.
L’evento è stato presentato questa mattina dal presidente provinciale dell’Anpi Flavio Agresti e da quello comunale di Grosseto Giuseppe Corlito. L’idea che sta alla base di questa iniziativa è quella di stilare un manifesto dell’antifascismo, una proposta che sia ampiamente condivisa da tutti quei soggetti della società che si riconoscono nei valori della Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Durante i lavori ci sarà la possibilità per chi interviene di fare le proprie proposte che poi andranno integrate nel testo proposto dall’Anpi (che trovate subito sotto) e che andrà a costituire il manifesto dell’antifascismo.
«Nella società di oggi c’è molto risentimento dovuto agli effetti della crisi, che non è soltanto economica, ma anche sociale e politica. C’è il rischio che questo risentimento per le difficoltà che le persone si trovano ad affrontare, si saldi con l’attivismo del neofascisti. Noi non pensiamo che quel fascismo del ventennio sia dietro l’angolo, ma a fenomeni che che portino a regimi di tipo autoritario, alla negazione dei diritti e della libertà».
A conclusione degli stati generali sarà anche eletta l’Assemblea provinciale antifascista per la Costituzione, la libertà e la dignità dell’essere umano.
Ecco la proposta di manifesto:
PROPOSTA DI MANIFESTO DELL’ANTIFASCISMO MAREMMANO
Stati Generali dell’Antifascismo, perché. Il dibattito su neofascismo e antifascismo è quanto mai aperto, a dimostrazione dell’attualità del tema. C’è chi si attarda su modelli interpretativi superati; chi nega la realtà, banalizzando i molti motivi di allarme che vengono dall’Europa, dall’Italia e da tutto l’Occidente; chi afferma che il nostro antifascismo è vecchio e ci impedirebbe di capire a fondo cosa sta accadendo e di adeguare il contrasto. Per cui una messa a punto dell’analisi, coerente con i cambiamenti del quadro politico e delle dinamiche socio-culturali in atto, è veramente auspicabile, partendo dalle esperienze che si compiono nel territorio. Anche noi pensiamo che il fascismo, come si manifestò negli anni ’20-’40 del Novecento, non sia più replicabile, che sia finito il 25 aprile del 1945. Ma pensiamo anche che i germi dell’autoritarismo siano ancora all’opera; pressioni antidemocratiche prendono corpo particolarmente in periodi di crisi della politica e delle istituzioni rappresentative. Se il populismo, il razzismo, il sovranismo si saldassero con il restringimento dell’agibilità democratica del mondo, di cui si notano evidenti segni, il rischio di una decadenza epocale, veicolata politicamente da un assolutismo di ritorno, con la semplificazione della complessità e con la repressione anche violenta del dissenso, si materializzerebbe drammaticamente. Si chiamasse fascismo o con diverso appellativo, la sostanza non cambierebbe.
Si spiega così la decisione dell’ANPI di convocare a breve gli Stati Generali dell’Antifascismo grossetano, verificando la possibilità di dare ad essi un respiro regionale. L’iniziativa si rivolge a tutti coloro che, al di là delle diverse appartenenze politiche e culturali, si riconoscono nei valori incarnati nella Costituzione Repubblicana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, professandosi democratici e antifascisti. Istituzioni Locali, partiti politici, compresi quelli collocati nel centro democratico, organizzazioni sociali, sindacali e datoriali, associazionismo culturale e sociale, confessioni religiose, singole personalità della cultura e delle professioni, senza escludere chi milita nella destra liberale, semplici cittadini, sono chiamati a portare il loro contributo. L’antifascismo è e resta un valore trasversale, perpetuando il messaggio che viene dalla Resistenza. Il fatto che l’esclusiva non appartenga ad alcuna area particolare rende possibile oltre che auspicabile la costruzione della più larga unità dal basso per sconfiggere coloro i quali lavorano alla regressione, all’uomo solo al comando. La missione non è il superamento del capitalismo, alle cui degenerazioni sono da attribuire i maggiori mali di cui soffre l’Umanità, che è questione inerente piuttosto il ruolo dei partiti, ma il mantenimento e lo sviluppo delle libertà e dei diritti individuali e collettivi, per rinsaldare lo spazio democratico propedeutico allo svolgimento del conflitto, che per noi resta l’anima della democrazia e della storia, l’arma dei subalterni per emanciparsi. Alla politica e alla cultura fa largamente capo la nozione di un fascismo prodotto dalla lotta di classe. E’ vero che i fascisti furono usati dalla classe dominante della società per opprimere quella più debole, ma il fenomeno è più complesso, come dimostra il consenso avuto dal regime prima della seconda guerra mondiale. Inoltre la composizione sociale è molto cambiata da allora e i soggetti del conflitto si sono ormai globalizzati, ponendo l’esigenza di un aggiornamento dell’analisi. D’altronde, nelle condizioni odierne, l’attacco è portato non soltanto alla parte della società riconducibile ai lavoratori, come avveniva nella lotta di classe del secolo scorso, ma all’uomo come tale, con ciò reclamando un nuovo Umanesimo, come fucina di un pensiero politico altrettanto nuovo. Sui temi: dell’equità, per debellare la povertà e la guerra; del riscaldamento climatico; del governo democratico dell’intelligenza artificiale; di un rapporto aggiornato tra materiale e immateriale, individuando quest’ultimo nei percorsi culturali e della formazione e nei modi di vivere, si superano antiche dialettiche, si ridisegna l’architettura sociale, aprendo la via a scenari inediti. E appassionanti.
Anche la collocazione fisica degli Stati Generali dovrà essere coerente con l’apertura politica e culturale che si intende esprimere e con la risonanza che riteniamo necessario dare alla cosa: la sede migliore sarebbe il Teatro degli Industri. La riflessione si svilupperà lungo tre filoni di ricerca e impegno: il neofascismo tra populismo, razzismo e sovranismo; presenza e attività neofasciste nel territorio; efficacia e caratteristiche dell’azione di contrasto: che fare? Dovranno esservi impegnati studiosi e ricercatori universitari, lo stesso ISGREC, particolarmente per ciò che concerne la realtà locale in merito alla presenza “nera” nel territorio e al consenso raccolto, portando comunicazioni argomentare alla discussione. Se non fosse altrove impegnata, le conclusioni sarebbero affidate a Carla Nespolo, presidente nazionale dell’ANPI.
1 – Il neofascismo tra populismo, razzismo e sovranismo.
Il fascismo solitamente alza la testa quando la democrazia è incapace di dare soluzione alla crisi. Ieri fu la reazione dei ceti piccolo-borghesi e degli agrari spaventati dalle lotte popolari del primo dopoguerra, che il partito socialista, dominato dalla componente riformista, non seppe portare a sbocchi politici adeguati; vinse anche grazie alla complicità della monarchia sabauda e di molti apparati statali. Oggi i ceti medi sono schiacciati dalla crisi e non vi sono grandi lotte di massa, le forze democratiche e progressiste sono chiaramente sulla difensiva, ma il neofascismo trova ancora spazio nell’afonia e nelle divisioni del mondo democratico di fronte ai mutamenti epocali che caratterizzano l’ epoca attuale. E tende ad affermarsi alimentando la paura e creando a bella posta un falso nemico nei migranti, come furono gli ebrei nell’ascesa del nazismo, indicandolo come il responsabile di tutte le difficoltà che viviamo. Esse sono invece la conseguenza del mancato scioglimento dei nodi sul tappeto; persistono perché il neoliberismo, dilagante nel mondo dopo la caduta del Muro di Berlino, anziché offrire risposte positivamente risolutive, ne è la principale causa.
Parole chiare e coraggiose, azioni coerenti.
Il razzismo e il sovranismo, di cui il populismo è l’involucro, sono il terreno sul quale la destra estrema insiste e fa proseliti, creando un clima di odio sia verso gli immigrati sia verso la Comunità europea. Come dimostra l’esperienza, rincorrere quella parte politica nel suo delirio spiana ulteriormente ad essa la strada. Sicché occorrono da parte nostra parole chiare e coraggiose su tali questioni, senza tema dell’impopolarità. E soprattutto occorrono azioni coerenti. L’invasione è una invenzione propagandistica, che risponde alla scelta di alterare gli animi per trarne vantaggi elettorali, come provano gli stessi dati riguardanti la nostra provincia elaborati dalla Camera di Commercio. Nel grossetano, i migranti che percepiscono un reddito sono adesso appena 8.643 su oltre 200mila residenti, mentre degli irregolari, sui quali ci esprimeremo più avanti, manca una stima attendibile: verosimilmente non sono l’ enormità di cui favoleggia la destra.
La crisi della globalizzazione, che dà fiato al sovranismo, non è ineluttabile: quella che sta naufragando, aggiungendo problema a problema, non è la globalizzazione in sé, che è nelle cose, un processo storico irreversibile: è la globalizzazione modellata dalla grande finanza mondiale e dalle grandi corporation soprattutto statunitensi, alla ricerca del massimo profitto. Essa si può rilanciare soltanto globalizzando anche la democrazia e la politica per orientare questo processo oggettivo in maniera più funzionale agli interessi collettivi, al di là di localismi e nazionalismi ormai anacronistici. Così si rendono protagoniste le persone in carne e ossa, immettendo i loro bisogni e le loro aspettative nella costruzione, in corso, del mondo futuro. Ogni ritardo è colpevole, regala forza agli avversari.
Che lo si veda o no le migrazioni sono un fatto epocale, dovuto alla gestione neoliberista della globalizzazione, che se reca problemi reca anche opportunità; sono la spia della consunzione dei vecchi quanto ingiusti equilibri planetari e della necessità di costruire dei nuovi e migliori. Cercare di restaurare l’ordine precedente con la forza è illusorio e prepara il peggio nelle stesse relazioni umane, il loro imbarbarimento. “Aiutare chi emigra a casa sua” è un proponimento che reclama prima di tutto il venir meno di ogni forma di colonialismo, per affermare ragioni più eque di scambio, e presuppone la fine delle forniture di armi ai paesi in guerra, lasciando al loro destino governanti corrotti e sanguinari. Però queste cose richiedono volontà politica e tempo; talché da un maggiore impegno sull’accoglienza nell’immediato non si scappa.
Alla clandestinità, che costituisce il cuore della propaganda razzista, si provvede superando l’assurda distinzione tra migranti che fuggono dalla guerra e quelli cosiddetti “economici” che fuggono dalla fame, riconoscendo a tutti il diritto alla vita, e costringendo l’Europa a fare la sua parte, distribuendo i bisognosi di solidarietà e assistenza in tutto il Continente. Chi non fosse disponibile si porrebbe fuori dalla Comunità. Un clima migliore limiterebbe la criminalità, che non è solo appannaggio degli stranieri; chi dovesse delinquere incorrerebbe nei rigori della legge, al pari di chiunque altro. Come l’egiziano che recentemente ha tentato uno stupro a Grosseto: egli è un delinquente, che sia africano è secondario. Da tale merita di essere trattato. La mancanza di prevenzione, che lo Stato deve assicurare, ha fatto il resto.
Ma l’immigrazione anche aiuta a limitare le conseguenze dell’invecchiamento dei paesi “ricchi” e della crescente indisponibilità a lavori manuali, faticosi e dequalificati, così contribuendo all’equilibrio del conto economico e previdenziale. Inoltre è storicamente provato che ad ogni mescolamento di etnie e di culture è sempre seguito un miglioramento della condizione umana. Sinceramente ci auguriamo che succeda anche adesso, perché l’avvento di una civiltà più evoluta, di cui c’è grande bisogno per evitare il pericolo di una decadenza rovinosa, simile e forse più grave di quelle che si ebbero dopo l’età classica e il rinascimento, con il medio evo e l’assolutismo, sarà possibile solo se si formerà un uomo nuovo planetario, capace di immaginare un futuro che non è alla portata di noi contemporanei, figli del Novecento.
Europa e nuova governance del mondo.
I drammatici problemi del nostro tempo, quali: la tutela dell’ambiente e la gestione democratica delle nuove tecnologie, specie dell’intelligenza artificiale, che si sovrappone e si sostituisce a quella umana, aprendo scenari inquietanti; la giustizia sociale e la lotta alle diseguaglianze e alla grande criminalità, per citarne alcuni, domandano risposte globali; non si possono affrontare efficacemente paese per paese. E con ciò pongono l’esigenza di ripensare la governance planetaria, guardando avanti. Il sovranismo, che è chiusura nazionalista, è l’esatto contrario di tutto questo. E’ carico di rischi su vari piani: intanto, come ha recentemente scritto Michele Ainis su L’Espresso, perché “Nessuno Stato può vestirsi di panni aggressivi verso l’esterno conservandosi pienamente democratico al suo interno”; quindi, perché produce inevitabilmente tensioni internazionali, non apertura e integrazione, essendo nella sua natura il primeggiare su tutti gli altri; infine, perché può innescare la tendenza ad ulteriori divisioni interne ai paesi, come ci dice la vicenda della Catalogna. Invece dobbiamo tendere al governo democratico del mondo, pensando ad una distribuzione a rete dei poteri, per valorizzare, portandole a sintesi, tutte le identità. La riforma dell’ONU, con il superamento del diritto di veto e il conferimento di nuove funzioni e responsabilità, non è più rinviabile. Il tema della rappresentanza si pone così su un piano inedito e ancora più impegnativo: per noi la migliore forma di democrazia ad oggi è quella rappresentativa. La rete web deve supportarla, non sostituirla. Il cittadino partecipa realmente alle decisioni pubbliche soltanto insieme agli altri: è nel confronto diretto che matura la coscienza critica, si acquisiscono le conoscenze. Pensare di farlo ognuno per sé davanti ad un monitor è un pericoloso abbaglio, se non il veicolo di un approdo populista e autoritario. I corpi intermedi, quali i partiti i sindacati, le associazioni, le stesse istituzioni locali, vanno riformati, adeguandoli alla bisogna, non depotenziati. Come il Parlamento, del quale, imitando il Mussolini del Ventennio, c’è chi vuole farne a meno.
E’ in tal senso che va riorganizzata la stessa Comunità europea, rivedendo i trattati che ne regolano il funzionamento. Più potere al Parlamento e meno alla tecnocrazia non eletta da nessuno, se si vuole riconnetterla con i cittadini europei. Basta con l’austerità, imposta dai tedeschi, responsabile della ventata neofascista che attraversa il Continente e investimenti per il lavoro e ruolo attivo nello scenario mondiale per presidiare la pace e la distensione tra i popoli. Ma per arrivare a questo ci vuole la Politica, con la “P” maiuscola, la paziente costruzione delle indispensabili alleanze, non la propaganda e le provocazioni solitarie ed elettoralistiche del nostro attuale governo, che ci isolano e portano in un vicolo cieco.
2 – Presenza e attività neofascista nel territorio.
I risultati elettorali dello scorso 4 marzo hanno evidenziato un consenso minimo alle formazioni dichiaratamente neofasciste. Ma questo non tragga in inganno. I fascisti ci sono; stavolta hanno preferito riversarsi – perseguendo un lucido disegno – sulla Lega, la quale ha surclassato Fratelli d’Italia, che pure non nega il proprio rapporto con la “casa madre”. Cosa vuol dire? Che la Lega è il nuovo partito del neofascismo? Indubbiamente Salvini, e il suo gruppo dirigente, sono mossi da impulsi parafascisti, ma non tanti degli elettori che hanno dato il loro voto. Questi non si sono sentiti più rappresentati dai partiti di provenienza, spesso di sinistra, talora dalla stessa democrazia; e nell’incertezza del futuro hanno scelto uno che un progetto lo proponeva. Discutibile, inaccettabile, ma per certi versi rassicurante; lo slogan “Prima gli italiani” e l’antieuropeismo, in assenza di una visione alternativa, hanno purtroppo attecchito anche in quello che era il popolo democratico e di sinistra. I sondaggi danno la Lega oltre il 30% e il governo “verdegiallo” a trazione salviniana attorno al 60: ci si rizzano i capelli pensando a cosa sarebbe oggi l’Italia se al posto di quella in vigore ci fosse stata un’altra Costituzione.
Urge un nuovo pensiero politico democratico.
Allora la messa in campo di quella visione e di una pratica alternative, attraverso una attualizzazione del pensiero politico, costituisce la maggiore sfida dei nostri giorni. Che interpella direttamente ogni antifascista, ogni democratico. Noi abbiamo risposto lo scorso 8 settembre gridando in piazza Dante “Prima l’Uomo, prima l’essere umano!” alla presenza di moltissimi manifestanti e di una pluralità di forze e di culture che andava oltre i nostri tradizionali riferimenti, mentre “Maremma Antifa” sfilava per conto proprio, così da costituire un fatto storico per la città: tante persone contro il neofascismo non si erano mai viste in piazza e nelle strade di Grosseto, se non risaliamo alle celebrazioni del 25 aprile dell’immediato dopoguerra. C’era anche la chiesa, ché l’umanesimo cattolico e quello laico si intrecciano nella difesa della dignità della persona. Aveva aderito anche il rappresentante della religione musulmana, assente per un contrattempo. Dobbiamo continuare così, perfezionando e sviluppando l’iniziativa.
Odio degli immigrati e vera minaccia alla sicurezza.
Non è facile ricostruire la consistenza e la diffusione nel territorio delle associazioni neofasciste, né individuare il genere e le classi di età più coinvolte nel fenomeno. Casa Pound, al momento presente solo a Grosseto, è la più attiva, talvolta portando con sé la Deceris da cui è nata. Forza Nuova è poco presente: si è rivista in questi giorni, quando contro il tentato stupro ha portato in piazza una pattuglia di circa trenta razzisti: poca cosa in confronto alle duemila persone, tra uomini e donne, che avevano sfilato per le vie cittadine il giorno precedente, chiamate da alcune donne, sia pure con qualche venatura securitaria. Fratelli d’Italia appare più assorbito dal lavoro amministrativo al Comune che impegnato nel movimento. L’immagine dell’assessore e quella del partito si fondano nella rappresentazione politica. Tutte prediligono la lotta agli immigrati, iniettando in continuazione la paura del diverso nel corpo sociale. Qua e là è stata organizzata qualche ronda, volendosi accreditare presso i cittadini come i garanti della sicurezza. La stessa raccolta dei generi alimentari per i bisognosi diventa una odiosa occasione di propaganda e veicolo di razzismo, essendo svolta ad esclusivo vantaggio dei poveri italiani. Dove si raccolgono gli immigrati irregolari prima o poi arrivano i neofascisti a riportare ordine e pulizia, ricalcando il comportamento degli squadristi nei primi anni ’20 del secolo scorso, che si sostituivano alle forze dell’ordine: è accaduto nel parcheggio dell’ospedale e, più recentemente, nello spazio verde di via Sauro, incontrando l’approvazione dell’opinione pubblica meno altruista, perché disinformata e non sensibilizzata, comunque esasperata dal problema, creato dalla latitanza delle istituzioni, compresa l’amministrazione comunale gestita dalla destra; istituzioni che pagano un difetto di volontà politica da parte del governo, incapace di risolverlo con criteri di giustizia e umanità. Ma non mancano quelle che aggiungono del loro. Come fanno alcuni esponenti politici locali: la recente sparata razzista della Lega grossetana contro gli studenti immigrati del CPIA è stato un atto vergognoso, andato altre il limite della decenza, per fortuna stigmatizzato da molte parti. E’ stata reiterata la richiesta dell’esercito a Grosseto, sconfinando nel ridicolo, mentre altrettanta sollecitudine non è stata dimostra quando a commettere violenza sulle donne, compreso il femminicidio, sono stati uomini italiani. La sicurezza si tutela con l’inclusione più che con misure di polizia, come dimostra il fatto che là dove c’è meno emarginazione c’è anche meno allarme. Dal cosiddetto “decreto Salvini” il neofascismo trarrà ulteriore incitamento, per l’intolleranza che alimenta, e avendo peraltro ricevuto il viatico dall’unico sindaco che quel decreto ha elogiato con toni addirittura imbarazzanti. Aumenterà la clandestinità, invece di ridurla. Come è stato autorevolmente documentato, “con l’abrogazione della protezione umanitaria, all’improvviso 130mila persone si troveranno senza alcuna possibilità di avere un titolo. Anche i richiedenti asilo, tolti dallo SPRAR, non potranno più chiedere l’iscrizione anagrafica e resteranno fuori da una serie di servizi indispensabili. Hanno ridotto sensibilmente il sistema dell’accoglienza diffusa per privilegiare l’ottica emergenziale dei grandi centri, e questo creerà molti problemi sui territori” (Loredana De Petris, intervento al Senato). Dopo questo, e la nota vicenda di Riace, si ha la certezza che da parte dei governanti, e delle forze politiche che li esprimono, vi sia un accanimento contro tutto ciò che funziona nell’accoglienza, per diffondere nella gente il convincimento che l’immigrazione sia il problema dei problemi, per raccogliere consenso.
Al contrario, la sicurezza, in generale e nella provincia, è chiaramente minacciata dall’infiltrazione mafiosa, come documentano le cronache recenti. Se le cosche si radicassero nel territorio non vi sarebbe più libertà, non ci sarebbero più autonomia della politica e la democrazia. La dignità delle persone verrebbe drammaticamente meno. Però su questo troppi tacciono, ad eccezione dell’ANPI, che denunciò il pericolo con un comunicato del novembre 2017, organizzando una affollata assemblea pubblica a Follonica, e al lodevole impegno del Sindaco Benini. Ad eccezione del sindacato e della testimonianza di associazioni come Libera e Agende Rosse o dell’ARCI, che recentemente ha organizzato a Manciano, invitando il fratello di Peppino Impastato, una iniziativa antimafia durata tre giorni.
Lo scopo che muove il neofascismo è quello di scatenare e mantenere aperta una guerra tra poveri assolvendo dalle proprie responsabilità chi impoverisce entrambi, per lasciare le cose come stanno. L’immigrato e il disoccupato italiano sono alla pari vittime delle diseguaglianze sociali, che sono ritornate ad essere quelle del 1929, e invece di dividersi devono unirsi per lottare insieme contro i pochi che si appropriano della grande maggioranza della ricchezza disponibile nel mondo, sottraendola a tutti gli altri.
Anche tra i giovani e nella scuola la destra neofascista si dà da fare, purtroppo trovando qualche orecchio sensibile. La predisposizione alla radicalità e il bisogno di identità, a fronte del vuoto lasciato dalle forze di sinistra e democratiche, premiano i neofascisti, lasciando ad essi un grande spazio; la perdita di autorevolezza della politica, anche come risultato di una condizione esistenziale segnata dalla precarietà della posizione sociale e dall’incertezza del futuro, conferisce una certa capacità di richiamo a chi appare più estraneo all’establishment; la caduta delle ideologie, recante l’appannamento dei grandi valori e delle tensioni ideali, che ha coinvolto le stesse famiglie, e l’insegnamento spesso lacunoso, specie sul piano storico e civico: sono questi gli ingredienti di un fenomeno allarmante.
L’estrema destra nel governo locale.
La logica del maggioritario, e pure l’inclinazione di certi attori politici, hanno aperto le porte di alcuni Comuni a componenti più o meno neofasciste. Le quali presentano il conto per aver contribuito alla vittoria elettorale della destra. Soltanto all’indomani delle ultime elezioni politiche, visto lo scarso risultato, dalla maggioranza del comune di Grosseto è stata allontanata Casa Pound, la cui presenza comportava un alto prezzo di immagine. Ma vi restano comodamente assisi Fratelli d’Italia e la Lega. Tanto che è stata intitolata una via a Giorgio Almirante, capo missino e massacratore di partigiani, per produrre una provocazione dalla forte valenza simbolica, finalizzandola a una “pacificazione nazionale” che dovrebbe stendere un velo definitivo sui delitti del fascismo. Mentre a Orbetello, con lo stesso scopo, si stanno ancora arrovellando sul modo di riabilitare la figura di Italo Balbo senza far troppo rumore, magari dedicandogli una via accanto a quella che porta il nome di don Minzoni, sua celebre vittima antifascista!
Con il consenso, sbarriamo al neofascismo le porte dei Comuni e della Regione.
Il quadro è insomma preoccupante; è in movimento in una brutta direzione. Ma il neofascismo in provincia non ha al momento un rapporto organico con i ceti produttivi dell’economia né con quelli della cultura; e per questo non è espressione politica di un blocco sociale che si candidi all’egemonia e al potere. Naturalmente il discorso potrebbe cambiare qualora questo mondo avanzasse ulteriormente nel governo degli Enti Locali e si insediasse in quello della Regione.
3 – Efficacia e caratteristiche dell’azione di contrasto. Che fare?
Le più importanti indicazioni di lavoro scaturiscono da quanto già scritto. Adesso ci proponiamo di fare alcune sottolineature e trarne le conclusioni operative. E’ evidente che la praticabilità e l’efficacia dei nostri propositi dipenderà in larga misura dalle volontà politiche che si affermeranno nel mondo, in Europa e nel nostro paese. Ma non ci sfugge che l’evoluzione del quadro generale è a sua volta legata all’iniziativa che salirà dal basso, essendo in questo confortati dal successo delle manifestazioni antirazziste e antifasciste che si sono sviluppate nei giorni scorsi un po’ ovunque (Roma, Torino, Genova), il cui successo è dovuto al fatto che fossero indette da una pluralità di soggetti, rifuggendo marchi politici di parte.
Autonomia dell’antifascismo dai partiti.
Del neofascismo avremo ragione proporzionalmente all’ampiezza dello schieramento che riusciremo a contrapporgli. Perciò dobbiamo unire, tenendo assolutamente ferma la distinzione tra appartenenza al movimento antifascista e appartenenza partitica, proprio come accadde nella Resistenza. Più sarà chiara questa distinzione, più si concretizzeranno le possibilità di costruire ampie alleanze democratiche. Sono ambiti diversi di impegno, anche se uniti da un filo rosso, e così dovranno restare nell’approccio al tema da parte dei partiti e di tutti i soggetti sulla scena. Si può convergere nella difesa dei valori democratici e costituzionali, dei diritti e della dignità umana, e contemporaneamente militare per prospettive diverse nel governo del paese. Qualora non vi fosse coerenza, la contraddizione sarebbe interna al soggetto interessato; soltanto questo potrebbe scioglierla nella sua autonomia. Siamo convinti che non mancherebbe di farlo, perché alla lunga i valori ideali prevalgono, aprendo una dialettica impegnativa, come dimostra l’attualità, e perché la politica è un fatto dinamico, non statico.
L’ANPI rivendica la giustizia sociale e la piena occupazione, ma lascia alla politica e al Parlamento decidere come realizzarle. Se scende nell’agone politico, l’antifascismo si fa partito tra i partiti. E diventa più piccolo e vulnerabile, patrimonio di una sola parte, dismettendo il proprio carattere di collante culturale della comunità; non sarebbe più il tratto distintivo dell’identità nazionale. E ciò si tradurrebbe in una sconfitta epocale, che neppure i fascisti sono mai riusciti a infliggerci. Si potrebbe arrivare all’assurdo di negare la qualifica di antifascista a quei partigiani tuttora viventi che militano o anche soltanto votano per il partito inviso, perché a quel punto antifascista sarebbe considerato esclusivamente colui che condivide determinate rivendicazioni nell’antagonismo politico riguardante gli atti parlamentari e del governo: l’opposto di quello di cui c’è effettivamente bisogno di fronte all’incalzare della destra estrema. Il nostro antifascismo è sentinella della Costituzione e dei Diritti Umani, non è un attore del conflitto sociale e politico. Lavora per garantirlo. Non è collaterale a nessuno, ma autonomo da tutti. Vive nei valori costituzionali e lotta per renderli effettivi.
Un appello ai cittadini, alla cultura, alla politica e al civismo.
In occasione delle prossime elezioni europee e amministrative non possiamo restare inerti, stante la posta in gioco, nell’una e nell’altra consultazione. Non diamo indicazioni di voto, né discutiamo di rapporti politici, cose di pertinenza partitica. Ma, coerentemente con la caratteristica dell’antifascismo, sentiamo il dovere di lanciare un forte appello alla comunità maremmana, alle associazioni, ai partiti, al civismo. Tutti insieme facciamo uno sforzo per alzare il livello del dibattito pubblico in quella circostanza: si parli della democrazia e della libertà, della lotta al razzismo e per l’accoglienza, della dignità dell’uomo contro l’incipiente barbarie, della tolleranza e della pace, dell’ambiente; si dichiari apertamente che si è antifascisti. E di questo si innervino i programmi, e su questo si realizzino le alleanze, decidendo liberamente a quali partecipare, per il governo dell’Europa e dei Comuni. L’importante è dare questo respiro all’impegno politico-amministrativo, alla stessa soluzione dei problemi più minuti, ma sempre importanti, che riguardano il quotidiano della gente. Diamo a tutti gli Enti governi democratici e aperti alle istanze sociali, non permettendo che il neofascismo, con tutto il suo tristo bagaglio di disvalori e di tracotanza, varchi altre porte delle autonomie locali!
Cittadini e istituzioni.
Forme di democrazia diretta, quali i referendum su materie specifiche, previsti dalla Costituzione, integrano il sistema rappresentativo. Il rischio di una delega eccessiva, che potrebbe erodere la sovranità del popolo, si ridurrebbe proporzionalmente al funzionamento dei corpi intermedi prima citati, come canali di reale partecipazione, addirittura fino a scomparire. Il plebiscitarismo, che si fonda sul rapporto diretto tra il “Capo” e l’elettore, nelle sue diverse espressioni è incompatibile con la democrazia. La politica è cosa tremendamente seria. Non è improvvisazione; richiede studio, sacrificio e generosità. E’ confronto delle idee e anche scontro di opzioni alternative, sempre cercando sintesi alte, guardandosi negli occhi e prendendosi le responsabilità. E’ impegno collettivo: non si limita a tradurre meccanicamente e burocraticamente in atti di governo gli umori occasionalmente maggioritari di tante solitudini. E’ ascoltando l’interlocutore e misurandosi con lui che entrambi si cresce. Qui vivono la dialettica, la selezione e il rinnovamento, evitando l’ossificazione e l’unicità delle leadership. Diversamente assumono potere entità anonime e non trasparenti che non rispondono a nessuno.
Sta qui la centralità del Parlamento, che deve essere lo specchio fedele paese; il maggioritario può agire da correttivo del proporzionale; non è ammesso che sia l’elemento che altera la rappresentanza, presupponendo che misure di ingegneria istituzionale, non la politica, risolvano i problemi che ci assillano.
Il pluralismo e la libertà di stampa sono beni irrinunciabili: concorrono alla formazione dell’opinione pubblica, perciò alla raccolta del consenso. Distinguono una democrazia da un regime. In proposito condividiamo le parole del Presidente Mattarella. Agli argomenti si replica con gli argomenti, non si risponde con minacce e misure amministrative che puzzano di autoritarismo.
Autoritaria e autolesionista è una società che disconosce i diritti civili, che non valorizza la differenza di genere ed emargina l’omosessualità. Ne va della felicità delle persone, ma anche del bene collettivo, poiché chi è messo nella condizione di essere se stesso meglio esprime ogni sua potenzialità, è più libero e creativo.
Il primato della Costituzione.
Quello della legalità, cioè del rispetto delle leggi, è un terreno imprescindibile per la convivenza civile e la salvaguardia della libertà e della democrazia. Dobbiamo brandirla contro la criminalità, la corruzione e contro chi attenta alla libertà. Quella italiana è la legalità che incorpora le lotte per la giustizia sociale, la Resistenza e la Costituzione. Se vi sono leggi non condivisibili se ne reclama il cambiamento, sempre con le armi della democrazia. Altrettanto se ve ne sono di giuste e tuttavia non attuate, quale la norma costituzionale che vieta “la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Forza Nuova e Casa Pond vanno sciolte, in quanto dichiaratamente ed effettivamente fasciste, come già avvenuto con Ordine Nero. Coerentemente dobbiamo dare l’esempio anche nei comportamenti quotidiani, cominciando con il richiedere i permessi per le manifestazioni che si organizzano. Queste hanno lo scopo di affermare un valore, non di creare un nemico.
Ribadendo il primato della Costituzione sulle leggi ordinarie, diamo il nostro sostegno ai sindaci che, nell’ambito delle loro competenze, non intendono dar corso all’art. 13 del “decreto Salvini” sulla sicurezza, ciò con il chiaro intento di sanare la ferita da questo inferta alla legalità: o per via politica o tramite la pronuncia della Corte Costituzionale. Quella normativa rade al suolo l’uguaglianza delle persone davanti alla legge, principio sancito dalla Costituzione e cardine della nostra civiltà; se al momento colpisce gli immigrati, una volta affermato il principio, prima o poi dallo strappo passerebbero altre discriminazioni anche a carico degli stessi italiani che non rispondessero ai canoni imposti dal potere. La famosa poesia di Bertolt Brecht è al riguardo illuminante e attuale nel frangente che stiamo vivendo. Per questo vogliamo andare oltre la doverosa solidarietà agli amministratori che si sono attivati, impegnandoci come antifascisti a portare il nostro contributo in questa battaglia sacrosanta, chiamando chiunque abbia a cuore la dignità umana, la libertà e la democrazia a fare altrettanto.
Sviluppo e lavoro.
Insieme con quanto detto, l’equità nella distruzione della ricchezza e il superamento dell’austerity si fondono nella creazione di occupazione. Ma c’è uno sviluppo che invece di emanciparlo danneggia l’uomo, ponendo l’esigenza di una riflessione sulla qualità dell’economia e sulle sue finalità. Occorre distinguere, non potendo più reclamare una “crescita” purchessia che il pianeta né La società reggono, perché in mancanza di una più chiara ispirazione finiscono per prevalere i cosiddetti “istinti animali” del capitalismo. Da tempo è sul tappeto il tema del cosa e come produrre e perché, fino ad ora colpevolmente trascurato. La politica deve riprenderlo, ponendolo al centro del confronto. Per noi necessita un più stretto intreccio tra culture umanistica e scientifica, tuttora distinte se non concorrenti, per aprire nuovi spazi alla stessa manifattura, vedendolo come base dell’ideazione di uno sviluppo che, per quanto riguarda la provincia, sia fortemente legato alle peculiarità del territorio, senza rincorrere modelli omologanti, ad esso estranei e già largamente falliti.
I giovani e la formazione.
La scuola può e deve dare un formidabile impulso anche in questa direzione. L’insegnamento va profondamente ripensato, nei percorsi e nei contenuti, per connetterlo con la formazione dell’uomo neomoderno (Roberto Mordacci, “La condizione neomoderna”, Einaudi), offrendogli un più robusto senso critico e maggiore indipendenza intellettuale. Per quanto ci riguarda perfezioneremo l’esperienza dei corsi denominati “A scuola di Costituzione” che da anni compiamo negli istituti superiori di Grosseto, grazie alla Convenzione ANPI-MIUR; contemporaneamente dobbiamo replicarla in tutti i centri della provincia sede di istruzione secondaria. Gettiamo semi che nel tempo non mancheranno di germogliare. Ragazze e ragazzi sono portatori di futuro, noi di memoria. L’incontro sarà fecondo se saremo capaci di rendere chiaro il rapporto tra messaggio della Resistenza e costruzione di un mondo migliore. Ma la formazione è orientata anche dallo stile di vita, dagli impulsi che questo dà. Se il lavoro viene svalorizzato e il successo individuale e il denaro diventano il valore assoluto, cresceranno persone che rifuggono la responsabilità verso il prossimo ed esposti all’individualismo e all’egoismo. Se dai media e dalla rete continuerà a straripare il peggio del modello americano, i valori europei, improntati alla solidarietà, segneranno inevitabilmente il passo. E culturalmente diventeremmo una colonia dell’ “impero”, malgrado la nostra storia, la nostra arte, le nostre scoperte, il nostro genio.
Debellare la violenza che attraversa le società occidentali, di cui i tanti episodi di bullismo sono un aspetto preoccupante, richiede uno sforzo straordinario. Senza chiusure a culture altrui, ma con il solo proposito di stabilire il giusto equilibrio, ci appelliamo all’intellettualità e alla politica affinché vengano tempestivamente iniettati anticorpi nel tessuto sociale, recuperando tanta gioventù alla tensione ideale dei grandi valori che sempre hanno accompagnato le fasi migliori della vicenda italiana. Ma se dai nostri ragazzi abbiamo anche molto da imparare, dobbiamo sviluppare un dialogo con loro, anche creando sedi e strumenti di lavoro comune con i disponibili: questo resta il compito dell’ora. A Grosseto sono da concretizzare nuove esperienze in merito, cosi come si dovrà mettere compitamente in circolo il patrimonio documentario e di competenze dell’ISGREC e stimolare l’intellettualità cittadina e del territorio ad un maggiore impegno, le istituzioni a perfezionare la loro iniziativa o a metterla in atto.
La memoria.
“E’ successo, quindi può succedere di nuovo” scrive Primo Levi riferendosi all’Olocausto. Siamo d’accordo con lui e pensiamo che la memoria sia un potente impedimento alla penetrazione del neofascismo nella comunità. Le celebrazioni della Resistenza non possono diventare un rituale stanco con il passare del tempo; richiedono una loro attualizzazione, facendone un momento di riflessione sui compiti degli antifascisti in questo momento. Altresì bisogna liberarsi di alcuni imbarazzi, che hanno lasciato spazio alla propaganda avversaria. Il dramma delle foibe non è separabile dai crimini commessi dai fascisti oltre il confine italo-sloveno con la loro “italianizzazione forzata” dei territori occupati. Ma dobbiamo anche dire che la reazione degli antifascisti jugoslavi, tanto più se ha coinvolto innocenti, è estranea ai nostri valori. I tempi erano quelli che erano, ma i colpevoli dovevano essere perseguiti in altro modo. Il bombardamento di Grosseto del 26 aprile 1944, con tutte le sue vittime civili, bambini compresi, è ascritto alla follia omicida di una squadriglia americana. Ma resta il fatto che la carneficina avvenne nel contesto di una guerra voluta dal fascismo. Per quanto esecrabile, l’accaduto non può in alcun modo offuscare il significato della Liberazione, come non può farlo la brutta vicenda delle foibe. I due accadimenti non possono in alcun modo essere agitati contro l’antifascismo, quasi a dimostrare che fascismo e antifascismo pari sono. E che i lutti non sono dovuti alla malvagità di una parte, ma alla guerra come tale. La Giornata del Ricordo deve diventare nostra, con iniziative appropriate. I grossetani uccisi dalle raffiche USA sono vittime di fascisti, che oltretutto se l’erano data a gambe levate dalla città, per mettersi, loro, al sicuro, mancando di dare l’allarme. Con i partigiani devono essere celebrati il 25 aprile.
Diamo vita ad organismo unitario dell’antifascismo.
Occorre un colpo d’ala per rendere più comprensibile ed efficace l’antifascismo. Anche a questo sono finalizzati gli Stati Generali, coinvolgendo nella preparazione e nello svolgimento tutti i democratici, compresi ambienti e figure con cui tradizionalmente non abbiamo interloquito adeguatamente. Il presente documento è la base del dibattito ed è aperto ai contributi di coloro che, preoccupati dalla deriva in atto nel mondo, sentono il dovere di un impegno, condividono il senso dell’iniziativa e vogliono portarvi il loro contributo. Per dare continuità e incisività al lavoro che decideremo di fare, potremmo dar vita ad una sede permanente di discussione e coordinamento dell’antifascismo maremmano, sia questa un Comitato o un’assemblea provinciale antifascista a difesa della Costituzione e dei Diritti Universali dell’Uomo, a cui siano presenti le stesse istituzioni locali, naturalmente mantenendo ognuno la propria autonomia e la propria identità.
L’iniziativa
Riassumendo elenchiamo i principali temi del nostro lavoro nel prossimo futuro.
STATI GENERALI DELL’ANTIFASCIMO MAREMMANO. Coinvolgendo l’intero arco antifascista locale, o la maggioranza più larga possibile di esso, sarà l’iniziativa destinata a dare impulso a tutte le altre. In quella sede si puntualizzerà cosa è il fascismo, ma soprattutto discuteremo di come si è antifascisti oggi. Il suo successo avrà un forte impatto politico e culturale, oltre che mediatico. Non è esagerato dire che la situazione nel campo democratico e nella società non sarà più quella di prima, se arriverà da quella sede, e dall’unità antifascista in essa realizzata, una nuova motivazione e un forte incitamento al lavoro, oltre le tradizionali energie. A questo concorreranno l’approvazione del presente documento, eventualmente perfezionato, che a quel punto sarà “IL MANIFESTO DELL’ANTIFASCISMO MAREMMANO” e il lancio dell’appello alle forze politiche e al civismo, come alla generalità degli elettori, per un voto responsabile e ragionato, democratico e antifascista, in occasione delle consultazioni amministrative e europee del prossimo mese di maggio, nonché la condivisione e il concreto avvio delle iniziative individuate.
CONTRASTO DEL NEOFASCISMO. Problema al tempo stesso culturale e politico. Occorre agire sia per rendere chiaro cosa il fascismo è stato, e cosa sarebbe nel mondo attuale, soprattutto ai giovani che non ricevono adeguata informazione dalla scuola e dalle famiglie, sia per ricostruire la sua reale consistenza e presenza nel territorio e, insieme, capire meglio i contenuti della sua propaganda che possono incontrare il favore della gente. Per questo è da considerare la possibilità di costituire un osservatorio, presso le istituzioni locali, che operi di conserva con gli Organi dello Stato, verificandone la disponibilità. Dobbiamo insistere con maggiore energia per la piena applicazione della Costituzione e delle leggi, reclamando lo scioglimento di Casa Pound e di Forza Nuova, e la puntuale sanzione delle ricorrenti illegalità dei neofascisti nostrani, i quali spesso si sostituiscono alla polizia in compiti che ricadono sotto l’esclusiva competenza delle forze dell’ordine. Ma soprattutto dobbiamo occuparci della prevenzione, chiedendo alla politica la soluzione dei problemi sociali, quali l’occupazione, il cui incancrenirsi costituisce il brodo di coltura della violenza e del neofascismo. Dobbiamo altresì far nostra la Giornata del Ricordo, diffondendo le ricostruzioni storicamente attendibili degli eventi che si celebrano nell’occasione, per accreditare nella cittadinanza la verità accertata, senza strumentalizzazioni propagandistiche. E dobbiamo infine rendere omaggio alle vittime civili del bombardamento americano di Grosseto, almeno deponendo ogni 25 aprile una corona alla lapide che ricorda la strage.
COSTITUZIONE E LEGALITA’. La Costituzione va fatta conoscere. La Costituzione va difesa dal proposito coltivato dalla destra di modificarla in senso presidenzialista. La Costituzione va applicata: dalla rimozione delle parti più significative, specie riguardanti i diritti dei cittadini, si è passati da tempo alla produzione di atti che apertamente la contraddicono; ultimo il “decreto Salvini” sulla sicurezza. Bisogna coinvolgere la scuola e la società. Se l’insegnamento della Costituzione fino ad ora ha particolarmente impegnato alcuni insegnanti e l’ANPI, è l scuola in quanto tale che deve farsi carico di una organica formazione civica. Sul modello della sicurezza imposto dal governo non c’è stata al momento una adeguata reazione: forse confidando nella Corte Costituzionale, forse pensando che opporvisi sia impopolare. Superiamo possibili timidezze, facciamo appello agli italiani, senza escludere il ricorso al referendum, perché respiriamo una brutta aria, come non mai. L’illegalità sta diventando normale.
Dopo lo scivolone della Lega grossetana, a cui si è fatto cenno, e la diffusione via Facebook della foto di un giovane accusato ingiustamente di essere un ladro di cani per il solo colore scuro della sua pelle, i fatti di Monte San Savino (Arezzo) devono seriamente far riflettere. Fa rabbrividire la solidarietà accordata all’omicida dalla comunità locale: la dinamica del fatto sarà accertata dagli inquirenti, ma è verosimile che egli abbia sparato al ladro per uccidere. Fa rabbrividire che questo accada in Toscana che, prima nel mondo, abolì la pena di morte nel 1786, grazie a Pietro Leopoldo, granduca illuminato. Fa rabbrividire che esprima solidarietà all’indagato quel ministro degli interni sotto la cui responsabilità ricade l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, che tramite la polizia deve prevenire e perseguire i reati e che invece incita la gente a commetterli: avesse un minimo di dignità dovrebbe dimettersi; se non gli italiani, qualcuno nel palazzo dovrebbe imporglielo.
Fanno rabbrividire tutte queste cose insieme, perché ci dicono che stiamo uscendo dall’umano. Ne comprendiamo l’esasperazione, ma l’imprenditore di Monte San Savino non doveva sparare. Ci sono le leggi; a quelle dobbiamo affidarci, rivendicando che lo Stato sia più efficiente al riguardo, se non vogliamo tornare al Far West.
Se accompagniamo a questo clima, fatto di violenza diffusa e di cattiveria, a fenomeni quali l’incombente apocalisse ecologica e le crescenti differenze sociali, che allargano l’area della povertà, concentrando la ricchezza nelle tasche si sempre meno ricconi, ci si para davanti lo scenario di un paese e di una umanità sull’orlo dell’abisso: ancora un passo, e giù in un nuovo medio evo. Stavolta accompagnato dallo stravolgimento geografico e dell’estinzione di tante specie viventi, non esclusa quella umana.
Allora rimbocchiamoci le maniche, anche andando controcorrente; torniamo indietro, alla Costituzione antifascista e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, per andare avanti. “Se non ora, quando?”
Chi diffonde odio deve essere perseguito, chiunque egli sia; tutti gli organi di informazione si sottraggono alla tentazione di farsi megafono dei sacerdoti della cattiveria, contribuendo invece all’avvento di un clima migliore, basato sulla tolleranza e il rispetto del prossimo; la cultura e gli intellettuali battano finalmente un colpo, corrispondendo alle loro responsabilità.
SOLIDARIETA’ E ACCOGLIENZA. L’esclusione è un male che colpisce tutte le diversità rispetto al modello umano e ai rapporti sociali dominanti; al momento a soffrirne sono particolarmente gli immigrati. I molti problemi che motivano l’odio verso chi arriva non sono creati dalle migrazioni in quanto tali, ma dall’ incapacità del nostro e degli altri governi di gestire il fenomeno con efficacia e giustizia. Ma di chi chiunque sia la colpa, questi problemi esistono; ignorarli o sottovalutarli ci farebbe fare il gioco del razzismo, che mira ad ingigantirli e strumentalizzarli. E’ nostro dovere riconoscerli, anche perché questo è necessario per approntare risposte positive. Soprattutto non va criminalizzato chi reagisce ad un disagio reale, anche sbagliando toni e comportamenti. Siamo qui ad un passaggio cruciale, che decide se una linea inclusiva avrà il consenso oppure no. Se aumenterà l’alterazione della biosfera, con tutte le sue conseguenze sul clima, se aumenteranno le povertà indotte dalla iniqua distribuzione della ricchezza tra i popoli e tra le persone, il fenomeno migratorio si intensificherà, e se nel frattempo la ragione non avrà preso il posto degli istinti, se la solidarietà non avrà sconfitto l’egoismo, quello che ci aspetta è un mondo da incubo, dominato da conflitti anche etnici per la sopravvivenza.
Noi per primi, il volontariato laico e religioso, le chiese e il sindacato, che già sono impegnati in questo cimento, dobbiamo essere presenti anche nei luoghi dell’attrito tra migranti e residenti, per costruire il dialogo possibile, togliendo spazio ai neofascisti. Il che presuppone atteggiamenti appropriati da parte dei migranti stessi, che spesso si comportano in maniera non corretta. Come farlo, nel rispetto della legge, è materia da sviscerare. Non si deve incorrere nel “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, che è reato, ma nemmeno farci gendarmi. Un dilemma dovuto al fatto che azioni finalizzate a ridurre la sofferenza da entrambe le parti sono impedite da leggi dello Stato, oggi ulteriormente peggiorate dal governo che, con le sue scelte in materia di sicurezza, costringerà alla clandestinità tanti immigrati inseriti nei percorsi dell’inclusione, aggravando le cose. La modifica della normativa in vigore è imprescindibile, ma contestualmente con questo obiettivo dobbiamo porci quello di fare intanto il possibile, dando una interpretazione il più possibile evolutiva della legge.
Si superi ogni timore di perdere consensi e ogni timidezza. Lo diciamo alla politica e ai pubblici amministratori, specie ai troppi che non hanno aderito allo SPRAR. Un’accoglienza basata su piccoli gruppi non è un problema per nessuno, ma può essere una soluzione per tanti esseri umani. I sindaci si facciano portatori presso le loro comunità di un messaggio distensivo e rassicurante, che veda noi stessi nell’altro, non un nemico, svolgendo quella funzione pedagogica che anche a loro fa capo. Padroneggino gli eventi, non si facciano padroneggiare da essi.
LOTTA ALL’INFILTRAZIONE MAFIOSA. “Pecunia non olet” dicevano gli antichi romani. Invece certi soldi puzzano. E portano il crimine. Sono quelli che le mafie spargono nelle zone già ricche del Paese, nelle quali il riciclaggio è più facile e vantaggioso, e in quelle più promettenti relativamente alle possibilità di sviluppo. Le cronache dicono che la Maremma è tra queste ultime. Non per caso è Follonica il luogo più esposto, ma segnali allarmanti si hanno da più parti del territorio provinciale. Tuttavia l’attenzione della politica, e della categorie economiche in primis, è ancora molto al di sotto del pericolo. Sarà perché “al cavallo donato non si guarda in bocca”, specie in zone affamate di investimenti. Sarà perché di fatto si è delegato alla polizia il compito della vigilanza sull’infiltrazione di Cosa Nostra o della n’drangheta e della camorra nel nostro tessuto economico. Più probabilmente sarà perché, riconducendo la questione della legalità alla sola presenza degli immigrati, non ci siamo accorti che il rischio più grande per la nostra sicurezza viene invece dalla grande malavita italiana e forse internazionale.
Polizia e magistratura fanno la loro parte e continueranno a farla, ma se se non apriamo gli occhi, suscitando sul problema una sensibilità e una mobilitazione diffuse nel corpo sociale, la partita è persa, e prima o poi subiremmo le stesse vessazioni umilianti nelle quali vivono i cittadini delle regioni a più alto radicamento mafioso. Il primo passo dovrà essere finalizzato alla precisa conoscenza del fenomeno in terra maremmana, chiedendo a gran voce che venga subito ricostituito quell’osservatorio, rappresentativo di tutte le organizzazioni impegnate nella difesa della legalità, che negli anni scorsi aveva ben operato presso l’Amministrazione provinciale.
I GIOVANI. Hanno la vita davanti; il mondo è più loro che nostro. Come ogni nuova generazione, essi sono critici verso i costumi della precedente, non vi si riconoscono completamente. Ed è bene così, perché sulle spalle di chi oggi è giovane graverà il peso di problemi che la nostra generazione ha creato o non è stata capace di risolvere, specie l’impatto ecologico delle attività umane e la gestione delle migrazioni, costruendo nuovi equilibri economico-sociali. Toccherà ai giovani salvare sia il Pianeta sia la dignità dell’essere umano e la democrazia globale. Per questo dobbiamo costruire un serio dialogo con loro: noi dobbiamo trasmettere i grandi valori, ad essi spetta rinverdirli adeguandoli al mondo presente. Facciamolo entrambi, nella scuola e nella vita reale, con la necessaria disponibilità all’ascolto, essendo questo il solo mezzo per incanalare la grande energia innovatrice rappresentata dai giovani nei percorsi costruttivi di un futuro migliore. E’ un compito della formazione scolastica, dell’informazione, delle istituzioni locali e centrali e delle famiglie. Per quanto ci riguarda, l’antifascismo farà il possibile per corrispondere alla bisogna, creando, come già anticipato, sedi comuni di impegno e di lavoro, nelle quali possiamo crescere insieme.
UN MONDO PER TUTTI. La libertà non è soltanto votare alle elezioni o poter esprimere liberamente il proprio pensiero; è anche poter vivere secondo le proprie inclinazioni. Il pluralismo non è soltanto la presenza di più partiti e giornali; è anche la piena cittadinanza di tutte le espressioni della natura umana. Per questo l’antifascismo lotterà insieme a tutti coloro che si battono e si batteranno contro tutte le discriminazioni, per affermare la parità di genere e la libertà sessuale e per consolidare e conquistare nuovi diritti civili, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana, democratica e antifascista, nata della Resistenza.
Grosseto, 4 gennaio 2019.