GROSSETO – La parola magica è “visione”. E a Follonica una visione ce l’hanno. Nel senso che nella città del golfo, partendo dal concetto di rigenerazione urbana, hanno messo in piedi un processo complesso e potenzialmente produttivo di grandi risultati. Che possono andare molto oltre il semplice recupero edilizio ed urbanistico dell’area degradata costituita dal centralissimo comprensorio ex Ilva.
Lo si è capito bene venerdì 15 marzo – al Teatro Fonderia Leopolda – in occasione del seminario “Comunità, cultura, lavoro”, terzo appuntamento di un ciclo di tre organizzati dall’amministrazione comunale, con la regia dell’assessorato alla cultura guidato da Barbara Catalani. L’idea ambiziosa al centro del progetto è quella di dare a Follonica un’occasione per diventare polo di produzione culturale, con tutto quel che ne consegue sotto il profilo economico e occupazionale.
Una scommessa nata in corso d’opera, e che è la conseguenza logica – ma non per questo scontata – della continuità d’impegno rispetto alle sorti dell’ex Ilva da parte di tre amministrazioni comunali susseguitesi negli anni: Saragosa, Baldi e Benini. Un approccio che affonda le proprie radici in un pensiero lungo, non semplicemente ancorato agli obiettivi di breve/medio termine tipici dei cicli amministrativi. Cosa più unica che rara in provincia di Grosseto, dove solo Castiglione della Pescaia sta al passo di Follonica nella capacità di reinventarsi per continuare a produrre reddito e benessere sociale diffuso.
D’altra parte, a guardare le cose per quello che sono, entrambe le località costiere hanno dovuto confrontarsi con la crisi del modello tradizionale di offerta turistico ricettiva che per decenni ne ha fatto la fortuna. A Castiglione se la sono giocata con un guizzo che ha dilatato le presenze turistiche nei periodi di bassa stagione, a partire dalle Giornate europee dello sport. A Follonica, una volta acquisita dal demanio statale l’area ex Ilva, recuperandone una parte a funzioni pubbliche con le risorse Piuss, come nel caso di teatro, auditorium e museo Magma, si stanno ingegnando appunto per dare gambe a un vero e proprio comparto economico basato su cultura e conoscenza. Un pezzo del terziario più avanzato e innovativo che sta facendo molto bene nelle grandi città e nelle aree metropolitane. Creando opportunità di lavoro e indotto economico, soprattutto in sinergia con università e turismo, ma non solo.
Reinventarsi per sottrarsi alla morsa della crisi o della stagnazione, però, comporta anche la consapevolezza che a guidare i processi di riconversione economica e sociale incardinati sulla cultura non può essere solo la parte pubblica. Insufficiente sia per mancanza di risorse – leva sempre più carente – sia perché inadeguata in termini di cultura d’impresa. È a partire da questa presa d’atto che a Follonica la politica ha svolto al meglio il proprio ruolo, impostando un’operazione di lunga lena (cinque anni) che è stata allo stesso tempo identitaria e d’innovazione sociale. Puntando su un metodo e un processo finalizzati ad aggregare e coinvolgere tutta la comunità locale, chiamata a tirare fuori idee e know how gestionale. Perché, com’è emerso dalle testimonianze illustrate nella giornata di studi di altre esperienze simili in giro per l’Italia – dalla Fondazione quartieri spagnoli di Napoli (FoQuS) al Mercato Lorenteggio di Milano – a fare la differenza nella riuscita dei progetti è la qualità della gestione, figlia del modello di governance scelto. A questo proposito chiarissimo il monito di Renato Quaglia, direttore della fondazione FoQuS di Napoli: «non esistono modelli di governace buoni per ogni situazione. Bisogna fare uno sforzo d’immaginazione a partire dal contesto socio economico di ogni singola realtà».
Unico comun denominatore fra le diverse realtà che si sono confrontate – compresi le toscane “CasermArcheologica” di Sansepolcro e “Lucca Creative Huba”, in rete con Follonica attraverso la Regione Toscana – quello della cultura come motore di sviluppo ed emancipazione. Un metodo che non contempla l’elaborazione di un progetto di sviluppo culturale a sé stante, ma che ne integra i contenuti all’interno del piano strategico di sviluppo della città e del territorio. Tenendo inoltre conto del fatto che Follonica, con il suo patrimonio storico e culturale, è inserita nell’Ambito turistico delle Colline Metallifere/Val di Cornia.
D’altronde, a dimostrare che con la cultura si mangia, eccome, ci ha pensato il focus affidato all’Irpet (istituto regionale per la programmazione economica della Toscana). Che ha quantificato il peso del comparto, composto da stampa e riproduzione su supporti registrati; attività editoriali; produzione cinematografica, video, programmi televisivi, registrazioni musicali e sonore; attività di programmazione e trasmissione; attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, musei, biblioteche ed altre attività culturali; attività sportive, di intrattenimento e di divertimento. Un ambito nel quale in Toscana a fine 2017 lavoravano 38.000 persone, equivalenti al 2,3% degli occupati toscani (512.000 in Italia per il 2,1% degli occupati), con la terza migliore incidenza fra le regioni italiane degli occupati nel comparto.
Guardando invece al valore economico generato dalla cultura, si scopre che in Toscana ad essa vengono destinati il 6,6% della spesa per consumi delle famiglie, il 2,2% della spesa delle Pubbliche amministrazioni e il 2% degl’investimenti, con un effetto diretto sul prodotto interno lordo di 1,5 miliardi di euro (equivalente all’1,3% sul valore complessivo).
Più interessante ancora l’impatto (effetti diretti e indiretti) generato dal comparto nella nostra regione, analizzato attraverso i coefficienti di moltiplicazione. Per il Pil generato dalla spesa delle famiglie (2.121 milioni di euro) il moltitplicatore è 0.53, per quello della pubblica amministrazione (347,9 milioni) è 0.82, mentre per gli investimenti (138,4 milioni) il moltiplicatore è 0.41.
Questi numeri, peraltro, sono paragonabili a quelli di altri forti comparti produttivi del made in Tuscany, come il cartario e la conceria delle pelli. La spesa delle famiglie per consumi ricreativi e culturali, inoltre, con l’eccezione del periodo più duro della crisi, in cui ha avuto lo stesso andamento, è stata sempre molto più dinamica (elastica) rispetto alla spesa per i consumi totali. Mentre quella pubblica aggregata (Stato, Regioni, Enti locali, imprese pubbliche) è andata progressivamente riducendosi.
In conclusione, pensare per Follonica a un futuro da polo produttivo della cultura/conoscenza non è un semplice esercizio di stile, ma una possibilità concreta. Tenendo conto che per ottenere il risultato ci sarà da lavorare duramente, soprattutto perché la città è piccola e ancora un po’ troppo isolata in termini di collegamenti. La forte attrattività turistica può essere un alleato, così come la presenza di diverse imprese industriali con un solido know how. Insomma, la scommessa riguarda l’intera comunità. E vincerla è un interesse di tutti.