GROSSETO «Chiederemo un confronto con il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale sull’iniziativa “Mani cantanti”, visto che abbiamo appreso dalla stampa che l’evento verrà sicuramente riproposto in altre realtà scolastiche» a parlare è Stefano Niccoli, presidente dell’Agfa, associazione grossetana famiglie audiolesi. «“Mani cantanti”, organizzata da un’insegnante della scuola elementare di via Sicilia, non prevede la presenza nel coro di bambini sordi. Sapete perché? Perché i 18 bambini ipoacusici che frequentano le scuole della provincia di Grosseto, parlano e cantano senza essere costretti ad utilizzare le mani e ben lo dovrebbe sapere la predetta insegnante, visto che negli ultimi anni, presso la scuola di via Sicilia, dove insegna, ne sono passati ben tre. Non risulta, nella provincia, alcun bambino nato sordo i cui genitori abbiano scelto di non intraprendere la vera via di integrazione fortunatamente fornita dalla scienza, dalla medicina e dalla tecnologia».
«L’impegno di queste famiglie riunite nell’Agfa ha consentito, tra l’altro, di far nascere a Grosseto il “Centro Rieducazione del Linguaggio”, ove lavorano logopediste specializzate nel trattare bambini sordi, per garantire la riabilitazione del linguaggio ai bambini ipoacusici grossetani, che è ben presto diventato poi punto di riferimento non solo per la nostra provincia, ma anche per le famiglie senesi e di altre province toscane».
«Non intendiamo minimamente giudicare l’evento che si è svolto sabato, ma esigiamo chiarezza ed una corretta informazione, anche perché aver coinvolto i bambini udenti in questo progetto, significa educarli ad una realtà che non rappresenta quella attuale, né quella della nostra provincia, né tantomeno può rappresentarne il futuro – prosegue Niccoli -. Oggi un bambino, indipendentemente dal suo grado di sordità, parla e si esprime correttamente con il linguaggio orale in lingua italiana e straniera, ed è doveroso riconoscere il merito di questi risultati in primis agli stessi bambini, alle loro famiglie ed a quanti a vario titolo si adoperano per il raggiungimento di tale obbiettivo. L’utilizzo della lingua dei segni per i nuovi nati costituirebbe una sconfitta di eventuali genitori “sprovveduti” fatta sulla pelle dei minori e rapprenderebbe una sconfitta anche per la società, che non avrebbe garantito la reale e piena integrazione ed autonomia dei bambini sordi, non assicurando al tempo stesso l’effettiva indipendenza anche dei futuri adulti».
«Il “linguaggio mimico-gestuale“, come è più corretto definire la cosiddetta “lingua dei segni” (perché di questo si tratta e non di una lingua), è stato un utile strumento necessario fino a 30 anni fa (e lo è tutt’oggi, ma solo per gli adulti nati prima di 30 anni fa), in quanto allora rappresentava l’unico mezzo per chi aveva avuto la sfortuna di incorrere in questa disabilità. Oggi i bambini che nascono sordi, specie nella provincia di Grosseto (in media 1/2 all’anno) vengono precocemente, già dai primi mesi di vita, protesizzati ed impiantati, nonché avviati ad un percorso logopedico di apprendimento del linguaggio, con risultati strabilianti ed impensabili fino a 30 anni fa. I “nostri” bambini frequentano la scuola ed, anche se in molti casi con l’utile aiuto di un insegnante di sostegno, tutti hanno raggiunto gli obbiettivi didattici imposti dal programma al pari dei propri coetanei normo-udenti, con i quali si sono totalmente integrati, proprio perché non utilizzano la lingua dei segni, ma quella orale e non vi è la necessità di avvalersi di un interprete, non solo per imparare, ma neppure per giocare. Casomai sarebbe più opportuno che gli sforzi della scuola pubblica fossero incentrati nell’assicurare la copertura di tutto l’orario didattico con un adeguato supporto di un insegnante di sostegno sin dall’inizio dell’anno scolastico, per qualsiasi minori, qualunque tipo di disabilità abbia. Quindi una domanda ci sorge spontanea: a chi è rivolta questa iniziativa? Quale messaggio vuol far passare?».