Cala il sipario sul plumbeo 2018. Richiedendo un esercizio d’ironia e sarcasmo per esorcizzare i rischi di un 2019 che minaccia d’esser tetro.
La provincia profonda, coi suoi paradossi, è uno scrigno zipillo (1) di perle cui attingere. Nella piccola città di Grosseto, ad esempio, soffia forte il vento dello “zeitgeist“ sovranista (spirito dei tempi ndr), declinato con claudicante fantasia in chiave identitario-mangereccia. Ma sorprendentemente assurto agli onori della cronaca col viatico del “Regolamento per il decoro del centro storico”. Decoro, in nome del quale sin troppe volte sono state perpetrate ingiustizie inenarrabili, ricorrendo al comodo passepartout della morale….
Riassumendo in una metafora, nel centro storico cittadino del capoluogo maremmano si sta giocando una battaglia epocale: quella dei tortelli contro il resto del mondo. Proprio così, non sembri un’iperbole. I tortelli maremmani, infatti, per delibera di Consiglio comunale stanno diventando il vessillo identitario della difesa dell’occidente (cristiano?) dall’aggressione mondialista di kebab, sushi & sashimi, falafel, involtini primavera, pollo tandoori, gulasch e salamelle affumicate dell’est Europa. Una roba mai vista prima nella Maremma orgogliosa fino allo sciovinismo dei propri mitologici tortelli ricotta & spinaci, delle pappardelle al sugo di cignale (che ragù suona effemminato), del “conigliolo co’ l’olive”, e via elencando.
In Comune, dopo ponderosa e acuta riflessione, hanno infatti compreso che buona parte del rovinoso decadimento del centro storico del capoluogo, dipende proprio da quest’aggressione immonda e ingiustificata. Vero e proprio attentato all’italica, e maremmannica, inarrivabile tradizione enogastronomica. Probabilmente orchestrato dalla fondazione Open Society di George Soros. Che nel grossetano avrebbe individuato l’anello debole della cintura difensiva del patrimonio culinario e dei valori nutrizionali europei. Insomma tutto si lega: il complotto mondialista plutocratico, cripto giudaico e massonico, di cui Soros è uno dei grandi burattinai, la minaccia alla nostra sovranità alimentare e il disfacimento del salotto buono della città. È proprio vero: a volte abbiamo tutto sotto il naso, ma non vogliamo vederlo.
Colto il pericolo – anyway – la contromossa è stata subitanea come un blitzkrieg (2) e lungimirante. Col nuovo “regolamento sul decoro” approvato in una storica seduta di Consiglio comunale – e come sennò – si è stabilito che le attività dedite al culto del di cibo debbano vendere «prevalentemente prodotti della tradizione italiana, che occupino almeno il 50 per cento della superficie di vendita». Un “furor nationalis” che ha investito un po’ tutti: generi alimentari, minimarket, rosticcerie, ristoranti, pizzerie, paninoteche e chi più ne ha, più ne metta. Con una ciliegina ideologica degna dell’Index librorum prohibitorum (indice dei libri proibiti) del 1559, pietra miliare della Santa Inquisizione istituita nel 1542 da papa Paolo III.
Le insegne delle attività commerciali del centro cittadino, dice non a caso il luminescente regolamento, «devono essere espresse esclusivamente con caratteri della cultura occidentale». Non siano mai ideogrammi cinesi o giapponesi, né lettere cirilliche o ebraiche. Men che mai parole arabe. Che l’occidentale Grosseto avrebbe ad adontarsene. Ad abundantiam, il suddetto regolamento, sempre dentro le Mura medicee, ha proibito anche la vendita di alcolici da asporto – non di quelli da somministrare in loco – dalle ore 21.00 alle 6.00 della mattina…..invero misura dal retrogusto vagamente proibizionista e codino.
In questa temperie culturale, pare ci sia chi voglia marcare ulteriormente il terreno. Issando vessilli fregiati di tortelli maremmani a porta Nuova, di pici all’aglione a Largo Corsica, di irsuti rupestri a Porta Vecchia, cacio & baccelli al ponte di Campo Amiata. A contrastare anche simbolicamente l’assalto portato ai bastioni del sano cibo maremmano dalle truppe globaliste già attestate in via Ximenes – coi giapponesi di Kiku – o in piazza De Maria, dove allignano i cinesi di Jin Lai Den. Avanguardia della rapinosa armata enogastronomica mondialista.
Che tutto questo contrasti grottescamente col battagliero colonialismo enogastronomico nazionale, che profittando dell’assenza di frontiere ha conquistato e sottomesso legioni di consumatori in giro per il mondo al grido di «pasta e pizza o morte!», non pare suscitare dubbi a nessuno. D’altra parte l’inconsapevolezza ideologizzata rende vittime di sé stessi gli aspiranti aguzzini. E così lo stesso “homo maremmanus”, che esalta la propria identità nel localismo alimentare col quale ghermisce ogni malcapitato turista, ammannendogli tortelli e cinghiale in umido a ogni pie’ sospinto, finisce per ritrovarsi paradossalmente rinchiuso all’interno delle Mura medicee. Sulla difensiva rispetto a un mondo in evoluzione che non riesce a decodificare, e quindi a conquistare come avrebbe l’ambizione di fare.
Buon 2019 a tutti, allora. Ci vediamo al kebab di piazza del Sale a Grosseto, dove per fortuna ci salvano la tradizione vendendo anche la pizza.
Note
1 zipillo = pieno, traboccante – dialettale
2 blitzkrieg = guerra lampo