GROSSETO – «Vorresti aprire una pizzeria al taglio o una gelateria nel centro storico di Grosseto? Oppure stai pensando alla possibilità di un market dentro le Mura che permetta ai residenti di fare la spesa e avere finalmente una ‘vita normale’ oltre gli aperitivi? O magari vorresti rendere più accattivante la tua vetrina con qualche bel pannello o scritta luminosa? Rassegnati, con il Regolamento per il ‘decoro’ del centro storico, che sarà approvato il 28 dicembre dal Consiglio comunale, tutto questo sarà vietato o, nella migliore delle ipotesi, ostacolato in ogni modo» a parlare è Carlo De Martis, capogruppo Lista Mascagni sindaco.
«E’ impossibile riassumere in poche righe il lunghissimo elenco di vincoli e divieti che tra qualche giorno saranno introdotti per gli imprenditori grossetani, ma qualche anteprima è il caso di darla, visto anche, guarda caso, l’inusuale silenzio del sindaco su questo argomento. Le attività esercitate con modalità ‘assimilabili’ al fast food (dunque pizzerie al taglio, paninoteche, piadinerie e gelaterie, oltre ai tanto vituperati ‘kebabbari’), a meno che non dispongano di una superficie di oltre 70 mq potranno essere aperte solo a condizione che vendano prodotti del territorio o a filiera corta. Gli amanti della pizza al wurstel e del gelato al cioccolato dovranno farsene una ragione. Quanto ai bar, a meno che non disponiate di un fondo di oltre 40 mq dovrete lasciare perdere: il divieto è assoluto».
«La pillola più amara è riservata però ai market, che non saranno liberi di vendere ciò che vogliono, ovvero ciò che serve ai clienti (come in ogni parte della città, e del mondo) – prosegue De Martis -, ma dovranno riservare oltre il 50% della propria superficie di vendita a ‘prodotti della tradizione italiana’. In altre parole, se per avventura qualche marchio della grande distribuzione decidesse di provarci, come abbiamo letto nei giorni scorsi, dovrebbe riempire gli scaffali di cantuccini, prosecco e gorgonzola, riservando un angolino a shampoo, hamburger e banane. E attenzione, il rischio è alto, perché se sgarri sulla ‘percentuale di italianità’ le sanzioni arrivano fino alla chiusura del negozio».
«Evidentemente chi ha scritto questo regolamento e chi lo voterà, dal sindaco in giù, la spesa immaginiamo la faccia ben lontano dal centro storico, e dunque possa permettersi di trasformare il cuore della città in una sempre più triste riserva indiana. Non si comprende poi per quale motivo si voglia impedire agli esercenti di rendere le proprie vetrine belle e accattivanti, vietando pannelli e scritte luminose come se ci fosse il coprifuoco. La chicca infine la troviamo all’art. 5, che stabilisce che le insegne dovranno essere “espresse esclusivamente con caratteri della cultura occidentale”».
«Il dibattito in commissione è stato surreale, con l’assessore che si è autoinvestito del ruolo di ‘conferitore di patenti di occidentalità’: all’esito abbiamo appreso che il cirillico sarà bandito (forse l’assessore non sa che il cirillico è alfabeto ufficiale dell’Unione Europea), mentre il greco è stato accettato. Qualche dubbio è emerso sui numeri arabi, ma alla fine sono stati ammessi. In Consiglio sapremo poi quale sarà la sorte dell’alfabeto ebraico. In fondo, a ben vedere, tutta questa corsa ad un non meglio definito ‘decoro’ ha un unico comune denominatore: un’insopprimibile smania xenofoba unita all’assenza di una visione di reale sviluppo per la nostra città. E’ così che dopo la pretesa di disinfestare le aule dove studiano gli alunni extracomunitari, oggi la destra al governo ci presenta questa nuova perla. Peccato che nell’ansia da prestazione antikebabbara Vivarelli Colonna si erga a paladino di una crociata illiberale che porterà solo mortificare ulteriormente il tessuto imprenditoriale locale, che ha bisogno di un’amministrazione capace di offrire stimoli e opportunità alle attività economiche, e non sia invece solo fonte di nuovi vincoli, oneri e divieti» conclude la nota.