GROSSETO – Ci fosse un algoritmo per calcolare le scelte giuste al fine di rivitalizzare i centri storici sarebbe tutto più semplice. Ma la sociologia non è una scienza dura e ogni centro città è una storia a sé stante.
Pochi giorni fa sul Tirreno il presidente del centro commerciale naturale (Ccn) di Follonica – Massimiliano Rossi – sosteneva di voler avviare una campagna d’ascolto dei giovani della città del Golfo, con l’obiettivo di capire il motivo per cui non si ritrovano più per le vie del centro cittadino. Due fine settimana fa, invece, a Grosseto è stato dato un grosso risalto all’apertura in contemporanea di 20 nuove attività commerciali grazie al progetto ”Pop Up Lab”, finanziato dalla Regione Toscana con 70.000 euro e dal Comune di Grosseto per altri 15.000 euro.
Insomma l’anoressia dei centri storici è oramai percepita come un’emergenza sociale, e le nuove aperture di qualche attività diventano per ciò stesso una notizia degna di rilievo mediatico.
Guardando a quel che succede a Grosseto, si può provare a trarre qualche parziale conclusione. Intanto due numeri per inquadrare il problema e provare a fare una sorta di analisi “Swot”. Strumento di pianificazione strategica usato per valutare punti di forza (strengths), debolezze (weaknesses), opportunità (opportunities) e minacce (threats) di un progetto. Il centro storico del capoluogo maremmano è un microcosmo racchiuso all’interno dell’esagono delle mura medicee, dove sono state censite circa 1.500 abitazioni e 500 attività economiche. A fronte del crescente e palese avanzamento del degrado degli ultimi anni, dovuto a desertificazione commerciale, decadimento urbanistico e all’avanzata di microcriminalità e vandalismi, sono state fatte alcune scelte.
Fra quelle positive c’è il recupero della Biblioteca chelliana, che tornerà in centro nel prossimo aprile dopo anni di lavori di ristrutturazione dell’edificio; la valorizzazione del polo espositivo Clarisse Arte; la realizzazione del nuovo allestimento per ospitare la collezione Luzzetti; il recupero del settecentesco orto dei frati, una volta abbattuta l’ala fatiscente del vecchio ospedale; la definizione di standard omogenei per gli arredi urbani attinenti alle attività commerciali. Ultime azioni di rianimazione del cuore della città in ordine di tempo: l’avvio del progetto “Pop Up Lab” – sostanzialmente per qualche mese il Comune pagherà con risorse regionali affitti calmierati ai proprietari dei fondi per ospitare attività neo insediate, dopodiché se son rose fioriranno e il mercato farà la sua parte – a cui pochi giorni fa è seguito l’annuncio dell’arrivo imminente di un po’ di arredo urbano decente, dai cestini alle panchine, passando per portacenere e rastrelliere per le biciclette. Last but not least, qualche rifacimento – si spera con perizia – di pezzi di strade in condizioni invereconde e quindi impraticabili. Tessere d’intervento che onestamente sono apprezzabili, ma poco inquadrabili in un puzzle più ambizioso.
Guardando invece senza reverenze ai punti di debolezza. Il progetto “Pop Up Lab” è un tentativo generoso, ma serpeggia il timore si tratti di un fuoco fatuo annunciato. Nel senso che guardando alle 20 attività aperte in centro si ha l’impressione che in bona parte si tratti di “economia dell’effimero” la cui sopravvivenza dipenderà da una vivacità economica – e quindi da una capacità di spesa – che in questo momento Grosseto non ha, perché economicamente prostrata e ripiegata su sé stessa. Dato di contesto al quale si aggiunge il clima generale di incertezza e timore che nel Paese sta frenando consumi e investimenti. Auguriamoci tutti non sia così. Insomma, quel che è successo a Prato ha un’altra genesi.
L’investimento positivo sulla collezione Luzzetti è stato controbilanciato in negativo dalla decisione incomprensibile di affossare la manifestazione “La città visibile”. La motivazione ufficiale che per il prossimo anno i sodi non ci sono perché tutto viene concentrato sul nuovo allestimento per accogliere le opere donate dall’antiquario fiorentino è solo una cortina fumogena, è evidente. La città visibile è sempre costata pochissimo alla comunità cittadina, e in compenso ha fatto sempre fare affari d’oro ai commercianti del centro storico che per anni non avevano visto tanta gente ben disposta a spendere, soddisfatta di ritrovare un centro finalmente godibile. Per non parlare del fatto – prioritario – che questa manifestazione promuove la cultura e valorizza le produzioni culturali che nascono in città e nel contado. Oddio, a onor del vero è comprensibile che questo non sia colto da chi spia il mondo dal buco della serratura, con l’ossessione per fantomatiche “contaminazioni” dei migranti nelle patrie aule scolastiche…..
Ma ad esser attenti c’è dell’altro. L’arrivo a Clarisse Arte della collezione Luzzetti è una gran cosa, ma non va sopravvalutata quanto a impatto sulla città. È infatti utopico pensare che qualche decina di opere dal Trecento all’Ottocento attirino a Grosseto decine di migliaia di turisti. Il peso culturale della collezione è fuori discussione. Puntare tutto sull’appeal culturale del “passato” in una città come Grosseto, affossando di fatto quel che finora di buono è stato costruito rispetto all’arte contemporanea, è un clamoroso errore di prospettiva. Sembra di assistere al remake odierno del dibattito sugli «eruditi» cantori delle origini etrusche, che Luciano Bianciardi sbeffeggiava a cavallo fra gli anni ‘50 e ’60.
Siccome a criticare son buoni tutti. Allora due proposte concrete: i commercianti del centro cittadino si paghino la luminaria natalizia coi propri soldi e chiedano al Comune di utilizzare quelle risorse per programmi di animazione del centro cittadino costruiti sulla qualità culturale. Non “panem et circensem” agli amici degli amici. Avranno solo da guadagnarci. Ad Orbetello, per dirne una, le “lucine” di Natale costano alla comunità 80.000 euro. Quanto a Grosseto? E quante Città visibili ci verrebbero nell’arco di un anno? Con vantaggi di gran lunga maggiori anche per il mondo del commercio?
Il Comune da parte sua s’impegni a portare nuovi residenti dentro le mura, cedendo ai privati il vecchio ospedale ed altri edifici per farne residenze, recuperando risorse da destinare alla riqualificazione urbana. L’edificio dell’attuale anagrafe, et similia, in questo senso, dovrebbero essere abbattuti e sostituiti con un’operazione lungimirante di rigenerazione urbana. Avendo per obiettivo di aumentare soprattutto le superfici residenziali, non solo quelle destinate al terziario. Perché nella vita dei centri storici la presenza delle persone in carne ed ossa ha la stessa importanza della localizzazione delle “funzioni” strategiche. Le une senza le altre hanno due esiti uguali e contrari: o il quartiere dormitorio, o il quartiere Disneyland.