GROSSETO – Dopo tanti anni i ricordi sono ancora vividi, come se fossero accaduti solo ieri. Italo Rossi, di Roccastrada, ricorda in una lunga e particolareggiata lettera, la sera e i giorni che seguirono, il rifugio di fortuna in una fornace, e il ritorno a Grosseto, a casa «dove ci avevano già dati per spacciati».
«La sera del 3 novembre 1966 mi trovavo sulla strada che da Scansano porta a Grosseto. In auto eravamo io alla guida, mio zio, mia mamma, mia sorella, con un bimbo di 15 mesi, e mio cognato. Io e mio zio eravamo stati a Porto Santo Stefano per lavoro ed al ritorno passammo da Pereta, nel comune di Scansano, dove il padre di mio cognato faceva il guardiacaccia» afferma Italo Rossi.
«Dopo cena ripartimmo per Roccastrada, ma arrivati vicino a Istia d’Ombrone, fatta una curva, mi ritrovai nell’acqua dell’Ombrone che aveva già esondato in alcuni punti. Fortuna volle che di lì a poco passasse un autotreno, l’autista aveva delle titubanze, e andò alla guida un autista della Rama, il signor Nocentini, che spingendo l’auto ci portò all’asciutto. Fummo accolti nel podere della famiglia Diligenti».
«Durante la notte con il figlio della famiglia, Mario, a colpi d’accetta, sfondammo tutti i solai per paura che l’acqua, salendo, non sfiancasse la casa – prosegue nel proprio racconto -. La mattina del 4 novembre alle 7 sentimmo il ponte di Istia crollare sotto i colpi dalla piena. Sopra la strada esisteva una fornace, dove erano rimaste bloccate alcune persone. Gli operai rimasti, con dei tavoloni, fecero una zattera legata all’estremità e la gettarono in acqua per permettere agli occupanti della casa di attraversare la strada e rifugiarsi nella fornace. Al momento in cui ad attraversare furono mio cognato con il bimbo, franò un pezzo di costa della fornace e tutti tememmo il peggio. Gli ultimi ad attraversare fummo io e mia sorella, mentre mia mamma e mio zio rimasero nel podere, non avendo chi teneva la corda della zattera, che l’acqua spostava e allontanava».
«Passammo due giorni a patate lesse ed un fagiano ucciso dagli operai: nella fornace eravamo circa 22 persone. La mattina del 6 novembre, quando l’acqua si ritirò, fu desolazione, anche perché ai Diligenti morirono molti gli animali, fu salvato un vitellino che la sera prima della piena fu portato in casa ed alcuni capi di bestiame. La nostra auto la ritrovammo in mezzo ad un campo. Con un taxi, chiamato dal titolare della fornace, ritornammo a casa, dove ci avevano già dati per spacciati» conclude.
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