Una domanda semplice semplice: è più merda la “signora” quarantenne che sull’autobus di Flixbus ha di fatto impedito a un ragazzo senegalese di 25 anni di sedersi accanto a lei, oppure sono più merde i passeggeri che se ne sono stati buoni e zitti? Con l’eccezione luminosa della ragazza che si è sacrificata sedendosi accanto alla suddetta maleodorante merda umana di genere femminile, per consentire al ragazzo di poter viaggiare sedendosi nel suo posto.
Questo è un #tiromancino ostentatamente militante contro ogni forma di razzismo. Meglio mettere le cose subito in chiaro.
Quello che martedì scorso è successo dalle parti di Trento su di un autobus è una cosa inaccettabile alla quale bisogna reagire in modo drastico. Repubblica online in un articolo di cronaca riporta tra virgolette la frase pronunciata dalla donna: «qui no, vai via, vai in fondo, sei di un altro colore e di un’altra religione».
Cosa c’entrano Grosseto o la Maremma con un episodio che qualcuno potrebbe essere tentato di derubricare a manifestazione folcloristica di cattivo gusto, o idiozia umana? C’entrano eccome, perché è decisamente sconfortante che nel 2018 in un Paese che s’immagina avanzato esistano persone che di fronte a un comportamento razzista e immotivato non sentano il dovere civile d’intervenire, facendo finta di niente. Lasciando sola la ragazza che ha preso le difese del coetaneo senegalese. Cosa che martedì è successa a Trento e domani potrebbe succedere a in qualunque angolo della Maremma. Episodi che, prima o poi, degenereranno in qualcosa di molto peggio. Come lascia presagire, ad esempio, quel che è avvenuto a Morbegno (Sondrio) il sabato della scorsa settimana. Quando un gruppetto d’idioti di cittadinanza italiana, ubriachi, hanno gratuitamente preso a botte un altro ragazzo senegalese di 28 anni, semplicemente per il colore della sua pelle.
Tornando alla vicenda svoltasi sul pulman di Flixbus a Trento, riporta ancora Repubblica on line: «il ragazzo si chiama Mamadou, ha 25 anni, da 15 anni vive a Bolzano dove lavora per un’azienda che monta forni. Aveva un regolare biglietto ed è salito sul mezzo della Flixbus alla fermata di Trento diretto a Roma per incontrare un amico. Davanti alle invettive della donna è scoppiato in lacrime dicendo: “Non faccio nulla di male. Non sono cattivo. Voglio solo sedermi e riposare perché sono stanco”. La donna non recede, nessuno interviene e a quel punto l’autista è costretto a chiamare la polizia che identifica la donna che ha pronunciato le frasi razziste. Alla fine la soluzione viene trovata proprio grazie alla giovane studentessa ferrarese che viaggiava con un’amica che accetta di cambiare il posto per il viaggio».
A distanza di 63 anni, questa storia schifosa consumatasi nel “civile” Trentino richiama incredibilmente quello che successe alla signora Rosa Parks – questa sì una vera signora – la sarta metodista di colore, attivista del movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther king, che a Montgomery in Alabama si rifiutò di cambiare posto in autobus per andarsi a sedere in fondo, nei posti che l’apartheid riservava ai “negri”. L’autista fermò l’autobus e la fece arrestare. Da quel momento Rosa Parks diventò la “mamma del movimento per i diritti civili”, seguirono 381 giorni di boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery che rimasero fermi finché, grazie a una sentenza della Corte suprema che nel 1956 la dichiarò incostituzionale, non fu rimossa la legge che legittimava la segregazione raziale.
Non ci vuole molto a capire che il problema è culturale e che ci chiama in causa tutti. Non tanto come Italiani, che la cittadinanza in questo caso è del tutto secondaria, ma in quanto essere umani. E nemmeno bisogna fare uno sforzo troppo gravoso per capire che il vero problema non è la cosiddetta “signora” quarantenne che ha pronunciato quella frase tanto razzista quanto ridicola. Gl’imbecilli sono sempre esistiti, sono una categoria umana florida, e per loro il razzismo è solo uno dei pretesti per manifestare la propria imbecillità adamantina. Il problema sono quelli che di fronte a quel che è successo su quell’autobus non hanno costretto la “signora” a scendere, oppure che non hanno deciso di scendere tutti insieme dall’autobus. Il problema è che senza dubbio la gran parte di quelle persone non è nemmeno razzista ma ha semplicemente girato la testa dall’altra parte perché in fondo la cosa non li riguardava direttamente. Commettendo quell’errore marchiano che avvia la concatenazione di comportamenti omissivi i cui esiti in passato sono stati tragici per l’umanità. Lo hanno spiegato bene Bertold Brecht, riprendendo il celebre testo del pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller, e Hanna Arendt con il suo La banalità del male.
I “riduzionisti” sostengono l’equazione tra antirazzismo militante e antifascismo di professione. Quelli che di professione scansano i problemi etici e non prendono posizione perché alla fine la cosa non li riguarda mai, invece, sono lungimiranti strateghi…..
Per quanto mi riguarda, mi trovassi in una situazione assimilabile a quel che è successo a Trento, saprei esattamente cosa fare e non ci penserei su un secondo. Forse, prima che sia troppo tardi, è arrivato il momento in cui ognuno si ponga la domanda di cosa farebbe. Senza aspettare che capiti l’occasione per vedere da vicino l’effetto che fa. Potrebbe infatti fare la scelta sbagliata.