GROSSETO – “Con il Ceta vengono tutelate ben 41 denominazioni italiane, pari a oltre il 90% del fatturato dell’export nazionale a denominazione d’origine nel mondo e che, soprattutto, senza questo accordo non godevano di nessuna tutela sui mercati canadesi”. Il presidente di Confagricoltura Grosseto, Attilio Tocchi, un anno dopo l’avvio della discussione sul Ceta torna a prendere la parola, prendendo spunto dalle titubanze parlamentari. “Si deve avere il coraggio di togliere la testa da sotto la sabbia – commenta il presidente – e fuori dalla demagogia analizzare in maniera obiettiva un accordo che è un valore per il nostro sistema agricolo in quanto abbassa i dazi e tutela le Ig. Non è un caso che pure a livello locale – spiega il presidente di Confagricoltura Grosseto – ad una iniziale diffidenza sul Ceta è subentrato, a distanza di un anno, un convinto sostegno da importanti denominazioni tra cui il consorzio del Pecorino Toscano Dop, quella del Prosciutto Toscana, la cantina Cooperativa del Morellino di Scansano, il Lardo di Colonnata IGP e molte altre a livello nazionale come il Parmigiano Reggiano, la Mortadella di Bologna, il Prosciutto di Modena, quello di Parma e il San Daniele, ma anche Agrinsieme, il coordinamento che rappresenta oltre i due terzi delle aziende agricole italiane e il 60% del valore della produzione agricola e della superficie coltivata.”
Tocchi snocciola poi i dati ufficiali a sostegno del trattato di libero scambio con il Canada, che indicano la crescita delle esportazioni 2018 di prodotti lattiero caseari. “Secondo le dogane canadesi – commenta il presidente – l’export lattiero caseario italiano è aumentato, a volume, del 3,86% rispetto al 2017, per un totale di 2.521 tonnellate, mentre a valore, l’incremento è addirittura in doppia cifra: +14,7%, per un equivalente di 28 milioni di dollari.” Eppure a fronte di tutto questo, a sentire il presidente di Confagricoltura Grosseto, c’è sempre chi sostiene che il Ceta non difenderebbe la produzioni italiane e al contrario potrebbe favorire le importazioni di prodotti che non rispondono ai requisiti minimi previsti dagli Stati dell’Unione.
“Quindi – si chiede Tocchi – parrebbe di comprendere che non si firmano gli accordi perché si ha paura che possano giungere in Italia prodotti non rispondenti alle norme? Questo è assurdo, perché già nell’accordo si prevede l’obbligo di poter commercializzare solo ed esclusivamente prodotti che abbiano caratteristiche igienico sanitarie rispondenti alla normativa nazionale. Noto, infine una certa trasversalità dei politici ad affrontare la questione. A loro chiedo di verificare con scrupolo il contenuto dell’accordo affinché si convincano della sua utilità e del valore economico che si sviluppa con la sua applicazione. Le guerre dei dazi doganali creano un limite al libero scambio e impoveriscono il mercato globale generando ancora di più disparità e privilegi.”