Sergio Mattarella sarà senza meno “l’esorcista dell’anno” per il 2018. In Vaticano ne stanno prendendo atto, e pare la cosa non dispiaccia. D’altra parte ha il physique du rôle: con quell’incedere curiale, l’occhio protruso e il sopracciglio mefistofelico.
L’esorcismo impossibile che il custode delle Istituzioni repubblicane ha realizzato è consistito nell’addomesticare alle buone maniere Lega e M5S, riconducendoli sulla retta via ch’era smarrita, altresì facendogli fare un figurone di merda in mondovisione. Punendone protervia e incompetenza sbandierate come titolo di merito.
Dalla prima repubblica con (provvidenziale) furore: la messa in sicurezza di un Paese ancora una volta sull’orlo del baratro al quale s’era già affacciato nel 2011. Allora portato alla rovina da un vecchio maniaco in preda al delirio d’onnipotenza, oggi dall’approssimazione inconsapevole dei due gemelli diversi della politica nostrale. Una macumba davvero magistrale, per come s’erano messe le cose.
Perché al di là del folclore – dalla messa in stato d’accusa del presidente soffocata nella culla alla umiliante (per l’Italia) comparsata in tandem nello studio televisivo di Barbara D’Urso (!!!), fino alle imbarazzanti retromarce – quello che tutti quanti abbiamo rischiato in concreto è stato il disfacimento della ricchezza nazionale composta dal risparmio privato e dal meccanismo di finanziamento del debito pubblico, sulla quale si basa il benessere del Paese. L’unico vero residuo dell’obsoleto concetto di sovranità nazionale. Naturalmente per non parlare del poco di reputazione che ancora ci rimane nel mondo.
Un rischio tremendo e reale manifestatosi sotto le sembianze dello “spread”, sventato con destrezza e lucidità dal presidente Mattarella, che per il momento – ma per quanto? – ha rimesso l’Italia sui binari della ragionevolezza, conquistandosi l’imperitura gratitudine della stragrande maggioranza degl’Italiani e di un bel po’ di classi dirigenti in giro per il mondo. Perché se le cose fossero andate diversamente, oggi il Paese sarebbe ostaggio del panico e dei peggiori istinti autodistruttivi. Che peraltro rimangono sotto traccia.
Devono essere state ore difficilissime, nel corso delle quali sotto la regia del Quirinale, poteri dello Stato, sistema dell’informazione, corpi intermedi ed establishment economico hanno preso decisioni complicate facendo fronte comune per la salvezza di tutti nel pieno rispetto delle regole democratiche. Bisognerebbe esserne consapevoli. Oltreché grati.
Scampato il pericolo, quindi, non rimane che constatare come la vera rivoluzione l’abbia fatta Sergio Mattarella, utilizzando nel modo migliore gli strumenti della Costituzione. Esercitando una leadership autorevole che ha saputo sostanziare il concetto costituzionale di “potere di persuasione morale”, costringendo a comportamenti consoni una classe dirigente raccogliticcia e impreparata alle responsabilità di governo, per quanto eletta dal popolo. Dimostrando nei fatti che è l’élite repubblicana a fare la differenza.
In tutto questo c’è peraltro un sapido paradosso. Quello di gruppi dirigenti politici inadeguati che sono stati rieducati da una Costituzione che al referendum avevano difeso strumentalmente solo per dare addosso a chi in quel momento governava. E quello di coloro che da posizioni di governo avrebbero voluto cambiare la Costituzione pensando di piegarla ai propri disegni di egemonia politica, e oggi si trovano nella condizione di dover ringraziare la buona sorte di aver perso il referendum costituzionale. Paradosso evidenziato dalla malafede dei comportamenti odierni, opposti e concomitanti: con i sovranisti che oggi raccolgono le firme per l’elezione diretta del presidente della Repubblica, e le vedove inconsolabili – come Matteo Renzi – dell’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Tutti fortunatamente messi all’angolo dalla Costituzione del 1948, attuale più che mai e uscita indenne dalla prova del referendum grazie alla buona sorte e all’intelligenza di chi ha saputo giocare sulla contraddittorietà degl’Italiani salvando la nostra fragile Democrazia.
Naturalmente non è finita qui. I pericoli di certe subculture incombono e l’incompetenza può fare danni gravissimi. Tuttavia sabato scorso era la festa della Repubblica. C’è da rallegrarsi che sia viva e vegeta, grazie alla sua Costituzione. Viva il 2 giugno! Anche per quelli che ieri ne contestavano il significato simbolico, e oggi stanno impettiti sulle tribune col vestito buono acanto al presidente Mattarella.