Quest’anno il 1° Maggio avrà un sapore diverso. Non perché nelle tradizionali feste di popolo i lavoratori mangeranno qualcos’altro dal cacio coi baccelli, ma perché la festa del lavoro non potrà non confrontarsi con lo spettro che inquieta i pensieri di tanti: il rischio che il proprio lavoro sia cannibalizzato da robot e intelligenza artificiale.
Questo vale anche per una terra come la nostra, dove dal 2008 al 2017 con la crisi sono spariti dalla circolazione circa 10.000 posti di lavoro. O meglio 10.000 Ula, cioè “unità di lavoro per anno”. Quindi più di diecimila occupati effettivi, perché ogni Ula è convenzionalmente considerata un posto di lavoro a tempo pieno full-time di 8 ore. Che in termini statistici può quindi incorporare più lavori a tempo determinato. Proprio i cosiddetti “lavoretti” che tanta parte hanno nella bassa qualità di una bella fetta di occupazione: poco garantita e male retribuita.
Tornando al tema scomodo dell’automazione del lavoro che minaccia le persone in carne ed ossa, un recente report dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr) sul “futuro del lavoro” ha prefigurato alcuni scenari possibili. Piuttosto circostanziati.
Dall’indagine effettuata in 32 Paesi emerge così che il 14% degli impieghi è a rischio concreto di sostituzione dei lavoratori con robot o intelligenza artificiale, mentre per un altro 32% l’innovazione tecnologica introdurrà cambiamenti significativi nel modo di lavorare delle persone. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno misurato l’effetto di sostituzione cui ogni tipo di lavoro è sottoposto rispetto all’avanzata dell’automazione: il primo gruppo di professioni – quello ad alto rischio di sostituzione – ha un rischio oggettivo che supera il 70%. Il secondo gruppo – quello nei quali la tecnologia introdurrà modifiche significative – hanno un rischio calcolato tra il 50 e il 70%. Nella graduatoria dei 32 Paesi considerati, all’interno della quale ci sono differenze anche notevoli, l’Italia è perfettamente in media.
Come può incidere tutto questo in provincia di Grosseto? Due esempi concreti. Secondo l’Ocse uno dei settori in cui è più alto il rischio di sostituire gli uomini con le macchine è quello dell’agricoltura. Basta guardare a cosa è successo con la raccolta meccanizzata del pomodoro da industria. Ma questo è quasi passato remoto. Secondo un’analisi della Cgil già oggi circa la metà delle uve da vino nella nostra provincia sono raccolte dalle macchine e non da uomini e donne. L’aggiornamento tecnologico ha perfezionato i macchinari che non danneggiano più le viti e l’uva raccolta come avveniva all’inizio. E ci sono aziende quasi completamente meccanizzate che “mietono” l’uva di notte, in condizioni ottimali di temperatura.
Ancora. Immaginiamo un call center che fa assistenza tecnologica a chi è collegato online. In molti casi sono già operativi software in grado di rispondere al posto degli uomini, oppure che utilizzano algoritmi in grado di far imparare alle macchine le operazioni più semplici eseguite dagli umani.
«Se fino a quindici anni fa – recita il report – i computer erano poco performanti nelle mansioni manuali e cognitive non di routine, oggi le tecnologie più aggiornate aprono possibilità di automazione per mansioni diverse fra loro come la diagnosi medica, il brokeraggio assicurativo o la guida di veicoli». Questo, complice la percezione della maggiore velocità e pervasività del progresso tecnologico, sta alimentando un acceso dibattito sui rischi che automazione e digitalizzazione – Industria 4.0, ad esempio – distruggano posti di lavoro portando a una disoccupazione tecnologica di massa.
C’è quindi dietro l’angolo la peggiore delle “distopie” immaginabili, cioè una grande utopia in negativo caratterizzata da una società con uomini senza nessuna occupazione? E quindi presumibilmente poveri e insoddisfatti?
Allo stato delle conoscenze attuali no. Quindi è inutile essere catastrofisti. Meriterebbe invece darsi da fare in ottica preventiva. Perché l’automazione sostitutiva dell’uomo è più probabile in alcuni settori, come industria manifatturiera, agricoltura, e alcuni settori dei servizi. Minaccia molto di più chi è giovane ed è all’inizio della vita lavorativa. I lavoratori che svolgono mansioni routinarie, con basso livello di qualifica professionale e che guadagnano meno: minatori, addetti alle pulizie, autotrasportatori, addetti alla preparazione dei cibi, alle costruzioni, operai generici e così via. Insomma i più deboli. Problemi per arginare i quali occorre investire in formazione per affinare le competenze adattive di chi potrebbe perdere il lavoro, Tenendo conto che nei Paesi Ocse il 40% dei lavoratori partecipano a corsi di formazione e aggiornamento, ma in gran parte per poche ore all’anno. Con differenze sostanziali fra Paesi e gruppi sociodemografici: solo il 16% dei lavoratori in Grecia e Turchia a fronte del 60% in Danimarca e nuova Zelanda.
Oggi quindi l’automazione nelle sue diverse declinazioni tecnologiche pare colpire molto di più i mestieri poco qualificati rispetto a quelli caratterizzati da competenze di medio livello, com’è successo all’inizio del processo di aggiornamento tecnologico. Quando nel mondo del lavoro si è creata una polarizzazione.
Ad ogni modo ci sono ambiti nei quali le macchine, ad oggi, non sembrano insidiare seriamente gli umani: come nelle professioni intellettuali e ad elevato tasso di creatività, in quelle che richiedono la capacità di prendere decisioni in presenza di molte variabili, nell’insegnamento e quasi tutte quelle di tipo socio-sanitario che hanno a che vedere con l’assistenza e la presa in carico delle persone.
In definitiva il report sul futuro del lavoro redatto dall’Ocse non dà certezze granitiche su quel che succederà, ma sostiene un metodo su come affrontare i cambiamenti che verranno, basato su formazione e apprendimento permanente.
Il 1° maggio i lavoratori consapevoli e il sindacato avranno di che riflettere. Senza ansie ma con l’obiettivo di prevenire e gestire i problemi. Perché il paradosso di una festa del lavoro celebrata dai robot proprio non piacerebbe a nessuno.