Quel che è successo a Follonica nel primo pomeriggio di venerdì 13 è archiviabile come tragedia della follia? Perché la tentazione legittima potrebbe essere proprio questa. Al di là dell’orrore per la sorte toccata alle vittime, in modo particolare all’incolpevole farmacista trovatasi casualmente sulla traiettoria del proiettile, infatti, questo cruento e aberrante episodio di violenza non ha molto di diverso da tanti altri fatti di cronaca nera riportati dai media in una macabra contabilità pubblica.
La differenza con molti altri episodi simili, in fondo, sta nel fatto che tutto è successo nel cortile di casa nostra a, Follonica. E quindi ci colpisce come comunità, perché la familiarità che abbiamo col teatro della violenza ci fa immedesimare con quel che è successo. Spaventandoci a morte poiché avvertiamo come realistico il fatto che la stessa cosa sarebbe potuta succedere a chiunque di noi: a Follonica ma anche a Grosseto, Orbetello o Arcidosso. Lo stesso motivo per cui, specularmente, non ci preoccupiamo più di tanto dei missili lanciati sulla Siria, o delle sparatorie nelle scuole statunitensi.
Tutto questo alla fine congiura a favore di una spedita rimozione collettiva del fattaccio, accantonando un’analisi spietata del contesto in cui è maturato. Per cui il rischio concreto è che tutto si esaurisca in un esercizio retorico di denuncia della violenza, con l’emotività che prende il sopravvento sul ragionamento. Fino al prossimo shock emotivo che si sovrapporrà all’attuale. Ovviamente.
Provando a trovare il bandolo della matassa. Una prima considerazione da fare è che ancora una volta a sparare è stato un uomo. Come nel caso dei troppi femminicidi. Come nel caso del padre che due giorni fa a Meldola, nel forlivese, ha ucciso la figlia disabile grave per poi suicidarsi. Come nella stragrande maggioranza dei casi in cui c’è di mezzo un’arma da fuoco, a premere il grilletto sono gli uomini e non le donne. Questo vorrà dire pur qualcosa in termini culturali di genere, di modelli comportamentali. O no?
Da quanto riporta la stampa locale, poi, a quanto pare a Follonica molti erano a conoscenza degli aspri contrasti tra aggressore e aggrediti. E che l’aggressore si era già distinto per comportamenti antisociali. Ma evidentemente questo non è bastato in termini di controllo sociale a prevenire una tragedia che forse, il forse è d’obbligo, si sarebbe potuta evitare se l’uomo fosse stato segnalato formalmente per la sua pericolosità. Perché forse sarebbe potuta saltare fuori la pistola impedendo che successivamente venisse usata. Che fosse illegalmente detenuta o meno. E magari c’è anche da riflettere sull’esaltazione delle armi da fuoco come veicolo di autodifesa; una delle campagne d’opinione più fuorvianti e in malafede cui si sia mai assistito.
Questa vicenda tristissima richiama anche una considerazione più generale, ma non meno rilevante, sull’imbarbarimento inarrestabile della convivenza fra le persone. Non si tratta di filosofare sul sesso degli angeli, né di una preoccupazione superficialmente etichettabile come buonista. Il tema delle regole che presiedono all’equilibrio e al benessere di una società non è una ubbia astratta, una questione irrilevante.
Attiene al senso di responsabilità delle persone ed è l’unico argine efficace alla degenerazione dei comportamenti, che non possono essere tenuti sotto controllo solo in ottica repressiva e codina. Detto in altre parole: non ci saranno mai abbastanza poliziotti o telecamere che possano sostituire l’etica. Ovverosia la proiezione esterna, relazionale, dei convincimenti morali dei singoli. Perché soprattutto negli ultimi vent’anni la responsabilità individuale nei confronti della propria comunità è stata culturalmente ridicolizzata e sminuita a tutto vantaggio del perseguimento dei fini individuali. Dell’esaltazione acritica dei propri desideri e dell’autoaffermazione del singolo.
Infine un’ultima considerazione, che a qualcuno parrà provocatoria, sull’orientamento dell’opinione pubblica da parte della politica e del circo mediatico. Troppo spesso per catturare consenso si cerca un nemico facile da individuare, soprattutto che non sia scomodo da evocare. I richiedenti asilo, anche quando si macchiano di reati, sono il più classico dei bersagli comodi. Salvo poi verificare che quelli che sparano, uccidono, oppure delinquono con il racket, incendiando le macchine o intimidendo, sono italianissimi nostri connazionali. Troppo spesso ci si accontenta della risposta più semplice, e s’ignorano le domande più scomode. Anche se quel che stava per accadere era sotto gli occhi di tutti.
Troppo spesso il mondo dell’informazione s’accontenta di cavalcare l’onda, rinunciando a coltivare lo spirito critico.
Speriamo solo che quanto è successo a Follonica sia il pretesto per andare oltre le reazioni scontate. Non farlo sarebbe equiparabile a un altro delitto.