ROMA – Alla vigilia dell’anniversario della tragedia Erasmus, Gabriele, il padre di Elena Maestrini, non può darsi pace. Questa mattina davanti all’ambasciata spagnola a Roma Gabriele ha fatto un sit-in di protesta per chiedere nuovamente verità e giustizia sull’incidente. «Due anni sono passati, due anni senza di loro, due anni di disperazione, due anni di attesa per dare giustizia a queste ragazze» ha scritto il padre di Elena su facebook. “Vergogna”, invece, c’è scritto in lettere cubitali sul cartellone che espone in strada.
Gabriele non si arrende. E come potrebbe? Dopo due anni, nessuna giustizia è stata fatta, nessun processo portato a termine, le cause della tragedia, ancora oggi, sono un puzzle da ricomporre daccapo.
Gabriele sotto gli scrosci di pioggia attende per ore, ma il palazzo della rappresentanza spagnola in Italia non apre i suoi portoni per accogliere un padre disperato. Gabriele è qui da solo, «perché non l’ho voluto dire a nessuno di questa mia iniziativa – dice -. Mi sono sentito di venire qui, nessuno doveva avere l’obbligo di accompagnarmi». A fargli compagnia solo le guardie, qualche agente in borghese che gli chiede quali intenzioni avesse in questa giornata di diluvio.
«L’ambasciatore sapeva della mia presenza – racconta ancora il padre di Elena -, era in sede. Così mi hanno detto, ma non mi ha ricevuto». Non è sorpreso o deluso, non si era aspettato di essere accolto per una stretta di mano o due parole di conforto. Gabriele è senza risposte da due anni.
«Sono stati due anni terribili – dice – e ancora tutto è paradossale, una situazione assurda che ci distrugge tutti, ogni giorno di più. Ancora il processo è fermo all’istruttoria, niente si muove e noi siamo ancora qui con le nostre domande, il nostro dolore».
Ma la battaglia continua e continuerà, sia quella per la giustizia e la verità sull’incidente, sia l’altra, quella altrettanto importante, sulla sicurezza dei viaggi universitari per cui Gabriele insieme agli altri genitori si impegna nell’associazione “Genitori generazione Erasmus”, perché non accada mai più una simile tragedia evitabile. «Loro non ci sono più – conclude -, non possiamo riaverle, ma almeno uno spiraglio di speranza; imparare da questa tragedia».