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C’è un’unica responsabilità nella desolazione che regna sovrana all’interno delle mura cinquecentesche di Grosseto? Là dove il quotidiano Il Tirreno ha recentemente censito 60 fondi commerciali e artigianali malinconicamente sfitti?
In quest’inverno accaldato e siccitoso uno dei giochi di società più in voga nella piccola città è quello dell’individuazione delle “colpe”, e in seconda battuta delle possibili soluzioni. A volte la discussione è animata da genuina passione civile per le sorti della parte più monumentale e identitaria della città, in altri un esercizio di stile all’insegna dei luoghi comuni. Quasi sempre il dibattito, pubblico e informale, si caratterizza per uno strabismo evidente, che nella caccia alle responsabilità inspiegabilmente grazia i proprietari dei fondi commerciali. I commercianti, che rispetto alla questione si macchiano di altri peccati, in questo caso vestono i panni delle vittime.
Se le colpe, anche gravi, dell’amministrazione comunale sono chiare, infatti, troppo poco ci si sofferma sull’atteggiamento sinceramente poco comprensibile e lungimirante dei possessori dei molti fondi abbandonati a sé stessi, che conferiscono un aspetto spettrale e trasandato a diversi scorci del centro cittadino. La questione è vecchia come il mondo, e attiene all’attitudine di chi è titolare di una rendita di posizione di natura patrimoniale – come avere in proprietà locali del centro – che preferisce tenere sfitti i propri fondi, a volte mandarli in malora, piuttosto che darli in locazione a prezzi più bassi e ragionevoli. Aspettando che passi la nottata, oramai lunga anni, nell’autocompiaciuta certezza che quando i prezzi di mercato risaliranno si tornerà a fare buoni affari. Un approccio oligopolistico che l’economia classica e poi quella marxista ha definito da rentiers (redditieri), ovverosia tipico di chi ha un reddito derivante da una rendita. Modalità tanto più urticante se associata all’indignazione retorica nei confronti del “pubblico” che non farebbe niente per migliorare le cose. Parafrasando la celeberrima discussione di “Berlinguer ti voglio bene”: «’nzomma, il Comune, il Comune, il Comune……o i privati?».
Non è un problema di banale scaricabarile. Ma anche tenendo conto del fatto che il dogma della libera impresa resta intangibile, è legittimo chiedersi fino a che punto sia utile disinteressarsi egoisticamente del decoro del centro storico inteso come patrimonio comune. Preoccupandosi esclusivamente del proprio tornaconto. Peraltro, se come oggi avviene i fondi continueranno a rimanere sfitti anche nelle vie commercialmente più appetibili, dove si chiedono da 20 a 60 euro al metro quadrato, la rinascita del centro cittadino si allontanerà ancora di più nel tempo. Stesso ragionamento vale per i prezzi delle compravendite. Tanto che se non si comincerà subito ad abbassare i prezzi proprio nelle zone più frequentate e attrattive, è evidente che quelle più ai margini non faranno che peggiorare ulteriormente. In un nefasto effetto domino.
Anche l’ipotesi cui sta lavorando il Comune di utilizzare risorse della Regione Toscana per affittare locali dai privati e poi concederli a titolo gratuito per sei mesi a commercianti, artigiani e start up – sulla falsariga di quanto già fatto a Prato – è un’idea positiva che però non può essere risolutiva, in assenza di un cambio di mentalità di chi è titolare dei fondi. Dopo il previsto periodo di prova, infatti, o saranno proposti prezzi d’affitto ragionevoli, cioè a dire bassi, oppure si tornerà “da capo a dodici”.
Soprattutto in questi casi, bisognerebbe stare attenti a non offrire soccorso con soldi pubblici a chi già gode dell’oggettivo privilegio di avere proprietà nella zona più pregiata della città. Com’è avvenuto in occasione del maldestro e fortunatamente abortito tentativo di rendere il centro un’area franca, dove le imposte comunali in qualche misura non venissero applicate. Maldestra promessa elettorale sbandierata per raccattar voti, e subito ammainata per manifesta impossibilità e sostenibilità economica.
In definitiva – a costo d’apparire utopici – il tema vero è quello della coesione sociale. E di quanto una comunità in tutte le sue componenti, nel caso i proprietari d’immobili del centro, si sentano responsabili per la propria parte delle sorti comuni. Fra l’altro, in questo caso, l’abbassamento dei prezzi delle locazioni concilierebbe l’interesse privato a mettere a reddito le proprietà con quello pubblico ad avere un centro storico rivitalizzato. A guardare bene non è nemmeno difficile da capire, solo che fossero messi in second’ordine l’ossessione per gli alti profitti e l’egoismo sociale elevato a valore.
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