E se le banche non fossero così cattive come sembrano, almeno in questo caso? Ovverosia quello della chiusura degli sportelli nei piccoli centri della provincia, che in questi giorni suscita levate di scudi e mobilitazione di comunità. Come sta succedendo a Roccatederighi (Roccastrada), Civitella Marittima e Caldana (Gavorrano), dove entro il prossimo 21 gennaio Banca Mps, alias “Il Monte”, chiuderà le proprie filiali, insieme a quelle di altri diciassette piccoli centri toscani. Antipasto al fiele della chiusura di 600 sportelli in tutta Italia – 115 entro il primo trimetre dell’anno – prevista dal piano di riorganizzazione dell’istituto bancario senese, a garanzia della ricapitalizzazione statale e del suo via libera da parte della Bce.
Il problema dei servizi di pubblica utilità nei paesi e nelle frazioni, d’altra parte, non è una novità e sembra un’ineffabile “sciarada”. In passato il problema ha riguardato la chiusura delle scuole, poi degli uffici postali, quindi di negozi e piccoli supermercati. Oggi tocca alle banche, domani potrebbe toccare alle parrocchie. Tutti elementi che contribuiscono al puzzle dell’identità dei piccoli centri, quasi sempre rurali o montani, marginali rispetto alle infrastrutture. Risposte semplici non ce sono, e forse, almeno in alcuni casi, non ce ne possono essere. Sullo sfondo globalizzazione, spopolamento e invecchiamento dei residenti, perdita di funzioni e attività produttive.
Tuttavia i diritti delle persone che vivono in queste realtà vanno salvaguardati. È una questione che attiene alla declinazione sostanziale del concetto di democrazia. Rimanendo al tema del momento, rispetto alla chiusura degli sportelli bancari – il fatto che siano di Banca Mps o di un altro istituto di credito non cambia il merito – quali possono essere allora le soluzioni percorribili? Se ce ne sono?
Per essere onesti fino in fondo, bisogna fare delle premesse. Le banche, al di là di come si sono comportati alcuni consigli d’amministrazione, sono aziende come le altre e si reggono sulla capacità di fare utili. E tutti quelli che hanno dato in gestione i risparmi di una vita hanno nel proprio portafoglio qualche titolo bancario, aspettandosi un ritorno economico alla fine dell’anno. Quindi nessun populismo sul ruolo delle banche. Perché quasi tutti, chi più chi meno, facciamo parte in veste di “sfruttatori” del sistema capitalistico basato sul profitto che ha generato i problemi di cui parliamo. Fra l’altro non i più drammatici.
C’è poi un’altra faccia della medaglia che va conosciuta. Oggi, con il quantitative easing della Bce, per le banche è più conveniente reperire denaro sul mercato interbancario (dove costa pochissimo) piuttosto che andare a caccia di depositi che poi vanno remunerati attraverso gl’impieghi. D’altra parte Banca d’Italia – a prescindere dalla situazione di Mps – spinge tutto il sistema del credito a ridurre il numero degli sportelli bancari. Perché l’Italia, per eredità culturale (abbiamo inventato banche e “campanili”) e livello più alto al mondo di risparmio privato, ha 50 sportelli bancari ogni 100.000 abitanti a fronte ad esempio dei 15/100.000 dell’Inghilterra. Infine le banche cominciano ad essere assediate dalla “disintermediazione finanziaria”. Esempio: Amazon, stracarica di liquidità, presta direttamente i soldi ai propri clienti che acquistano beni sul suo portale di e-commerce……Poi c’è la moneta elettronica in agguato.
Tutto ciò detto, venendo alle soluzioni possibili per paesi e frazioni. Quella più logica sarebbe l’apertura un giorno alla settimana di ogni filiale posseduta da un singolo istituto bancario, in modo da ottimizzare l’utilizzo del personale e abbattere i costi fissi. Soluzione di buon senso che in qualche modo consentirebbe alle piccole comunità, composte prevalentemente da anziani che hanno pochissima dimestichezza con l’home banking, di continuare ad avere un punto di riferimento e usufruire dei servizi bancari tradizionali. Il buon senso, però, è risaputo, risulta merce rara. In questo caso, oltretutto, l’ostacolo arriva da Bankitalia e dalla sua azione di vigilanza, che considera ogni singolo sportello in quanto tale. E nella logica contabile semplificata gli sportelli bancari sono considerati troppi, quindi da chiudere. Basterebbe, per dire, che cinque filiali aperte ciascuna un giorno alla settimana fossero considerate un unico sportello, e il gioco sarebbe fatto….Nel Paese delle complicazioni delle cose semplici probabile ci voglia una legge.
C’è poi una seconda possibilità più economica, già sperimentata in Trentino e nei paesi dell’Emilia colpiti dal terremoto nel 2012. L’utilizzo di un pulmino attrezzato a filiale bancaria che a giorni prestabiliti batta paesi e frazioni. Soluzione ingegnosa che rinvia a pratiche ”antiche”, come quella dei camioncini che negli anni ‘70 si spostavano da una scuola all’altra per fare le lastre ai raggi X e vaccinazioni agli studenti.
Altra ipotesi. Gli Enti locali – ma soprattutto quelli piccoli sono in termini finanziari alla canna del gas – si fanno carico di una parte delle spese di esercizio per tenere aperta la filiale bancaria. Ammesso che un Comune possa sostenere in modo diretto un’attività imprenditoriale, favorendo di fatto un operatore di mercato a scapito di un altro.
Estrema ratio. Dotare le piccole comunità di bancomat ATM evoluti, che consentono il deposito di assegni, contanti e qualche altra operazione bancaria semplice. Ma anche in questo caso, premesso che non tutti hanno confidenza coi bancomat “intelligenti”, rimane il problema dei costi: trasporto del contante e sicurezza, manutenzione e assistenza, non sono aggratis. Mentre le commissioni per le operazioni al bancomat, giustamente, non possono superare la soglia stabilita dall’Antitrust. E magari per la banca sono poco remunerative.
Quindi, in definitiva, la situazione rimane complicata e le soluzioni, per quanto non impossibili, difficili da trovare. Per questo bisogna mantenere la calma e, soprattutto, diffidare degli arruffapopolo non professionisti della politica. Tanto bravi a fare i surfisti sull’onda della sollevazione emotiva, quanto pateticamente incapaci di proporre soluzioni concrete a problemi reali. Come si dice in questi casi: il dibattito è aperto. Ma le avvisaglie di quel che produrrà non lasciano ben sperare. Perché certa politica corriva, come recita un caustico proverbio livornese «è più indietro del calcagno de’ frati».