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Il leviatano della corsa di massa ai regali natalizi ha affossato il centro storico di Grosseto, privilegiando centri commerciali e siti di e-commerce. Il fazzoletto di città racchiuso nell’esagono delle mura medicee è in caduta libera e si nota a occhio nudo. C’era da aspettarselo, purtroppo. Ma il problema della perdita di ruolo del centro città non è semplicemente riconducibile alla crisi del commercio tradizionale. La questione è molto più complessa e investe tanti aspetti fra loro interdipendenti: impoverimento delle funzioni pubbliche e private, modifiche nella composizione demografica dei residenti, degrado edilizio ed estetico degli spazi pubblici, pessima qualità delle iniziative attrattive di visitatori. Un mix “dannivo” di deficit strutturali che, fra le altre, ha anche la conseguenza di annichilire le attività commerciali che ancora provano a resistere.
Tuttavia, se il dibattito si attarderà solo su come attrarre gente in centro per fargli spendere un po’ di soldi in più, privilegiando solo l’ottica del commercio, non se ne verrà a capo. Perché la città murata non può essere considerata semplicemente un centro commerciale naturale. Temi come l’organizzazione del mercato settimanale e costo dei parcheggi a pagamento (irrisorio rispetto ad altre città) sono quindi accessori rispetto ad altri. Perché il centro storico non diventa attrattivo se la gente va a comprarci qualcosa. Ma al contrario: se il centro attrae persone, queste spendono più volentieri.
Quello che manca è una visione d’insieme – quelli bravi direbbero “olistica” – dei fenomeni economici e sociali che investono l’area storica e monumentale della città, sulla base della quale impostare la strategia di lunga lena per rilanciarne il ruolo. Un contributo di metodo lo può offrire l’indagine “Centri storici e futuro del Paese”, presentata lo scorso 14 dicembre da Ancsa (Associazione nazionale centri storico artistici) e Cresme (Centro ricerche economiche e sociali del mercato dell’edilizia). Solo incrociando più dati qualitativi sulle relazioni socioeconomiche all’interno del centro storico, e fra questo e il resto della città, infatti, sarà possibile intervenire in modo efficace.
Dall’indagine, ad esempio, viene fuori che dal 2001 al 2011 quello di Grosseto è stato il 3° centro storico in Italia per crescita della popolazione residente (+33%), e il 107° per crescita dei residenti ultra 65enni (+11,6%). Non a caso Grosseto occupa il 15° posto fra i primi venti centri storici italiani quanto a popolazione giovane residente (+ 27% dal 2001 al 2011). Positiva anche la dinamica dell’insediamento di nuove famiglie, con uno o due membri, che dal 2001 al 2011 ha registrato una variazione del +42% (3° posto in graduatoria nazionale), mentre già sei anni fa gli stranieri residenti fra le mura erano il 13,1% del totale (177 persone). Mentre Grosseto era 12° per abitazioni vuote o non occupate da residenti, con 389 appartamenti rientranti in questa tipologia (36,6% sul totale). Solo 5, sempre nel 2011, gli edifici inutilizzati, l’1,4% del totale (91°).
Insomma, andando oltre il singolo indicatore che preso a sé stante non dice molto, quello che andrebbe fatto alla svelta sarebbe mettere a sistema più informazioni possibili, e poi avviare con sollecitudine un dibattito pubblico attraverso azioni partecipate guidate da esperti e facilitatori. Sulla falsariga di ciò che farà Clarisse Arte con il progetto “CAP 58100/ Cantiere d’Arte Pubblica: Piazze N(u)ove”, che prevede una discussione civica sulla riqualificazione/rifunzionalizzazione di nove piazze cittadine.
A futura memoria, intanto, qualche spunto di riflessione può essere utile. Una prima questione riguarda l’approccio dei detentori del cospicuo patrimonio immobiliare utilizzabile a fini commerciai o produttivi. Fintanto che i prezzi rimarranno esosi e fuori mercato, è perfettamente inutile il periodico cahier de doleances sul decadimento commerciale del centro. Chi è casa del suo mal pianga sé stesso, direbbe il sommo poeta.
L’evoluzione dei consumi e della rete commerciale sta estromettendo dal mercato alcune attività tradizionali, inutile farsi illusioni sul ritorno al bel tempo che fu. Terziario, servizi culturali e imprese creative sono i nuovi protagonisti dei centri storici più dinamici, che attirano visitatori. O anche a Grosseto emergeranno queste tipologie di attività, oppure sarà difficile vedere ripopolate le strade medioevali. In questo senso musei pubblici, istituzioni culturali come Clarisse Arte, Università e rinnovata biblioteca Chelliana potrebbero giocare un ruolo molto più significativo.
C’è poi il tema dell’insediamento di nuovi residenti, che ad oggi dovrebbero essere appena 1.500 persone. Forse è il caso di pensare a nuove destinazioni d’uso di alcuni edifici. A partire dal vecchio ospedale, una ferita purulenta di nessun pregio architettonico, che se venisse abbattuto e sostituito da un edificio moderno e di qualità, con destinazione mista, potrebbe rivitalizzare quello spicchio di città.
Tragedia a sé stante quella delle manifestazioni di piazza. Brutte come il peccato, scontate, qualche volta volgari e anche maleodoranti. Oltretutto, non basta dare da sgranare qualcosa di commestibile per fare atmosfera o, come si dice con vacua retorica, “salotto cittadino”. Un capoluogo è un capoluogo, se ci ostiniamo a battere solo la strada della sagra casereccia, non ci sarà trippa per gatti. Ci vogliono cultura, bellezza e qualità. Quindi idee e investimenti. Le responsabilità dello stallo attuale sono tanto pubbliche quanto private. Nessuno è senza peccato.
Infine pavimentazione, arredo urbano e piano del colore. Il degrado è palese. Il centro storico non è nemmeno decadente, ma sciatto e insignificante. Salvo pochi angoli. I lavori di pavimentazione eseguiti in malo modo a inizio anni 2000 andrebbero rifatti da capo. Bisogna porsi il problema alla svelta e agire per stralci funzionali in una prospettiva decennale. Siccome quattrini non ce ne sono, si potrebbe iniziare a destinare una quota fissa annua della tassa di soggiorno per iniziare a fare qualcosa di concreto, oltre la propaganda.
Il centro storico cittadino è malato grave. Se si cronicizzasse, tanto varrebbe praticare l’eutanasia. Usando la metafora della “disposizione anticipata di trattamento”: è una questione di dignità.
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