GROSSETO – «“Scorretta gestione della paziente”, monitoraggio non “accurato”, trasferimento imprudente, “criticità nell’operato dei medici” per non aver messo in atto una terapia trasfusionale». È quanto emergerebbe dalla perizia autoptica del medico legale incaricato dal tribunale dopo l’esposto del figlio di una donna di 78 anni deceduta all’ospedale di Grosseto il 2 marzo scorso. A darne notizia Nicola De Rossi dello Studio3A, che è stato incaricato dal figlio della donna di seguire la vicenda.
Il figlio, dopo il decesso della madre, aveva presentato un esposto in Procura per capire se ci fossero state responsabilità nella morte della donna. L’anziana era stata ricoverata quasi un mese e mezzo all’ospedale di Massa Marittima dove era stata operata. Aveva subito un intervento ortopedico ma le sue condizioni di salute si erano aggravate. I medici temevano che si fossero delle emorragie interne, per questo era stata trasferita a Grosseto.
«Sono diverse le “censure” mosse nei confronti dei sanitari – prosegue De Rossi -, con particolare riferimento a quelli dell’ospedale Misericordia di Grosseto, nella perizia medico legale. Un autentico calvario ospedaliero durato quaranta giorni quello vissuto dall’anziana. Il 23 gennaio, alle 3 di notte, il figlio, notando un rigonfiamento anomalo all’altezza dell’addome, chiama il 118 e la paziente viene condotta all’ospedale di Massa Marittima. Qui viene sottoposta ad una serie di accertamenti tra cui la Tac, al termine dei quali i sanitari, anche a fronte del fatto che il rigonfiamento si è esteso al fianco determinando un vasto ematoma, decidono di trasferirla nel più attrezzato nosocomio di Grosseto, dove la signora accede (al pronto soccorso) alle 12.37 di quello stesso giorno. La donna viene prima sottoposta ad un’angiografia, che conferma la lacerazione di un vaso, e poi a una procedura endovascolare di “embolizzazione”, al termine della quale viene documentata l’apparente cessazione del sanguinamento acuto».
«L’anziana viene quindi tenuta ventiquattr’ore in Osservazione Breve Intensiva e poi riportata, nel pomeriggio del 24 gennaio, a Massa Marittima, dove però arriva priva di accessi venosi, in condizioni cliniche gravi, con scadimento dello stato di coscienza e chiari sintomi di shock ipovolemico. Viene allertato anche il rianimatore, inserito un accesso venoso centrale e predisposto un nuovo trasferimento verso l’ospedale di Grosseto per riportare la paziente in sala angiografica». Continua.
«Ma qui, al momento dell’induzione dell’anestetico, si verifica un grave arresto cardiaco e la donna entra in coma e viene ricoverata nel reparto di Rianimazione. La paziente, dopo alcuni giorni, palesa qualche timido segnale di miglioramento, tanto che i medici il 20 febbraio decidono di trasferirla in Subintensiva e il primo marzo la passano nel reparto di Neurologia in attesa che si liberi un posto all’ospedale di Montevarchi per svolgere la riabilitazione motoria e neurologica, ma ormai le sue condizioni generali sono gravemente compromesse, è soggetta a continue crisi convulsive e a problemi respiratori e la situazione precipita presto. E infatti alle 7.45 dell’indomani, 2 marzo, viene trovata senza vita nel suo letto in Neurologia: morte dovuta ad “arresto cardiaco acuto, causato da un’alterazione del ritmo spinta fino all’asistolia, non potendo escludere un’ischemia acutissima del miocardio da vasospasmo” per citare la causa di morte stabilita dal Ctu nella sua perizia».
«Sconvolto per la perdita della mamma e perplesso sull’operato dei sanitari, il figlio della signora, per fare piena luce sui fatti, attraverso l’avvocato Simona Longo, si è dunque rivolto a Studio 3A, ed è stato presentato un esposto presso la Procura di Grosseto con la richiesta di avviare gli opportuni accertamenti per verificare eventuali profili di responsabilità in capo ai medici e alle strutture che hanno avuto in cura la paziente, disponendo, nel caso, l’acquisizione delle cartelle cliniche integrali e l’esame autoptico sulla salma – affermano da Studio3D -. Istanze accolte dal Pubblico Ministero titolare del caso, Marco Nassi, che ha aperto un procedimento per omicidio colposo, momentaneamente a carico di ignoti, e disposto l’autopsia, incaricando a tal scopo come consulente tecnico d’ufficio il dott. Matteo Benvenuti, specialista in Medicina legale, di Siena: operazioni peritali effettuate il 14 marzo, all’obitorio dell’ospedale di Grosseto, e a cui ha partecipato come medico legale di parte per i congiunti della vittima, messo a disposizione da Studio 3A, anche il dott. Paolo Bellettini, di Grosseto. Si è così arrivati al deposito della perizia da parte del Ctu della Procura, «che conferma in pieno questi profili di responsabilità. Il medico legale chiarisce innanzitutto che “il decesso risulta ininterrottamente correlato all’arresto cardiaco del 24 gennaio: in seguito a tale evento, infatti, si instaurò un danno encefalico e un ulteriore, decisivo aggravamento delle condizioni generali della donna. Le condizioni cliniche della paziente rimasero poi stabilmente gravi fino all’arresto cardiaco del primo marzo, che rappresenta quindi l’epifenomeno di una grave compromissione delle condizioni generali specifiche e cardiocircolatorie”».
«Venendo poi al dunque, il dott. Benvenuti eccepisce in primis sull’operato dei sanitari presso l’Obi (Osservazione Breve Intensiva) di Grosseto il 24 gennaio. “I parametri vitali (frequenza cardiaca, respiratoria, pressione arteriosa, etc) furono correttamente riportati in apposita tabella facente parte della cartella clinica di Pronto Soccorso e la revisione di tali dati ha permesso di evidenziare una scorretta gestione della paziente, perché vi erano molteplici segni di una ripresa del sanguinamento, caratterizzati da un grave abbassamento dei valori pressori e dal conseguente aumento significativo della frequenza cardiaca. I valori dell’emoglobina mostrano una costante caduta verso il basso. Basti pensare che all’ingresso a Massa Marittina erano di 13,4 g/l e alla sera del 24 gennaio erano giunti a 9,7 g/l. I dati clinici, se opportunamente interpretati, avrebbero dovuto indurre i sanitari ad un più accurato monitoraggio delle condizioni generali della paziente e ad un supporto all’emodinamica, anche facendo ricorso a terapia trasfusionale. Inspiegabilmente, invece, a fronte del persistere di alcune ore in cui i parametri mostrano chiaramente i segni di un impegno sistemico sostenuto dalla perdita di sangue, nel pomeriggio del 24 gennaio i medici del Pronto Soccorso di Grosseto optarono per il trasferimento della paziente verso l’ospedale di Massa Marittima e senza neppure predisporre adeguati mezzi di sorveglianza. La paziente, nonostante le condizioni critiche, fu trasferita in ambulanza priva di assistenza medica”». Afferma De Rossi.
«Il medico legale, però, non lesina perplessità anche sul successivo trattamento della paziente nella stessa giornata del 24 gennaio, sia nel breve periodo in cui è rimasta a Massa Marittima prima del nuovo trasferimento al Misericordia, sia, soprattutto, al momento del secondo accesso al nosocomio di Grosseto. “Anche in questo momento dell’iter clinico è evidenziabile una criticità nell’operato dei medici nel non aver predisposto un idoneo supporto alle condizioni generali; sarebbe stato certamente più opportuno sottoporre la paziente a terapia trasfusionale. Il risultato della prolungata anemia, non corretta, fu uno stato di ipoperfusione periferica responsabile di un danno renale acuto (testimoniato dall’aumento dei valori di creatina), di un danno encefalico (stato confusionale) e miocardico. E fu proprio l’ipoperfusione del miocardio la causa per cui si realizzò l’arresto cardiaco del 24 gennaio 2017, avvenuto al momento dell’induzione dell’anestetico in sala angiografica (a Grosseto, ndr). L’errata gestione della paziente appare particolarmente importante nel determinismo di quest’arresto cardiaco, a cui risulta ininterrottamente correlato il decesso, se prendiamo in considerazione il fatto che non si trattava di un sanguinamento da un vaso di grande calibro, che non necessitò di ulteriori manovre invasive di correzione”».
«Non solo. Il consulente tecnico della Procura sgombera anche ogni dubbio circa un eventuale collegamento tra la morte e l’assunzione di un farmaco anticoagulante prescritto all’anziana in seguito a delle complesse e pregresse problematiche ortopediche. “E’ evidenziabile una correlazione tra la somministrazione cronica di questo farmaco a dosaggio elevato (a regimi terapeutici) e l’insorgenza dell’ematoma addominale, ma in ogni caso le omissioni del 24 gennaio interrompono qualsivoglia nesso di causa tra la somministrazione stessa e il decesso. Non si trattava infatti di un sanguinamento da un vaso di grande calibro, l’arresto cardiaco si realizzò dopo un lungo periodo di osservazione in cui gli effetti del sanguinamento potevano essere contrastati efficacemente con un’adeguata sorveglianza e un altrettanto doveroso supporto emodinamico”. Conclusioni inequivocabili che forniscono una prima, importante risposta alle istanze di verità e giustizia del figlio della vittima e di Studio 3A, in attesa dei provvedimenti che ora riterrà di assumere il Sostituto Procuratore prima di chiudere le indagini preliminari». Conclude la nota dello Studio3A.