GROSSETO – Critiche al progetto del distretto agroalimentare della Toscana del sud arrivano dal Movimento 5 Stelle che prende di mira sia il centrosinistra che il centrodestra che la camera di commercio attaccando in particolare Marras e Sani.
«Leonardo Marras e Luca Sani, da un lato, e il Centrodestra dall’altro, hanno mobilitato le truppe fedeli – sindaci e presidenti di sindacati e associazioni – insieme alle Camere di Commercio di 4 province (Grosseto, Siena, Livorno e Arezzo ), con la partecipazione straordinaria di un Presidente di regione in cerca di collocazione per il suo futuro, totale un’ottantina di persone , giornalisti compresi, per celebrare le dichiarazioni di interesse di 70 (!) aziende su 22.000 circa, solo nelle province di Grosseto e Siena, e 170 milioni di investimento previsto, a fronte dei quali, però, al momento, forse, ne risultano disponibili una decina».
«Con il 67% della aziende agricole sotto i 5 ha di Sau e il 26% di aziende perse nell’arco di un decennio ( 2000 – 2010 ) il progetto di distretto agroalimentare rappresenta, in realtà, la pietra tombale su qualsiasi ipotesi di politica di sviluppo territoriale. Il problema vero è che né Sani, né Marras hanno mai capito in cosa consistesse il progetto di distretto rurale: proviamo a spiegarlo per l’ennesima volta».
«Parliamo di olio. Qui in Maremma, paghiamo la gente: un minimo di 8 € all’ora, per la raccolta.
Poi c’è la molenda: qui in Maremma, le acque di vegetazione non le smaltiamo nel primo tombino che capita. Infine l’imbottigliamento: un po’ più di 1 €, tra bottiglia, tappo o capsula, etichetta e cartone. Spese varie: trasporti, consumi. A seconda delle rese, variabili tra il 9 e il 12%, i costi di produzione partono dai 7,5 € al kg, a salire. L’interesse di una piccola azienda con 300 olivi è quello di vendere il suo olio direttamente al consumatore, ad un prezzo superiore ai 12 € e, possibilmente, partecipare agli utili della vendita delle bruschette, altro che mercati internazionali».
«Il contesto al quale guardano Marras & soci, invece, è un altro: la Toscana produce solo il 5% dell’olio italiano, ma ne imbottiglia il 36%, con un numero di frantoi doppio rispetto alla Puglia, che da sola produce il 40% del totale nazionale. E’ ovvio che il business della frangitura e dell’imbottigliamento guardi ai mercati internazionali: ma questo, cosa ha a che vedere con lo sviluppo locale? Poi arrivano gli esperti formatisi sui manuali di marketing in vendita sugli scaffali degli Autogrill: “ le piccole aziende possono consorziarsi” e amenità simili. Una notizia per loro: esiste vita, oltre gli scaffali della GDO, ci serve un modello di sviluppo che investa il territorio, invece di lavorare per la distribuzione internazionale. Discorsi analoghi possono farsi per il pecorino, il vino, le produzioni zootecniche di qualità».
«Invece, per i nostri eroi, sotto la guida della Camera di Commercio, si deve individuare un “sistema produttivo locale”, le cui “eccellenze produttive” (?) locali confluiscano in un marchio regionale (Toscana), da spendere in giro per il mondo. Si tratta di un progetto classista perché l’ipotesi di sviluppare filiere monoprodottive, integrate verticalmente con trasformazione e commercializzazione, in un territorio caratterizzato da aziende di piccolissima dimensione, è utile solo alle aziende di dimensione medio-grande, meno del 20% del totale: le sole per le quali la produzione di materie prime da destinare alla trasformazione industriale abbia un senso economico».
«Si tratta però anche di un progetto suicida, per questo territorio. L’aspetto più discutibile non è la volontà deliberata di far confluire le tipicità maremmane nel gran calderone della produzione e dei marchi regionali, fatto di per sé già abbastanza grave, visti i precedenti del pecorino e , soprattutto, dell’olio: marchi che non garantiscono né il prezzo ai produttori – e non parliamo poi dei produttori di latte – né qualità ai consumatori (46 frantoi inquisiti dalla GdF nel 2016). Si tratta della scelta di marginalizzare senza speranza le piccole aziende, sottraendo al territorio un presidio indispensabile alla sua integrità».
«Contemporaneamente, si rinuncia alla formidabile opportunità che offrirebbero di sperimentare produzioni e tecniche innovative e rispettose dell’ambiente, che arricchirebbero il territorio e la sua capacità di attrazione. Si sceglie la strada semplice di sviluppare monocoltura in pianura, invece di affrontare con lucidità il tema della varietà e complessità territoriale, vera ricchezza di questa terra.
L’ultimo atto di questa farsa è rappresentato dal Polo Agroalimentare di Alberese, investimento previsto 2,5 mln di €, dei quali 1,7 già destinati a ristrutturazione immobiliare, in assenza della più pallida traccia di progetto. Una considerazione: non c’è più la sinistra, non c’è più la destra, ma solo un mega partito degli interessi e delle lobbies, da una parte, mentre dall’altra ci siamo noi, ultimo baluardo a difesa degli interessi dei cittadini e delle piccole imprese».