GROSSETO – «Non c’è settarismo, e nemmeno tigna, in questa posizione. C’è senso storico. C’è una valutazione d’insieme della portata che un’iniziativa del genere possiede, e del messaggio che, promuovendola, si manda alla cittadinanza. Intitolare una via è un atto socialmente delicato, a forte carica simbolica, specialmente se il dedicatario è stato un uomo politico attivo nella seconda metà del Novecento». Così Dario Parrini, segretario regionale del Partito democratico, oggi sul Corriere Fiorentino, motiva la contrarietà del Pd alla proposta di intiolazione di una via a Giorgio Almirante, fascista e repubblichino prima e storico segretario del Movimento Sociale Italiano dopo nell’epoca repubblicana.
«Mi è capitato, da sindaco, di effettuare intitolazioni a De Gasperi, a Nenni, a Calamandrei. Ho salutato con favore intitolazioni a Pertini e a Einaudi. Quando si compiono scelte di questa natura, opinabili per definizione, è necessario mantenersi equilibrati, e domandarsi, molto seriamente, se colui o colei a cui si pensa di intestare uno spazio pubblico abbia dato oppure no un tangibile contributo positivo alla nascita e allo sviluppo della democrazia italiana, al suo consolidamento, al suo arricchimento valoriale e civile. Francamente, non credo che di Almirante si possa dir questo, per quanto mi siano noti gli episodi che Armaroli cita, in primo luogo la visita alla camera ardente di Berlinguer. Può darsi che Almirante, come dice Armaroli, abbia svolto un’attività fuori dal comune. Ma l’eccezionalità non è di per sé una virtù. È vero che c’erano esponenti missini più antisistema di lui (Rauti, Massi). Ma ce n’erano anche di più moderati e di meno disponibili ad ammiccamenti all’estremismo (De Marsanich, Michelini, De Marzio). Ciò detto, resta che, se fosse stato per Almirante, la dittatura fascista, col suo carico di tragedie, non sarebbe stata sconfitta, l’Italia sarebbe rimasta una colonia tedesca, e la prima parte della nostra Costituzione non avrebbe contenuto i principi che invece contiene, né si sarebbe radicata nel profondo della società italiana come invece è avvenuto. E certe ambiguità che la nascita di An ha sciolto non sarebbero venute meno. Allo stesso tempo è corretto sottolineare che il ruolo di capo di gabinetto di un ministro della Rsi era tutt’altro che un ruolo di terz’ordine (la veridicità della suafirma in calce al manifesto «agli sbandati» del maggio 1944 è stata tra l’altro provata in sede giudiziaria, come da sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 1978). Del pari non si può tacere che i rapporti di Almirante con alcune realtà e fatti della strategia della tensione e dell’eversione nera non furono per niente limpidi».
«Per tutte queste ragioni, l’intitolazione ad Almirante di una pubblica via sarebbe un atto sbagliato, privo di fondamento storico e politico. Spero proprio che il consiglio comunale di Grosseto non lo compia. E che chi ad esso si oppone riesca nel suo intento. I conflitti ormai consegnati definitivamente al passato debbono essere dibattuti con assai maggiore serenità di quella possibile durante il loro svolgersi. Ma la via della serenità e della compostezza storiografica non si interseca con quella delle forzature toponomastiche».