GROSSETO – Sui recenti arresti in merito all’operazione di contrasto del caporalato tra le province di Siena e Grosseto interviene l’associazione Attac con i responsabili Silvano Brandi e Gian Piero Ciambotti.
«Ha avuto molto risalto sui media locali e nazionali – scrivono – l’arresto, su ordine della procura di Siena, da parte dei carabinieri di 3 caporali, accusati di intermediazione illecita e sfruttamento selvaggio di mano d’opera. Dal 2015, insieme ad altre organizzazioni, Attac Grosseto aveva denunciato all’opinione pubblica che il caporalato si era insediato stabilmente anche nelle provincie di Grosseto e Siena assumendo dimensioni sempre più consistenti, infatti coinvolgeva, e crediamo che ancora coinvolga, migliaia di lavoratori. Noi crediamo che nella nostra provincia ci siano ancora molto estese forme di caporalato tradizionalmente conosciuto, è innegabile che questa forma di attività illegale si stia trasformando in attività solo apparentemente legale, sfruttando le tante, troppe forme che le leggi sul lavoro gli consentono. Si sbaglia se si pensa che esista solo il caporalato ottocentesco ed il resto è solo una zona grigia, perché stiamo parlando di una forma criminale di sfruttamento degli esseri umani in via di evoluzione che si adegua a situazioni e norme di legge per trovare, fra le pieghe di queste ultime, la forma adatta a svolgere la propria scellerata funzione».
«Se si vuole combattere seriamente queste forme di sfruttamento si devono abolire tutte quelle norme che lo consentono, tornare alla agenzia unica del lavoro, dove ogni cittadino disoccupato possa iscriversi, e gli enti preposti al controllo (Ispettorato provinciale del lavoro, Inps, Inail) accedano in tempo reale ai dati, da incrociare con le varie filiere produttive, stabilendo la congruità o meno di una azienda, nel caso che vi fosse incongruità far scattare i controlli».
«Non tutto si può affidare alle leggi e alla repressione, occorre fare un salto di qualità culturale e operare da parte di tutti: cittadini, operatori, associazioni di categoria e istituzioni per dare una possibilità di lavoro qualificato, dignitoso e socialmente utile a chi oggi è barbaramente sfruttato, legalmente o no. Attac Grosseto si era posta, in un recente passato, di andare oltre la semplice denuncia, ha fatto delle proposte che davano, a nostro avviso, un piccolo contributo per l’attenuazione di questo fenomeno, perché, se nella società si lasciano enormi voragini sociali, c’è sempre chi li riempie.
Le nostre proposte le abbiamo rese pubbliche in una conferenza-dibattito con il titolo “ Caporalato o Solidarietà” presso la sala Pegaso a Grosseto in data 29/01/17, invitando, tra gli altri, i sindaci di tutti e 28 comuni della nostra provincia, le organizzazioni sindacali e di categoria, la lega provinciale delle cooperative e anche alcune delle maggiori cooperative della nostra provincia. A dimostrazione dello scarso, anzi nullo interesse (dimostrato anche dal silenzio su questo tema), ha brillato la totale mancanza dei rappresentanti degli enti locali e della cooperazione della provincia di Grosseto. Questi ultimi più impegnati a gestire il business dei richiedenti asilo che preoccuparsi delle infiltrazioni dei caporali nella cooperazione avvenuta in diverse zone d’Italia».
«Noi ripetiamo quel che sostenemmo al nostro convegno: non abbiamo e non siamo tanto presuntuosi di avanzare una proposta compiuta su un campo così delicato, ma sappiamo che non possiamo affrontarlo solo con la repressione, che pure deve esserci, ma che dobbiamo iniziare tutti, ognuno per le proprie competenze, funzioni e specificità, un percorso che ci porti a rioccupare quegli spazi che abbiamo a suo tempo abbandonato e che il caporalato ha occupato e dove pianterà le proprie radici in forme sempre più sofisticate. Possiamo continuare a pensare che quello del caporalato sia solo un problema di ordine pubblico e che quindi riguardi solo magistratura e forze dell’ordine, oppure possiamo darci da fare per rioccupare gli spazi che abbiamo lasciato scoperti e dove la criminalità rafforza pericolosamente la propria presenza. Se si vuole percorrere questa seconda strada proponiamo sin da ora un pubblico confronto con la partecipazione di istituzioni ed organizzazioni sociali. Noi parteciperemo con le nostre idee e le nostre proposte».