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Senza tartufismi. Dal punto di vista economico la provincia di Grosseto è oramai stabilmente fuori dalla Toscana, assimilabile a una dei territori del sud Italia. Non è piacevole da constatare, ma ne va preso atto. Perché è l’unico modo per tornare a ragionare in positivo di futuro. Poi qualcuno può anche sostenere che il problema sono gli 800 richiedenti asilo e protezione umanitaria presenti nei centri di accoglienza, oppure il traffico [come direbbe Jonny Stecchino, alias Roberto Benigni]. Piuttosto che l’autostrada tirrenica che stravolgerebbe un modello di sviluppo virtuoso (?).
A dircelo, con dieci indicatori socioeconomici inattaccabili, l’indagine del Sole24Ore sulla capacità di reazione alla crisi delle province italiane, pubblicata lunedì 17 luglio. Sintesi brutale: Grosseto è nella quinta fascia su le sei individuate dal quotidiano di Confindustria, 84° in Italia su 103. Ultima in Toscana con 36.7 punti base, a 14 punti da Livorno. Penultima nella graduatoria regionale.
L’inchiesta – che segue a una analoga del 2014 sull’impatto della crisi – prende a riferimento il quadriennio 2013-2016, con l’obiettivo di analizzare la capacità di reazione alle difficoltà dei sistemi economici locali. A proposito: tutti danno per morte le Province, ma qualunque analisi economica continua ad avere i territori provinciali come riferimento.
Sarà che a luglio il caldo distrae. Che gl’incendi spadroneggiano. Ma a livello locale nessuno s’è accorto dell’inchiesta del Sole24Ore, e nemmeno – con l’eccezione della Cgil – dell’indagine Irpet sulla ‘situazione economica e sociale della Toscana nel 2016’. Un conformismo al ribasso un bel po’ spaventevole, perché mettere il silenziatore ai problemi non è il miglior viatico per provare a risolverli. Con l’eccezione, va detto, della Regione, che almeno tenta di presidiare qualche questione, dall’autostrada ai Piani integrati di filiera (Pif), al contratto di programma per l’agroalimentare.
Naturalmente la retorica del declino – con la variabile autolesionista della Maremma sedotta e abbandonata dai poteri centrali – è solo aria fritta, ed è l’altra faccia dell’altrettanto inutile retorica dell’ottimismo funzionale al consenso. Va peraltro tenuto conto del fatto, ad esempio, che l’economia grossetana è notoriamente anticiclica, per cui è entrata con ritardo nel tunnel della crisi rispetto alla Toscana e di conseguenza ne uscirà in modo sfalsato. Così come che esistono nicchie produttive dinamiche che fanno ben sperare, alcune delle quali sono finite nel #tiromancino, dall’acquacoltura alla viticoltura, dalla cooperazione sociale al Pecorino Toscano Dop. Oppure non va sottaciuta la buona performance dell’export delle Pmi maremmane messa in evidenza proprio in questi giorni dall’Ufficio studi di Confartigianato Imprese, che ha sottolineato come nel primo trimestre 2017 le esportazioni delle piccole e medie imprese abbiano raggiunto quota 45 milioni di Euro. Con un’impressionante variazione positiva del 28,6% rispetto al periodo precedente (12esimo miglior risultato a livello nazionale). Anche se l’incidenza dell’export sul Pil provinciale rimane molto bassa, e il grosso dei volumi è riconducibile a poche imprese del settore chimico.
Tuttavia quello che colpisce è il tono dimesso del dibattito pubblico sui temi dello sviluppo economico. Con poche eccezioni che si contano sulle dita di una mano.
Ad ogni modo, tornando all’indagine del Sole24Ore che misura le performance provinciali di reattività alla crisi, quel che viene fuori non è per niente rassicurante. Grosseto vanta la decima peggior performance in Italia per incremento di reddito procapite (+0.5%) nel quadriennio 2013-2016, passando da 20.943 euro a 21.050. Valore che, ovviamente, non tiene conto dell’evasione fiscale. Che le stime di settore valutano sia piuttosto alta in un territorio a forte vocazione turistica. Di conseguenza vanno male anche i depositi bancari per abitante: 11.525 Euro nel 2013, 11.647 oggi (+1.1%), ottava peggior performance in Italia.
Sempre ottava piazza in negativo per l’incremento delle automobili acquistate (+28%), passate dalle 3.843 del 2013 alle 4.936 dello scorso anno. In definitiva Grosseto non compare tra le 10 migliori né tra le 10 peggiori negli altri indicatori (casa, prestiti personali, tasso di disoccupazione, beni durevoli, farmaci, laureati, rifiuti), rimanendo relegata nel gruppo delle province di quinta fascia. Fra quelle meno dinamiche e reattive in Italia. A un passo dalla sesta fascia, con le province, diciamo, irrecuperabili.
Come tutte le graduatorie, anche questa non è l Vangelo in quanto tale. Ma uno strumento di lavoro per confrontare realtà omogenee. Come la Toscana. E il fatto che la nostra provincia – in un contesto generale di crisi della costa regionale – sia in fondo al gruppo, sotto realtà come Massa Carrara e Livorno finora in posizioni più basse delle nostre, è un aspetto che deve spingerci a reagire. Alla svelta.
Per farlo, fra le altre cose, bisogna capire che uno dei nostri gap più drammatici è quello demografico, che in termini quantitativi impatta duramente nell’incidenza dei consumi interni sul Pil. Oltre ad avere pesantissime ripercussioni qualitative in altri ambiti.
Dai dati appena forniti dal servizio di ostetricia e ginecologia del Misericordia, emerge che negli ultimi anni all’ospedale di Grosseto la media è stata di 1.400 parti, con il 30% delle puerpere che sono straniere. Di contro i morti sono circa 3.000 all’anno. Basta fare due conti, e andare a verificare che a pareggiare il rapporto morti/vivi non bastano nemmeno gli arrivi di nuovi residenti stranieri. Fra l’altro, a proposito del paventato «tasso di sostituzione etnica» che il Governo imporrebbe alla Maremma con l’arrivo dei migranti (nomen omen: il linguaggio rivela la cultura), è un falso mito anche quello che presto verremo «messi in minoranza» dagli stranieri che sono più prolifici di “noi”. Perché in tutta Europa si registra una tendenza demografica chiara e netta: gli immigrati assimilano in breve tempo i comportamenti riproduttivi dei Paesi che li accolgono. Che nel medio periodo tendono a omologarsi.
Quindi, concludendo, non solo gli stranieri, extracomunitari e non, ci servono: nelle stalle, nei campi, nei cantieri edili, in alberghi e campeggi o nelle nostre case come colf e badanti. Ma se vogliamo iniziare a parlare seriamente di rilancio dell’economia di questo territorio e non del sesso degli angeli, sarà bene tenerli in gran conto.