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GROSSETO – La prima guerra per l’acqua della storia risale più o meno al 2460 avanti Cristo: in Mesopotamia tra la città stato sumera di Lagash e quella di Umma. A raccontarcela, la ‘Stele degli avvoltoi’ oggi conservata al museo del Louvre di Parigi.
Col global warning (l’allarme globale per i cambiamenti climatici), il rischio nemmeno troppo immaginario o lontano nel tempo, potrebbe essere quello di una guerra tra Grosseto e Siena per il controllo delle sorgenti del Fiora. La copiosa filmografia di genere disaster movie, dovrebbe tenerci allerta.
Perspicui i fatti di queste ultime settimane: l’innalzamento prolungato delle temperature medie ha peggiorato la già grave situazione causata del periodo di siccità che si protrae da inizio anno. Simpatico il bouquet delle conseguenze: agricoltura a pezzi, animali selvatici allo sbando, terrore fra gli operatori turistici della costa per il paventato razionamento della risorsa idrica, aumento esponenziale degl’incendi dolosi facilitati da un ‘asciuttore’ imbarazzante.
In molti sbraitano, ma non è la prima volta che tutto questo succede. Il cliché dei cahiers de doléances (quaderni delle lamentele) delle varie categorie socio economiche colpite dalla siccità si ripete pedissequo da anni. Peraltro nessuno, con poche eccezioni, fa qualcosa di concreto.
Eppure un’occasione sarebbe a portata di mano. Sol che si volesse dare un segnale d’inversione di tendenza. Lo scorso anno, infatti, Acquedotto del Fiora Spa – gestore fino al 2026 del ciclo idrico integrato nelle province di Grosseto e Siena – ha chiuso il consuntivo con 10 milioni di avanzo. Sei dei quali destinati a rimpinguare il fondo di garanzia per il grosso ‘prestito ponte’ che sta finanziando il più cospicuo piano d’investimenti di comparto in Italia (140 milioni di Euro). Con i quattro milioni rimanenti destinati alla spartizione fra i 55 Comuni soci di Fiora Spa, previo nulla osta dell’Autorità idrica regionale sulle tariffe.
Ecco. Perché non iniziare con l’utilizzare questi soldi per dare una risposta più strutturata al problema della siccità e degli stress idrici che periodicamente si verificano? Con conseguenze pesanti sia sul consumo di acqua potabile, che su quella per usi irrigui, in un territorio che ha una fortissima vocazione agricola? Magari iniziando a progettare una rete di bacini di accumulo idrico.
Un esempio aiuta a capire: pochi anni fa è stato sistemato e ampliato il bacino ‘Bicocchi’, sulle colline alle spalle di Follonica. Intervento che ha risolto il problema del cronico deficit idrico della zona, garantendo una riserva anche per usi irrigui e un serbatoio accessibile per rifornire gli elicotteri antincendio. A seconda della bisogna.
È chiaro che quel tesoretto di 4 milioni non risolverebbe i problemi. Ma sei i 55 Comuni soci di Acquedotto del Fiora, defunte le Province, ragionassero come un unico territorio con un destino comune, mettendo da parte logiche di campanile e contrapposizioni di schieramento politico, probabilmente la Toscana del sud farebbe un salto di qualità. Anche perché la probabile alternativa nell’utilizzo di quelle risorse – da 30 a 50.000 Euro a comune, esclusi Grosseto e Siena che avrebbero un po’ di più – sarebbe un piccolo sconto sulla bolletta degli utenti. A fronte di decine di milioni di Euro già pagati in passato per i danni provocati da siccità e incendi, destinati a crescere nel futuro prossimo in assenza di una strategia condivisa per arginare il fenomeno.
Fiora, Consorzi di Bonifica, Enti locali e Regione Toscana dovrebbero essere meno reticenti e condividere un approccio. I 6.3 milioni di Euro appena assegnati dal Governo al ‘Consorzio di bonifica 6 – Toscana sud’ grazie al Piano irriguo nazionale, in questa logica, avrebbero dovuto essere integrati in un unico grande disegno che ancora non c’è. Perché oltre alle conseguenze del global warnig, nella stagione estiva ci sono anche quelle della pressione antropica, con una provincia che ad agosto ospita almeno un paio di milioni di persone. A fronte di 223.000 residenti ufficiali. Con un’agricoltura sempre più produttiva, e quindi con bisogni idrici crescenti, per contenere i quali l’unica strada razionale è quella di promuovere la cosiddetta ‘agricoltura di precisione’.
Cambiare paradigma, quindi. Anche rispetto alle polemichette di corto respiro nei confronti dell’Acquedotto del Fiora. Che a onor del vero in pochi anni ha raddrizzato una barca che con le vecchie gestioni comunali faceva paradossalmente acqua da tutte le parti. Riuscendo a mettere in piedi un gigantesco piano di riqualificazione dei 12 .000 km di tubazioni e di oltre 100 impianti di depurazione. Con 80 Euro di investimenti per ogni utenza a fronte della media italiana di 35. Una polemica che si alimenta del mito che l’acqua – bene più prezioso che abbiamo – costi troppo ai cittadini italiani. Perché è vero, l’acqua è un bene comune, ma è anche vero che l’Italia è il penultimo paese in Europa per costo/utente del servizio idrico integrato. E guarda caso ha una delle peggiori performance nella distribuzione dell’acqua.
Concludendo. C’è ancora tempo per cambiare direzione, ma non troppo. La siccità di quest’anno, ad esempio, provocherà uno stress idrico alle sorgenti del Fiora tra un paio d’anni, tempo medio per il ricarico del sottostante bacino idrico dell’Amiata. Che quest’anno è ben dotato perché due anni fa andò di lusso.
Ad ogni modo coi problemi dei cambiamenti climatici dovremo fare i conti, dalla rarefazione e intensificazione delle precipitazioni a parità di livello pluviometrico ai prolungati periodi di siccità, fino alla diminuzione delle precipitazioni nevose. Perché nell’era dell’antropocene che stiamo vivendo, le attività umane mettono in crisi gli equilibri della natura.
A meno che non abbiano ragione quelli svegli come Donald Trump e certi carneadi, scienziati locali della meteorologia, che hanno capito tutto in controtendenza con il mainstream meteoclimatico mondiale. Non c’è nessun global warning, basta consultare Manitù per fargli riorientare la ‘corrente a getto’. E tutto si risolve.