GROSSETO – “Salama Napoli”, “Salama Milano”, “Parmesan Salami”, mozzarella grattugiata, continue allusioni di italianità per prodotti che nulla hanno a che spartire con il Made in Italy sono state in bella mostra per giorni a Milano all’esposizione che doveva raccontare la grandezza alimentare nazionale magnificata pochi metri più in là addirittura dall’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Insieme Federalimentare e Coldiretti denunciano la gravità della presenza di prodotti di scarsa qualità e basso prezzo smascherati dal servizio di “Striscia la notizia” che sembrava mostrare una di quelle “fiere degli orrori” che si stanno moltiplicando in giro per il mondo per proporre falso Made in Italy, piuttosto che la fiera milanese pensata per celebrare il cibo italiano e convincere i buyer mondiali a comprare il vero prodotto italiano. Un inaccettabile atto di autolesionismo a danno della filiera agroalimentare nazionale con la promozione di prodotti che – denunciano Federalimentare e Coldiretti – non solo rubano mercato e posti di lavoro a tutta la filiera agroalimentare italiana, ma ingannano i consumatori di tutto il mondo, con un giro di affari illegittimi pari a tre volte il vero export alimentare italiano.
“Occorre fare sistema per difendere con la trasparenza dell’informazione, dalle etichette alle fiere, un patrimonio nazionale dell’Italia sotto attacco dell’agropirateria internazionale che toglie al vero Made in Italy alimentare ogni anno 60 miliardi di euro e trecentomila posti di lavoro”, ha affermato il direttore di Coldiretti Grosseto Andrea Renna nel sottolineare che “operatori economici ed Istituzioni devono sostenere insieme il vero Made in Italy, dentro e fuori i confini nazionali, per contrastare la delocalizzazione e i suoi pesanti effetti sull’economia e sul lavoro”.
E’ “surreale e incomprensibile”, secondo il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, “che si invitino espositori non italiani che, non solo sono tra i nostri principali concorrenti sul mercato mondiale con l’Italian sounding, ma che minano ogni giorno la reputazione dell’industria alimentare, solo per vendere qualche spazio in più”.
E prosegue: “i conti economici delle fiere non possono vincere sulle priorità del sistema. In passato, come federazione e come Paese, abbiamo concluso accordi con importanti fiere mondiali come quella di Colonia o con giganti dell’e-commerce come http://Alibaba.com per avere garanzie di contrasto alla vendita dell’Italian sounding ed oggi vanifichiamo gli sforzi incentivandone la diffusione o addirittura promuovendo i brand verso i buyer arrivati da tutto il mondo per la food week di Milano”. E conclude: “la domanda, ora, è se è giusto che chi non risponde a semplici regole di buon senso, continui a ricevere finanziamenti pubblici”.