ACQUAPENDENTE – Il telefono squilla e la chiamata arriva dall’Arabia Saudita. Chiedono quanto costa una pecora, vogliono fare un ordine importante. A rispondere, con il suo cellulare, non c’è un dipendente dell’azienda. C’è il padrone: un uomo di 67 anni che, a incontrarlo nel suo ufficio, fa tornare alla mente quelle parole orgogliosamente ripetute, stagione dopo stagione, partita dopo partita, intervista dopo intervista: “Io non campo con il calcio, io campo con il mio lavoro”.
L’ufficio di Piero Camilli non è soltanto quello di uno degli imprenditori più importanti d’Italia, in cui le segretarie entrano di continuo per far firmare fogli e i telefoni suonano a ripetizione con chiamate che arrivano da tutto il mondo. E’ anche un piccolo mausoleo del calcio, dell’esperienza nel calcio vissuta a Grosseto. Decine di foto, coppe, riconoscimenti. E a parlare di Grosseto, a microfoni spenti, il Comandante si emoziona ancora ricordando momenti che ne hanno cambiato la vita.
Poi, quando è il momento di concedersi ai microfoni, Camilli chiude il libro dei ricordi e torna lucido. Due anni fa l’addio alla Maremma, sponda grossetana. Sembra ieri. “E’ vero – conferma – due anni lontano dallo Zecchini sono volati. Sono andato via, o forse mi hanno mandato via. Ho carattere, per stare 16 anni a Grosseto ci vogliono gli attributi. Mi ero stancato, lo ammetto, ma nella lettera all’allora sindaco scrissi chiaramente che ero disposto a stare vicino al soggetto che doveva subentrare al mio posto. Neanche mi ha risposto, ho sentito il gelo su di me. Quell’amministrazione negli ultimi anni non ha mai collaborato. Forse il personaggio Camilli era scomodo, anche perché politicamente io la penso diversamente da loro e me ne vanto. Quando sono andato via io è stata festa, poi è venuto questo signore che io conosco solo per gli interessi che ho a Pescara”.
E a Grosseto è tornato da avversario.
“L’anno scorso ho avuto contro il Grifone con la Viterbese, era una squadra forte ma noi lo eravamo di più, più organizzati, anche. I campionati si vincono con la rabbia, la determinazione, non con i balli e i giornalisti in panchina. C’è chi ha difeso Pincione fino all’ultimo, gli stessi che criticavano Piero Camilli. Quest’anno li ho seguiti e mi sono quasi vergognato. Io giro il mondo per lavoro, ovunque vado mi dicono ‘Vede Camilli che fine hanno fatto a Grosseto senza di lei?’. Pensano di farmi un piacere ma mi dà fastidio, perché il Grosseto lo sento mio. Sedici anni non sono un giorno”.
Grosseto e Viterbo.
“Quest’anno a Viterbo abbiamo fatto bene, dopo aver vinto l’Eccellenza e la Serie D siamo arrivati ai playoff, lasciando dietro tante squadre più importanti, dopo esserci tolti soddisfazioni durante il campionato. Siamo usciti male, potevamo fare di più, ma per il primo anno va bene così. Anche perché la città non dà grandi soddisfazioni, viene da quarant’anni di disastri. Manca il substrato di tifoseria che con il tempo verrà fuori, ma io sono stanco e se qualcuno prendesse questa squadra ne sarei felice. Sono nonno tre volte, non sono ancora ‘rincoglionito’, ma la vita è fatta di fasi e la mia fase nel calcio è bene che finisca. Me l’hanno fatta finire all’epoca, perché se fossimo andati in serie A con il Grosseto altro che Frosinone, Carpi o Spal. A noi purtroppo ci hanno venduto l’anima”.
Parlando di Livorno qualche mese fa disse che ha ancora gli incubi.
“Io non ci dormo la notte, è vero. Ho le mie colpe e dovevo essere più presente. Ora dico una cosa grave: se era una battaglia tra banditi dovevo fare il bandito pure io, cosa che non ho mai fatto”.
Se a Livorno fosse andata diversamente sarebbe cambiata la storia di Piero Camilli a Grosseto e nel calcio?
“Sarebbe cambiata la storia di Grosseto, soprattutto. Avremmo subito preso quaranta milioni, sarebbe stato fatto il centro sportivo e sarebbero cambiate tante cose. E l’avremmo meritato. Il primo anno serie A venduta secca, il secondo anno venduta a gocce”.
Come vede il presente del Grosseto?
“L’unica possibilità è la famiglia Ceri. Ma non chiedetegli la luna, altrimenti salta tutto. Devono fare un percorso misurato ed equilibrato, andare in Serie D e poi provare ad andare in Serie C, ma sfruttando in primis i giovani del posto. Il Grosseto ha un grosso problema, è lontano da tutte le altre città e trovare i giocatori è difficile. Al nord fanno le squadre con due soldi, Belotti che ha portato oltre quattro milioni all’Albinoleffe e l’Atalanta l’ha scartato. Da noi non c’è niente da scartare”.
E il Gavorrano?
“Il Gavorrano ha vinto un bel campionato, sono contento per l’ingegner Mansi e per Vetrini, ogni tanto ci sentiamo. Sono una piccola realtà che ha fatto bene, ciò dimostra che se uno può programmare riesce a lavorare. Poi con possibilità economiche è più facile perché sono tutti senza una lira. Adesso giocheranno a Grosseto e può pure andare bene. Io all’epoca non lo volli per un semplice motivo, noi eravamo in serie B ed eravamo già in difficoltà. Due squadre nello stesso campo era impossibile, anche per le attrezzature. Con una squadra che fa la Serie D è un po’ diverso. Speriamo che diano ai tifosi le soddisfazioni che meritano, purtroppo quest’anno è andata così”.
Resterà sponsor del Roselle? Il titolo sportivo?
“Io al Roselle do una mano e gliela darò sempre, hanno il marchio Ilco sulle maglie. Ovviamente se crescono li aiuterò anche in maniera più pesante. Poi per il marchio del Grosseto ci sarà da valutare, oggi è mio ma in futuro è bene che lo prendano loro”.
Grosseto è ancora divisa tra chi ha accettato il suo addio e chi pensa che avrebbe dovuto comunque iscrivere la squadra.
“C’è tanta ignoranza. Ai tifosi dovrebbero fare un piccolo corso su quanto costa una squadra: in C tre milioni, in B otto-nove milioni. Non si fanno i campionati coi duemila euro. Camilli è venuto quando voleva, ha preso le quote, e quando voleva poteva andarsene. Quando qualcuno dice che potevo iscriverla e poi andarmene, questo qualcuno sa che avrei dovuto mettere le mie firme, le mie garanzie per far amministrare la società da un altro? Abbiamo fatto quindici anni importanti, sei di serie B che nessuno farà mai più”.
Il futuro di Piero Camilli nel calcio?
“A Grosseto mi hanno criticato, ma da anni mi scrivono tifosi da mezza Italia per andare a fare il presidente. Significa che tanto male non sono. Penso che a Grosseto, al di là del carattere che è quello che è, sono stati fortunati. Sui campi mi fischiavano perché in me vedono un pericolo, infatti il pericolo c’era perché gli avversari sono spariti tutti. Io adesso a Viterbo vorrei smettere, ma non per andare da altre parti. La vita è fatta di fasi, è un momento che vorrei staccare la spina e stare a casa, vedermi la mia amata Roma, qualche altra partita, poi andare magari a vedere il Grosseto, ma non essere sempre obbligato ad andare a una partita. Ho la stanza piena di foto del Grosseto, in queste foto Luciano era piccolo e lo portavo per mano, ora porta lui per mano me ed è peloso. Il tempo condiziona tutto”.