GROSSETO – «Prendere di petto il tema dello sviluppo economico della Maremma, richiede la coerenza di guardare la nostra realtà per quella che è oggi, e di ragionare su come creare nuova occupazione qualificata. La ricerca nazionale pubblicata nei giorni scorsi dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro sulle “dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane”, ci offre a questo proposito spunti interessanti».
A scriverlo è Claudio Renzetti, segretario provinciale della Cgil.
«Due gli elementi critici – aggiunge Renzetit – che come territorio ci danno spunti di riflessione, ma soprattutto motivi di preoccupazione per il futuro. Il primo posto in Italia della provincia di Grosseto nella graduatoria dei lavoratori “non standard”, il 54,6% del totale: chi ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ma in part-time involontario (i sottoccupati part-time), dipendenti a termine, collaboratori e lavoratori autonomi. Parte significativa dei quali percepisce retribuzioni sensibilmente inferiori a quelle degli occupati standard, anche a causa degli orari ridotti e della discontinuità contrattuale.
Si tratta di lavoratori che in buona parte rientrano nella categoria dei working poors, i quali, pur essendo occupati, sono a rischio d’impoverimento e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso di reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale della retribuzione e dell’incapacità di risparmio. Il fatto che in provincia queste persone siano ben oltre la metà di chi lavora – con la Maremma al primo posto nella graduatoria nazionale – è un fatto davvero allarmante che sottolinea la precarizzazione strutturale del nostro mercato del lavoro, e la fragilità dell’intero sistema produttivo locale.
L’altro elemento di preoccupazione è il 71° posto – nell’area medio bassa (4a fascia su 5) della graduatoria – rispetto a quello che l’osservatorio definisce “indice sintetico d’efficienza e d’innovazione del mercato del lavoro per provincia”. Composto da cinque parametri che spiegano la capacità del tessuto economico di produrre maggiore e migliore occupazione.
In questo gruppo, peraltro, si trovano quasi esclusivamente province meridionali, tranne due della Toscana (Massa Carrara e Grosseto), tre del Lazio (Frosinone, Rieti e Latina), e una della Liguria (Imperia). Grosseto, in questo quadro, occupa l’ultima posizione fra le province toscane soprattutto per la bassa quota dei contratti standard (45,43% del totale) e di occupati con alte qualifiche (solo il 28,80%).
Non solo, confrontando il valore aggiunto pro-capite per occupato (produttività del lavoro) del 2014 e l’indice sintetico 2016 in questione, emerge una relazione molto forte tra i due indicatori. A conferma che un mercato del lavoro efficiente e innovativo è la precondizione per garantire alti livelli di produttività. Caratteristiche nelle quali la provincia di Grosseto è fortemente deficitaria».
«Detto questo, è evidente che i decisori politici devono darsi l’obiettivo di sostenere la crescita delle imprese che danno occupazione stabile e qualificata, applicando contratti collettivi nazionali e puntando su assunzioni a tempo indeterminato. Precarizzazione dei rapporti di lavoro, contratti spuri e bassi livelli retributivi, non possono garantire una prospettiva di sviluppo duraturo e un adeguato livello di benessere.
In questo senso c’è un nocciolo duro d’imprese a cui fare riferimento, a partire da quelle manifatturiere trasversali ai vari settori: industriale, artigianale, agroalimentare e delle costruzioni. Ma anche nei servizi, dove ci sono realtà solide nei comparti del turismo, dei servizi alle imprese e alla persona, o in quelli ambientali, finanziari e dell’Ict.
Anche rispetto all’infinito e ideologico dibattito sulla dotazione infrastrutturale della provincia, occorre rompere gl’indugi e prendere decisioni coerenti su trasporti, logistica, portualità e stoccaggi dei rifiuti industriali.
Siamo oramai a un passo dal punto del non ritorno – conclude Renzetti – e dobbiamo prendere una strada in modo deciso per creare nuova e più qualificata occupazione. Altrimenti è meglio rassegnarsi subito a diventare un territorio marginale rispetto alle aree economicamente più dinamiche della regione, e a vedere i nostri figli ad andare via».